Parrocchia Santa Maria del Lauro, Meta

Il ritiro adulti presso la casa Barelli ad Alberi

Alcune riflessioni in un pomeriggio caldo di agosto: "Feriti ma risorti"

Cosa spinge un  gruppo di adulti ad uscire di casa nel primo pomeriggio di un caldissimo sabato di agosto, rinunciando al mare o alla pennichella pomeridiana, magari dopo una settimana di lavoro? Questa è la domanda che mi sono posta quando, sabato I° agosto, sono arrivata nel piazzale della Casa Barelli ad Alberi e, con un po’ di stupore, ho visto sulle scale tante persone, un’ottantina circa, appartenenti a diverse realtà della nostra Comunità Parrocchiale, pazientemente in attesa di sottoporsi a tutte le “incombenze” richieste dalle misure  anti-covid.

Questa domanda mi ha accompagnato per buona parte del ritiro adulti, insieme al disagio di dover sorridere dietro ad una mascherina, senza  potersi scambiare un abbraccio o almeno una stretta di mano. Le  parole di Don Francesco, che ci invitava ad una rilettura di fede degli avvenimenti che hanno radicalmente cambiato le nostre abitudini di vita nel giro di pochi mesi, mi sono inizialmente sembrate un po’ tardive, in fondo il lockdown si è concluso già da qualche mese, che senso ha ritornare su un’esperienza che tutti stiamo cercando di lasciarci alle spalle?

Come spesso mi capita, quando ascolto una meditazione e la mia mente comincia a correre in avanti, la risposta non si è fatta attendere e devo dire che mi ha un po’ spiazzato. Don Francesco ci ha ricordato una cosa che gli sentiamo dire spesso: non è possibile dare una lettura di un evento quando questo è ancora troppo vicino, le emozioni legate a qualcosa che ci ha colpito profondamente hanno bisogno di sedimentarsi affinché l’esperienza vissuta possa essere rielaborata, proprio come si fa con un lutto.

Dopo questa precisazione abbiamo provato dunque a leggere insieme tra le righe di un’esperienza che ha generato incertezze, insicurezze, paure in un tempo di sospensione faticoso che ha mandato all’aria tante attività, progetti e abitudini, che ha stravolto quella che era la normalità delle nostre vite e relazioni.

Don Francesco ci ha subito messi in guardia da una tentazione, che gli eventi succedutisi durante il mese di agosto hanno confermato essere quanto mai vera: negare la realtà, presi dal desiderio di ritornare alla “normalità”, con l’illusione che tutto possa presto ritornare come prima. Ed è proprio a partire da questa tentazione che si è sviluppato il tentativo di leggere la pandemia con gli occhi della Fede, per dare un senso a questo uragano di sofferenza che sembra aver spazzato via ogni certezza.

Santi e non sopravvissuti! Questo l’invito che è risuonato forte in questo caldo primo giorno di agosto, insieme alla Parola che ci ha accompagnato e guidato: “Siate lieti nella speranza, forti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera, solleciti nelle necessità dei fratelli, premurosi nell’ospitalità” (Rm 12,12-13).

Ma cosa significa non sentirsi dei sopravvissuti? E come trovare in tanta sofferenza un’occasione di santità? E che senso hanno le parole di San Paolo per l’uomo “post-covid”?

La risposta è certamente complessa e richiede una maturità nella Fede che per me è ancora molto lontana, tuttavia vorrei provare a condividere quel poco che credo di aver capito e che mi ha spinto almeno a tentare di attraversare questo tempo con maggiore consapevolezza:  Le esperienze forti, le sfide che la vita ci pone, le “battaglie” talvolta anche molto dolorose che ciascuno di noi si trova ad affrontare ci insegnano che c’è sempre un “prima” e un “dopo”, che le cose non tornano “come prima”, perché la sofferenza, inevitabilmente ci segna, ma in quanto Cristiani siamo chiamati ad essere “lieti nella speranza”, una speranza che non è, come alcuni vorrebbero, fingere che nulla sia accaduto, ma, al contrario, riuscire a vedere anche nel momento della Croce i segni della Risurrezione.

Mi ha colpito molto una riflessione di don Francesco che ci ha ricordato come nelle apparizioni del Risorto riportate nei Vangeli siano sempre ben visibili i segni della crocifissione nel corpo di Gesù (i segni dei chiodi, le ferite nel costato), quasi a volerci ricordare che la Fede in Gesù morto e risorto non è una “magia”, ma una scelta che siamo chiamati a vivere quotidianamente, nonostante le ferite che inevitabilmente ci segnano. Dio non ci toglie il dolore, né tantomeno ce lo manda per punizione, semplicemente lo “attraversa” con noi, invitandoci a sentirci come lui feriti ma risorti!

Si tratta di un cammino di Fede, un cammino che non ci vede soli, perché siamo chiamati a viverlo come Chiesa, una Chiesa che spera, una Chiesa che ha fiducia, una Chiesa che prega, una Chiesa che accoglie. Come Chiesa dobbiamo impegnarci a ripartire con uno sguardo nuovo, a ri-nascere, come nel Battesimo, generando qualcosa di nuovo, senza sprecare il tempo a cercare le sicurezza di prima, ma immaginando un futuro rinnovato, da percorrere magari con passi più lenti, così da lasciarci il tempo di cogliere i dettagli, di porre attenzione all’altro che ha bisogno di sentirsi accolto, ascoltato, amato o anche semplicemente “guardato”.

a cura di Gelsomina