Il vescovo e i giovani dialogano sul Vangelo della IV Domenica di Pasqua

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Nella IV Domenica di Pasqua il Vangelo ci parla del “recinto delle pecore”, del ladro che non entra dalla porta al contrario del pastore, il quale chiama le pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. Prendendo spunto da questo passo del Vangelo, i giovani del Rinnovamento dello Spirito rivolgono delle domande all’arcivescovo di Sorrento-Castellammare di Stabia, mons. Francesco Alfano.

La prima domanda riguarda l’atteggiamento di chi per entrare nel recinto non usa la porta, ma preferisce entrare salendo da un’altra parte.

“Gesù ci presenta questa contraddizione – spiega mons. Alfano – per aiutarci a capire che nella realtà esiste la lotta tra il bene e il male, tra la giustizia e l’ingiustizia, tra chi vive nella via della verità e chi va nella via della vergogna; ma tutto ciò non ci deve scoraggiare perché il pastore in ogni caso radunerà le pecore. Comunque, bisogna essere attenti. Il messaggio fondamentale che viene dal Vangelo è questo: guardando a Cristo come il pastore che raccoglie le pecore, le conduce, dà la vita per loro, troviamo la forza per affrontare anche le situazioni più difficili. A un giovane direi: non scoraggiarti quando vedi altri, semmai anche tuoi amici o coetanei, che facendo i furbi tirano lo sgambetto e vanno più avanti e sembra che a loro vada tutto bene nella vita. Non scoraggiarti. Continua a cercare la verità di te stesso. Prima o poi troverai quel tuo amico o apparente avversario vicino a te. Avrà bisogno di un aiuto perché sarà caduto e tu sarai pronto a offrirglielo”.

La seconda domanda è su cosa intende Gesù per recinto delle pecore e cosa significa per i giovani.

“Diciamo che il recinto non è mai una cosa bella – sostiene l’arcivescovo – perché ci si sente un po’ stretti e i giovani si ribellano a stare nel recinto, che pure servirà per difendere le pecore. Ma non si può rimanere lì per sempre, devono andare al pascolo. Quando si è nel recinto la sensazione è di essere imprigionati: talvolta, anche la Chiesa sembra un po’ una prigione, come un’istituzione un po’ ingessata, piena di regole da rispettare, con una storia antica e anche recente non sempre luminosa e coerente. Eppure, questo momento in cui ci ritroviamo insieme come comunità è necessario. Viviamo questo cammino nell’esperienza dei gruppi ecclesiali, nelle nostre comunità parrocchiali. Ma la Chiesa non vive per se stessa. Il recinto che è la comunità nella quale facciamo esperienza del Signore ci deve portare verso gli altri, non solo perché sentiamo necessità di vivere relazioni di amicizia, ma per un mandato. Le pecore sono spinte a uscire dal pastore. Qui mi viene in mente l’esortazione continua di Papa Francesco che parla di una Chiesa in uscita. Se la Chiesa non è in uscita non risponde al comando del Signore. Chi potrà aiutare la Chiesa a uscire? Certo, ci sono i pastori che devono spingere. Accanto a loro ci sono i giovani a non rimanere nel recinto. Aiutateci voi a uscire dal recinto e andare verso tutti senza escludere nessuno e senza paura”.

La terza domanda riguarda come aiutare un giovane a porsi di fronte alle difficoltà odierne, ricordando che il pastore chiama per nome ciascuna pecora.

“Le difficoltà sono tante – ammette il presule – e proporre a un giovane un’esperienza bella e radicale come quella di seguire il Signore può essere pesante. Ma l’esperienza non si fa da soli, come mostra l’immagine del gregge di cui parla Gesù. Le pecore si sostengono a vicenda, stiamo insieme. Tutti abbiamo bisogno di ritrovarci come gruppo, la Chiesa ci dà questa possibilità. Ma c’è anche qualcosa in più. Il rapporto personale con il Signore. Questo chiamare per nome da parte del pastore le pecore sta indicare la relazione diretta con Dio. È possibile che ciascuno di noi conosca il Signore, con un incontro nella propria vita. Gesù, mi guarda, mi avvicina, mi conosce in profondità perché si dona a me. Allora, ho anch’io la possibilità di stabilire un rapporto diretto con Lui, perché è il Signore che mi permette questo: diventiamo amici. Quest’amicizia mi consente di conoscere me stesso più in profondità: grazie alla luce del Vangelo e dell’esperienza di fede e della comunità che mi sostiene quotidianamente, posso arrivare a una lettura più profonda della mia vita facendo venir fuori i desideri più belli, i progetti più grandi e riconoscendo in essi il sogno di Dio. Una Chiesa così si può proporre ai giovani, anche a quelli che dicono di no o sembrano i più lontani. È la Chiesa per la quale anche noi cerchiamo di spendere le migliori energie”.

L’ultima domanda è come un giovane può mantenere viva la manifestazione di Dio in mezzo a noi, malgrado la vita ponga dei limiti.

“Dinanzi alla difficoltà – osserva mons. Alfano – ciò che conta è il non venire meno del rapporto con il Signore. Ci sia il Vangelo nella nostra vita, non come libro, ma come esperienza diretta e personale del Signore Gesù. Ascoltare la Sua parola, confrontarci con Lui, aiutarci a vicenda è il modo più diretto per non scoraggiarci e per dire a tutti che vale la pena essere gli amici del Signore”.