Intrecci Pugliesi

la comunità del seminario in uscita con il vescovo

Nodi, nodi lascia la storia lungo il suo cammino e a noi, ciascuno a suo modo, è data la responsabilità di raccoglierli in dono.
Nei giorni in cui abbiamo visitato le terre pugliesi, noi seminaristi, don Marino e il nostro vescovo Francesco, abbiamo avuto la possibilità di intrecciare le nostre storie personali e la storia della Chiesa diocesana, con le storie di tanti uomini e tante Chiese, del presente e del passato, che senza dubbio hanno lasciato un segno, un nodo, nel cuore di ciascuno e nel modo di vivere ed annunciare il Vangelo.
Centro dei cinque giorni trascorsi insieme è stata la visita ad Alessano, paese natio di Tonino Bello; lì abbiamo incontrato padre Gigi, discepolo prima poi fratello, di don Tonino; questi ci ha raccontato con una fecondità nel parlare tante storie su don Tonino, da prete e da vescovo, storie di vicinanza, di attenzione ad ogni singola persona che incontrava, ai preti ai quali da vescovo dava la massima priorità, il suo rapporto fraterno e disinteressato con i poveri, gli ultimi, i senza nulla. Ritrovarci poi, dopo la celebrazione eucaristica a pregare in silenzio sulla sua tomba, nel cimitero del paese insieme a tutti i suoi defunti compaesani è sicuramente una di quelle esperienze che ti si annodano addosso e non le dimentichi più!
Altro punto luce è stata la visita ad Otranto. Qui, dove abbiamo avuto più agio nei frenetici spostamenti delle nostre vacanze, abbiamo più a lungo sostato potendo scorgere più nitidamente i vari particolari, a cominciare dal pavimento della cattedrale, una delle superfici musive più grandi di Europa e dell’Europa intera, quando Europa ancora non era, portava i segni. I mosaici con grande maestria di chi li ha pensati, erano un portale ad ogni viandante che per la città pugliese passava, un approdo multietnico di significati e significanti così che nessuno che entrasse in quella chiesa potesse restare senza una parola per sé. Quanto dobbiamo recuperare in accoglienza e linguaggio oggi!!! E poi, ovviamente, abbiamo incontrati o forse ci siamo scontrati, con i martiri di Otranto… seicento persone. Di seicento persone i resti ossei conservati in quella cappella. Quei teschi che muti ti stavano innanzi e non rimandavano ad una scena macabra di un film dell’orrore, anzi, nel silenzio di quella cappella dentro ti risuonava: -Ed io? Come vivo il mio portare il nome di Cristo?-. Quelle seicento persone, intrepide e titubanti, impauriti e fieri, ci hanno perso la vita pur di non rinnegare il nome di Cristo…
A corolla di questi due punti luminosi ci sono stati tutti gli incontri, dai vescovi che abbiamo visitato fino alle persone più umili che ci hanno accompagnato, il duomo di Taranto con la “cappella sistina” dell’Italia meridionale, il sole di Gallipoli con il suo antico fascino, gli affascinanti sassi di Matera e i paesaggi visitati in lungo e in largo su e giù per il tacco.
Un’ultima parola per questo breve e sul nostro viaggio è il monastero di Nardò. Il più antico dell’Italia meridionale, eppure a rischio estinzione fino a ché, la fraternità che caratterizza quanti condividono le ‘cose’ di Dio ha fatto sì che arrivassero da un altro monastero di clarisse due monache a sostenere la vita del suddetto monastero. Due monache tra l’altro, provenienti dalla nostra diocesi, precisamente dalla parrocchia di s. Renato in Moiano, Veronica ed Antonella.
Le loro parole hanno posto il sigillo a questa nostra esperienza e attraverso la loro forte testimonianza tutti siamo stati rilanciati verso la ferialità della vita quotidiana per ricominciare ciascuno il suo cammino, con un cuore grato e, forse, più desideroso dell’incontro con il Signore.