Servizio Pastorale per la Famiglia

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Week-end di formazione

Anche quest’anno, per gli operatori di pastorale familiare e per gli interessati, abbiamo vissuto l’appuntamento con il week-end di formazione ad Alberi nella panoramica cornice di casa Armida Barelli. Il 4 e 5 maggio scorso abbiamo rivisto i promotori del metodo WE-BUILDING (“costruzione del noi”), Dott. Mariano Iavarone e prof. Giuseppe Iorio che ci hanno aiutato a scoprire delle tecniche da utilizzare per poter tradurre in azione quanto suggerito nel documento delle linee guida diocesane di quest’anno, allenandoci a riconoscere quali sono le sfide a cui ci rimanda il nostro territorio. Il metodo We-building si basa sul gioco perché è attraverso momenti di leggerezza che riusciamo ad essere autentici, a conoscere meglio gli altri senza porre filtri allo stare insieme. Inoltre, attraverso le altre persone alla fine si “corre il rischio” (!) di conoscere meglio anche se stessi.

In particolare nei gruppi ci siamo soffermati ad analizzare tre “luoghi” messi in evidenza nel documento: CULTURA, FESTA, DOLORE e SOLITUDINE nei quali calarci per individuare concretamente un’azione pastorale da attuare individuando, con tecniche apposite, quali sono i veri PROBLEMI.

Sembra facile e scontato, ma abbiamo scoperto che senza l’ausilio di una tecnica e degli strumenti giusti c’è il forte rischio di fare confusione tra il problema e l’effetto dello stesso, con la conseguenza che le azioni che mettiamo in atto per risolverlo non sono risolutive. Se non riusciamo a mettere a fuoco il vero problema, negli ambiti in cui ci troviamo ad operare, tante energie non verranno canalizzate nel giusto verso col risultato di  rendere vano tanto impegno.

Spesso analizzando un problema ci si pone subito la domanda: “Cosa possiamo fare?” cercando di dare subito una risposta… Con grande stupore ci siamo accorti che quello è l’ultimo step dell’analisi da fare in ogni situazione. Una delle cose più importanti da ricordare per individuare il vero problema, è farsi domande semplici, quelle che verrebbero in mente ad un bambino: questo è il modo più facile per riuscire a vedere “IL” problema. Se invece ci poniamo domande complesse (come spesso sappiamo fare bene noi adulti), sarà più difficile frazionare in piccole parti la situazione per trovare le soluzioni più opportune.

La strada indicataci per mettere insieme bisogni e aspettative delle persone che hanno partecipato, diverse tra loro per esperienze e provenienze, è lavorare sul modo di relazionarsi. Una delle tecniche usate per questo è proprio la leggerezza del gioco che si traduce poi inevitabilmente anche in una facilitazione nelle relazioni stesse.

Nel gioco riusciamo ad essere spontanei, cosa che non accade normalmente… Il gioco  stimola le relazioni smontando ogni filtro che, anche in maniera inconscia, abbiamo sugli altri. Tutto ciò ci ha portato ad acquisire, nel poco tempo a disposizione, almeno degli elementi essenziali di tecniche di gioco e strumenti per condurre dei gruppi. Anche se non abbiamo avuto tempo di approfondirle, sapere che esistono è già un passo avanti. Inoltre ci ha messo in discussione, facendoci capire quali sono i nostri stili di vita. Di conseguenza ognuno dei partecipanti sicuramente filtrerà quanto ricevuto col proprio stile, ma tutti avremo sicuramente nella nostra cassetta degli attrezzi qualcosa in più per poter operare al meglio nei nostri ambiti.

di Michele Russo