La Settimana Santa

Ogni anno, con l’avvicinarsi della Settimana santa mi ritornano in mente le parole di Gesù: Ho desiderato ardentemente di mangiare la Pasqua con voi e sento rivolte a me l’espressione: Andate a preparare la Pasqua.
L’evento cuore della nostra fede, la Pasqua di nostro Signore Gesù Cristo, infatti, non solo va preparato, ma ha bisogno anche che noi ci prepariamo a viverlo, sentendo lo stesso desiderio ardente del Maestro e vincendo l’abitudine che addormenta e uccide.
Se posso fare un accenno alla mia vita personale, nei giorni del Triduo pasquale ricordo di aver sempre preso le ferie dal lavoro, per vivere ogni momento con intensità, e negli anni ho insegnato anche ai miei figli a fare lo stesso.
La settimana si apre con la Domenica delle Palme e la benedizione dei rami d’ulivo. Nella mia parrocchia, anche se piccola, il sagrato è stracolmo di persone che si radunano per il rito della benedizione. La mia amarezza, tuttavia, è tanta nel vedere che, dopo il rito, molti ritornano a casa, senza entrare in Chiesa per la Celebrazione. Che senso ha benedire la palma e non celebrare poi il mistero pasquale, benedire senza stare con Gesù e fargli compagnia negli ultimi istanti della sua vita? Le palme non sono un amuleto da appendere dietro la porta d’ingresso delle case, o un oggetto di scambio in funzione di una pace solo apparente, ma alludono simbolicamente all’inizio di un itinerario intenso che, gradualmente, porta ad aspettare la notte di sabato, l’aurora del giorno senza tramonto che è il giorno di Pasqua. Come le folle di Gerusalemme, anche noi facciamo festa a Gesù che entra nella città santa, sperando di non abbandonarlo.
Da due anni il mercoledì santo si celebra la Messa Crismale chiamata così perché il Vescovo benedice il Crisma e gli altri oli santi. Anche a questa celebrazione prendo parte con gioia: vedere tutti i sacerdoti della Diocesi, tanti laici, tutti insieme al Vescovo, mi fa sperimentare la bellezza di essere Chiesa. Credo che nel linguaggio tecnico si dica che la Messa Crismale è “epifania della Chiesa locale”: sono contento e fiero di appartenere alla mia Chiesa che è in Sorrento-Castellammare e mi congedo da questa celebrazione rincuorato. Gli oli benedetti e distribuiti porteranno sollievo alle membra doloranti, forza a quelli che saranno battezzati, bellezza a coloro che verranno confermati e consacreranno le mani dei giovani diaconi che nasceranno sacerdoti, grazia che da un po’ di anni riceviamo ogni anno.
E finalmente inizia la celebrazione del Triduo pasquale, una grande liturgia in tre tappe, un’unica celebrazione che si distende per tre giorni e abbraccia liturgie, vita vissuta, visite per gli auguri, preparazioni e confessioni in extremis.
Quando erano piccoli i miei figli, li invogliavo a venire alla Messa del Giovedì santo dicendo che si svolgeva la lavanda dei piedi, poi, quando sono diventati più grandi, ho spiegato loro il vero senso della Messa in Coena Domini. È il dono dell’Eucarestia e della consegna di Gesù: dono che va accolto, mangiato, adorato. Rischiamo invece di dare troppa enfasi alla lavanda dei piedi – per giunta liturgia non essenziale – perdendo di vista il cuore della celebrazione che è il dono dell’Eucarestia e del ministero ordinato. La stessa cosa succede quando tanti vanno a visitare gli altari della Reposizione (quelli che una volta si chiamavano “sepolcri”) stilando classifiche del più bello, del più significativo, del più evocativo, con il rischio di non sostare neanche un momento in adorazione.
Al termine della Messa in Coena Domini, il mio parroco, fedele, credo, alle norme liturgiche, mette via i fiori, le tovaglie, i candelieri perfino la Croce, e lascia accese solo le luci e le candele all’Altare della Reposizione. Ricordo che un anno ci disse che il legame tra il Giovedì santo e il Venerdì santo era proprio l’altare della Reposizione e l’Eucarestia stessa. La Messa del giovedì, non a caso, non prevede la benedizione, in altre parole, non finisce, ma continua nell’adorazione e nella vita.
La comunità si raduna in grande silenzio per la Celebrazione della Passione del Signore. Quella del Venerdì santo è una liturgia semplice, senza candelieri, turibolo, tovaglie e merletti. Alla preghiera segue la liturgia della Parola in cui si leggono due brani fondamentali, il IV carme del servo di Jahve e il racconto della Passione secondo Giovanni; subito dopo la preghiera universale, anch’essa scarna ed essenziale. Alla proposta di preghiera (credo si possano fare solo quelle previste dal Messale) segue un momento di silenzio e poi la preghiera del celebrante.
Due particolari mi colpiscono: la posizione del corpo durante la preghiera perché si sta in ginocchio, e la preghiera che si allarga per cerchi concentrici a tutte le esperienze religiose; anche agli ebrei, che da “perfidi” (espressione presente nella Liturgia prima del Concilio e cancellata da Papa Giovanni XXIII) vengono ora considerati nostri fratelli maggiori.
Terza tappa della Liturgia del Venerdì santo è l’adorazione della Croce. Innanzitutto essa viene svelata e poi ciascuno si avvicina per un gesto di adorazione. Come non commuoversi dinnanzi alla Croce, icona dell’amore di Dio per l’uomo, e baciare quelle piaghe, grazie alle quali siamo stati redenti! È significativo che nel giorno del Venerdì santo si faccia la colletta per la Chiesa di Gerusalemme: mi ritornano in mente le parole di Paolo: Ricordatevi della Chiesa di Gerusalemme. L’ultimo momento è quello della comunione sacramentale. Dall’altare della Reposizione il parroco porta il santissimo Sacramento per la Comunione eucaristica all’altare dove si sta celebrando. Come dicevo prima, l’altare della Reposizione lega la celebrazione del giovedì a quella del venerdì, e dopo la comunione, se dovessero avanzare ancora particole consacrate, si conservano in privato, non certo all’altare della Reposizione che, invece, rimane spento, senza luci né candele. Il mio parroco ha dovuto lottare con l’abitudine del sacrista che dopo la celebrazione della Croce riaccendeva tutte le candele e le luci perché la gente potesse ancora guardare e, nel caso, mettere un’offerta nel cestino, ritirando un santino raffigurante Gesù morto. La Celebrazione della Passione del Signore termina con una preghiera sul popolo e con un gesto unico: la genuflessione alla Croce. Dal Venerdì santo fino alla Veglia l’attenzione è focalizzata su di essa e ciascuno, entrando o uscendo dalla chiesa, è invitato a fare la genuflessione alla Croce.
Terzo appuntamento della grande Liturgia del Triduo è la Veglia pasquale. Da antichissima tradizione la Chiesa non celebra la Messa né il venerdì né il sabato santo e la comunione può essere portata agli ammalati solo come “viatico”.
Libero dal lavoro, il sabato, di buon mattino, vado in chiesa per aiutare a risistemare le statue della processione della sera del Venerdì santo e per togliere “la polvere della morte” perché possa fiorire il profumo della Resurrezione. Entrando in chiesa la sera del Giovedì santo si sente un profumo di pane: il pane che il parroco dona a fine celebrazione alle persone a cui ha lavato i piedi perché possano condividerlo con gli altri; ma anche il pane che è l’Eucarestia.
Il sabato sera gli occhi sono attratti dalla Croce illuminata, le ginocchia si piegano per la genuflessione e l’olfatto è raggiunto dalla fragranza delle fresie e delle viole a ciocca. Fuori la chiesa, in uno spazio del sagrato poco illuminato, arde il fuoco: da lì inizia la celebrazione della Veglia, che è un itinerario di fede in quattro momenti. Dal fuoco appena benedetto si accende il Cero, dal cero le candele dei ministri, dalle loro le candele di tutti: la fede si trasmette così, di padre in figlio, e il buio lascia il posto alla luce. Inizia poi una breve processione verso la chiesa: qui il Cero viene intronizzato e incensato, e questa prima tappa culmina col il preconio pasquale. Dopo aver cantato l’annuncio pasquale (preconio) si spengono le candele e inizia la liturgia della Parola.
Dalla creazione, in sette tappe (letture), ripercorriamo la storia della salvezza fino a giungere al cuore della Redenzione: il Vangelo della Resurrezione. Come le parole del preconio sono il culmine della prima parte della Celebrazione, così il Vangelo della Resurrezione è la realizzazione piena della storia della salvezza. La Redenzione non ci riporta alla condizione dell’uomo prima del peccato, ma è Dio a renderci figli nel Figlio: un dono più grande di quello che ha ricevuto Adamo!
La terza parte della Veglia è costituita dalla Liturgia Battesimale.
Trent’anni fa convinsi mia moglie ad aspettare sei mesi per celebrare il Battesimo di mio figlio Antonino, per avere cioè l’opportunità di vivere il sacramento nella Notte di Pasqua, mentre i festeggiamenti post-celebrazione furono rimandati alla Domenica in Albis. Da adulto, battezzando mio figlio, ho provato un po’ la gioia che si avvertiva un tempo quando questo sacramento si amministrava nella Veglia delle Veglie – come scrive sant’Agostino.
Nella Notte di Pasqua, in maniera più intensa riscopriamo di essere morti all’uomo vecchio e di essere rinati in Cristo come nuove creature. Dopo aver celebrato il Battesimo, il parroco asperge l’assemblea con l’acqua appena benedetta. Si giunge così alla quarta ed ultima parte della Veglia: la liturgia Eucaristica il cui culmine è la comunione sacramentale. Mangiando il Corpo di Cristo siamo edificati come Corpo di Cristo e chiamati a vivere nella nostra vita la Pasqua del Signore.
Dopo la celebrazione ci fermiamo sul sagrato per scambiarci gli auguri e, sospinti dal suono delle Campane, torniamo a casa per vivere una liturgia domestica. Anche se oggi i miei figli sono sposati, ci ritroviamo, dopo la veglia, per “aprire” la pastiera, il casatiello e gustare dopo quaranta giorni di digiuno dai dolci la cioccolata dell’uovo Lindt. Anche se tardi, i miei nipoti, ancora piccoli, rimangono svegli per festeggiare la Pasqua del Signore.
Il giorno dopo, ci ritroviamo in chiesa per celebrare l’Eucarestia del giorno di Pasqua e ritirare la bottiglina di acqua benedetta con la quale benedire la famiglia e la mensa. A sera ritorniamo in parrocchia per il canto del Vespro. Il parroco ci ha spiegato che questo è il giorno senza tramonto perché è il Giorno di Cristo Signore, e cantare il Vespro è prolungare nel tempo la Grazia di Cristo.
Mi sono lasciato prendere e, forse, ho scritto più di quello che il parroco mi aveva chiesto, ma da più di quarant’anni vivo senza annoiarmi questa settimana come un rituale che si ripete, anzi sono riuscito a contagiare pure i miei figli: oggi anche loro prendono le ferie nella settimana santa.
Apprestiamoci a vivere pienamente i misteri della nostra salvezza. Vi auguro di sperimentare a Pasqua la Gioia di essere risorti con Cristo.

 

di un padre di famiglia