A come Albania, un alfabeto per parlare di missione

 Essere qui, con cosi tante cose da fare è una cosa straordinaria, ma è anche una cosa enorme per una persona sola. A volte sembra un po’ complicato sedersi e provare a mettere a fuoco e poi sulla carta la quantità enorme di esperienze ed emozioni che si affollano nel pochissimo tempo che ci è dato di trascorrere qui. Per riuscire a farlo abbiamo cercato una modalità più sistematica, una produzione più ordinata, una sorta di alfabeto, per ogni lettera una parola che ci desse poi l’opportunità di raccontare un particolare di vita. Per molte lettere una parola è poca ma in effetti non sono le parole che contano… l’amore conta!
Adattarsi: imparare a vivere non secondo i propri tempi ma adattandosi ai ritmi e alle esigenze di un gruppo numeroso, di una casa dove bisogna ridurre al minimo gli sprechi e vivere dell’essenziale
Bellezza: di certi occhi enormi e azzurri che ti guardano entrare in casa loro senza capire perché e si nascondono dietro i muri o dietro le gambe dei più grandi della famiglia
Carità: lo spirito necessario a vivere un’esperienza così
Dashuria: le parole che i ragazzi ci insegnano… Questa significa amore
Entusiasmo: questa parola mi ricorda la voglia del primo giorno di conquistare i ragazzi nonostante i loro sguardi curiosi eppure un po’ diffidenti ed il nostro impegno, concentrato al massimo in poco tempo, nel farli sorridere pur sapendo che erano pochi i giorni che avremmo dovuto trascorrere con loro.
Faleminderit: grazie, è una parola che si sente spesso in queste mattine di visita alle famiglie, in cui è strano sentirla dal momento che sono loro che ci aprono le porte delle loro case e ci accolgono
Gezimi: gioia nei volti dei bambini che ti mostrano contenti i loro disegni, la gioia delle loro facce divertite perché ti avevano sporcato la faccia di tempere e tu li insegui per “vendicarti”
Intesa: che si crea quando ti trovi davanti venti ragazzi che non capiscono quello che dici, l’intesa cresce con gli altri amici e l’intesa che si crea con i ragazzi
Lavoro: che si svolge non con la pesantezza e con la fatica, ma con la consapevolezza di essere utili per gli altri stando insieme a persone che ti fanno stare bene.
Mirupafshim: il saluto, “ciao”, “arrivederci”, lo si dice quando ci si lascia, è l’unica parola che siamo in grado di dire ai ragazzi quando vanno via, nessun accordo, solo questo tacito appuntamento al giorno successivo; è la parola che abbiamo usato di più ma è anche la parola che alla fine ci ha fatto stringere il cuore.
Noi: noi che siamo costretti a stare insieme ventiquattro ore al giorno, con compiti, cose da fare, incomprensioni; è la vita normale solo che è concentrata in 100mq da cui non si scappa e allora bisogna essere bravi a comprendere i bisogni di tutti, raccogliersi intorno a un unico obbiettivo e un solo centro
Ospitalità: l’accoglienza tradizionale di queste famiglie che nonostante non abbiano molto sono subito pronte ad offrirtelo
Passione: questa parola mi fa pensare alle persone con cui abbiamo avuto a che fare durante questi giorni, quelle che hanno scelto di dedicarsi a questo per tutta la vita. Padre Geoffrey e le suore non solo si sono consacrati al Signore, ma hanno deciso di essere missionari, che significa non solo essere tra i poveri e portare loro aiuti, ma spesso vuol dire essere poveri con loro, vivere con loro, condividere sia la povertà materiale che le gioie e la ricchezza interiore
Qualità: è una cosa che diventa fondamentale in una situazione come questa, un’esperienza di essenzialità in cui bisogna imparare ad apprezzare e a gustare ogni cosa, anche la più insignificante, perché non è la quantità che conta ma la qualità; quando la vita ti dà poco riesci a meravigliarti anche di quello
Radici: le radici non sono le nostre, quelle di noi piccoli ragazzi missionari che siamo partiti dalle nostre case e venuti qui più che con la pretesa di portare qualcosa con il desiderio di prendere e portare via con noi; le radici di cui parlo sono quelle, profondissime, del popolo che ci ha accolto: è straordinario vedere bambini di quattro o cinque anni che conoscono e ballano le danze tradizionali; più profonde sono le radici e più grande e rigogliosa è la chioma.
Sconsiderati: sconsiderati siamo stati chiamati noi per aver intrapreso questo viaggio, un viaggio per una terra che a guardarla da lontano mette un po’ di paura, mette un po’ a disagio; sconsiderata è una donna che dedica la sua vita non a lavorare per rendere migliore il proprio futuro e andare via da questa povertà, ma diventa missionaria nella sua stessa terra.
Trasparenti: i volti di quei bambini che mostrano quello che provano, senza sforzarsi di nasconderlo; le facce di quei bambini che, per fortuna, tra le poche cose che hanno del nostro mondo non hanno l’ipocrisia; il viso di quelle ragazzine che se stai ballando come una stupida ti guardano esattamente cosi.
Umili: lo spirito di umiltà è quello spirito che ti fa capire il tuo valore, a non sopravvalutarti né a sottovalutarti, ti rende cosciente delle tue capacità e non ti fa mai temere di non farcela perché dalla tua parte hai sempre il Signore. In questa terra si può imparare molto su questo: te ne rendi conto quando vedi un sacerdote che grazie alla provvidenza ha costruito un centro parrocchiale partendo da zero e confida ancora di finire anche se non gli sono rimasti più soldi.
Vita: quel poco che abbiamo provato a donare all’Albania, ma soprattutto quel tanto che questa terra ha regalato a noi… Vita semplice, essenziale, a volte povera, eppure sempre gioiosa.
Zot: una delle poche parole che si riusciva a capire durante la messa: Dio, il vero motore che ha generato tutto questo, che ci ha messi qui in Albania in questi giorni e che ci ha messo tra questa gente e tra la nostra gente, nelle nostre case in Italia, dove abbiamo il compito di testimoniarlo ogni giorno, anche con la grazia ricevuta in questa esperienza.

 

di Maria CASCONE