Servizio Ecumenismo e Dialogo Interreligioso

La vocazione della stabiese Maria Vingiani al servizio del dialogo ecumenico

La storia dell’ecumenismo in Italia passa per il territorio della nostra arcidiocesi e, in particolare, per Castellammare di Stabia. La città di San Catello, quasi un secolo fa, diede i natali a Maria Vingiani, pioniera e colonna portante del dialogo interreligioso, entrata nel mistero dell’Eternità il 17 gennaio di quest’anno.

Per una provvidenziale coincidenza, Maria Vingiani si è spenta proprio nella giornata che la Conferenza Episcopale Italiana, fin dal 1989, dedica all’approfondimento e allo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei, prima di entrare nella settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. All’istituzione e allo sviluppo di tali appuntamenti annuali, questa donna ha dato un contributo determinante durante la sua lunga esistenza. Nella vocazione a costruire ponti tra le confessioni cristiane e con le altre fedi, soprattutto con l’ebraismo, Maria ha infatti profuso tutta la passione e la debordante umanità delle genti del Meridione, lasciando cadere i primi semi della sua missione ecumenica tra i canali di Venezia, dove tutta la famiglia si trasferì a seguito del padre, operaio all’Arsenale.

Nella città lagunare, regina dell’Adriatico e porta dell’Oriente mediterraneo, i cattolici convivevano da secoli con ebrei, armeni e greco-ortodossi ai quali, in epoca successiva, si erano affiancati rappresentanti delle Chiese protestanti del Nord Europa, eredità del ruolo centrale della Serenissima nei commerci e negli scambi continentali. I rapporti tra queste comunità assumevano spesso un carattere di conflittualità e una dimensione di polemica tali da scandalizzare Maria, incredula dinanzi all’inimicizia tra le Chiese, che pure annunciavano lo stesso Cristo e il medesimo Vangelo. Dallo scandalo delle fratture antiche sbocciò la vocazione all’ecumenismo della giovane stabiese.
Le ricerche per la preparazione della sua tesi di laurea, già alla fine degli anni Quaranta del secolo scorso, portarono la studentessa a conoscere il mondo luterano, in un’epoca in cui il dialogo con le Chiese diverse da quella cattolica era considerato da molti inopportuno, se non addirittura sbagliato. Maria Vingiani, invece, partiva dall’assunto che fosse necessario impegnarsi nello studio approfondito dell’altro per la creazione di occasioni di incontro consapevoli e informate. Tale impostazione metodologica trovò un terreno fertile nella Venezia degli anni Cinquanta, grazie all’impegno del patriarca Angelo Giuseppe Roncalli, futuro papa Giovanni XXIII, a mettere da parte secoli di incomprensioni con i fratelli separati e a favorire l’individuazione di punti di contatto con le altre Chiese presenti a Venezia. Il patriarca si mostrò sempre disponibile a dare il suo contributo nelle numerose occasioni di confronto che Maria Vingiani riuscì a creare nella sua qualità di assessore alle Belle Arti del capoluogo veneto, carica che ricoprì tra il 1956 e il 1959.

Il 25 gennaio di quell’anno, papa Roncalli, eletto tre mesi prima al soglio pontificio, annunciò l’indizione del concilio ecumenico Vaticano II. Era l’occasione che Maria Vingiani aspettava: la Chiesa cattolica si apriva alla modernità del mondo e i laici potevano contribuire al suo rinnovamento. Decise di trasferirsi a Roma per seguire più da vicino i lavori conciliari, rinunciando alla carriera politica e alla prospettiva di un seggio parlamentare, e lavorò intensamente per rimuovere secoli di odio verso gli ebrei, che la tradizione condannava ancora come perfidi organizzatori di deicidio. Per Maria Vingiani, la lacerazione più grave era alle origini del cristianesimo, nella separazione tra chiesa e sinagoga, e bisognava ripartire dalla riscoperta della comune radice biblica per ricomporre successivamente le divisioni tra cristiani.

L’amicizia con papa Roncalli favorì la storica udienza, concessa dal pontefice il 13 giugno 1960, allo storico ebreo francese Jules Isaac, che Maria conosceva dai tempi di Venezia. Isaac era da tempo promotore del dialogo ebraico-cristiano per superare quello che definiva “l’insegnamento del disprezzo” e aprire una stagione di conoscenza reciproca tra le due religioni monoteistiche. Il rapporto tra Giovanni XXIII e Isaac influenzò molto la redazione della dichiarazione conciliare Nostra Aetate, che affronta il tema del senso religioso e delle relazioni tra la Chiesa cattolica e le religioni non cristiane, e soprattutto del quarto punto del documento, riservato al vincolo che lega il cristianesimo all’ebraismo.

Gli anni del Concilio Vaticano II rafforzarono in Maria Vingiani la convinzione della necessità di un’associazione interconfessionale di laici impegnati nel dialogo e nella formazione ecumenica, il Segretariato Attività Ecumeniche (Sae), costituito formalmente nel 1966, di cui Vingiani avrebbe mantenuto la presidenza fino al 1996. I membri del Sae appartengono a diverse Chiese e denominazioni cristiane e si prefiggono di instaurare un fecondo rapporto con il popolo ebraico. Inoltre, essi ritengono che l’unità della Chiesa sia un dono dello Spirito Santo e un compito di tutte le comunità cristiane da attuare attraverso il dialogo fraterno, la preghiera e la concreta cooperazione.

Tra i frutti più belli prodotti dalla vocazione di Maria Vingiani figurano le sessioni estive di formazione ecumenica, che il Sae organizza annualmente per promuovere il dialogo interreligioso, secondo le indicazioni della sua fondatrice. Perché, come amava ripetere un altro protagonista dell’ecumenismo contemporaneo, il cardinale Jean-Louis Tauran, scomparso nel 2018, presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, “conoscersi è riconoscersi”. Riconoscersi credenti nello stesso Signore Gesù Cristo e nello stesso Vangelo annunciato e testimoniato dagli apostoli, in un mosaico di tradizioni diverse espresse in differenti culture e teologie. Questa è l’eredità che Maria Vingiani ci ha lasciato. Questo è il contributo che la storia dell’ecumenismo, passando per la nostra arcidiocesi, ha raccolto e portato nel mondo attraverso la vocazione di una donna nata a Castellammare di Stabia quasi un secolo fa.

di Giuseppe Manna