Servizio Pastorale Giovanile

La vocazione: una postura

Primo appuntamento con i martedì di quaresima per i giovani della nostra diocesi

Sorrento 12 Marzo 2019 Inizio del cammino dei martedì di quaresima che condurrà i giovani alla Pasqua dei Giovani il prossimo 13 Aprile a Castellammare di Stabia.

Sembra tutto pronto, i ragazzi iniziano ad entrare nel teatro Sant’Antonino; qualcuno è puntuale, qualcun altro arriva in ritardo. Molti giovani sono accompagnati dai loro parroci: arrivano da Gragnano, Pimonte, Castellammare di Stabia, Massaquano, Sant’Agata, Arola e Massa Lubrense.

La serata inizia in un modo un po’ bizzarro: un gioco sul mimo, durante il quale alcuni ragazzi sul palco attraverso i propri gesti, le proprie smorfie e la propria corporeità devono far capire alla squadra qual è la parola detta loro all’orecchio: sono tutti “mestieri”: suora, trapper, blogger, avvocato.

Subito dopo sullo schermo viene proiettato il “video-spot” che preannuncia il tema di cui si parlerà: la vocazione.  E’ tutto buio e dal palco si intravede una sagoma, poi si accende una luce ; chi è seduto in platea ha l’opportunità di vedere chi è in procinto di parlare. Si sente una voce femminile, dice di chiamarsi Annalisa e dice di avere qualcosa di interessante da dire a noi giovani.

Il suo intervento inizia così:

“Se ci penso bene, frequento ambienti cattolici da sempre. A 4 anni sono stata iscritta a scuola dalle suore. A 7 anni al catechismo. A 10 anni ho cominciato a frequentare l’azione cattolica e mi sento di dire, con una certa approssimazione al vero, che non ho mai più smesso. Una delle prime cose che impari negli ambienti cattolici è che il Signore ha una vocazione per te, un progetto e quando lo troverai sarai felice. Così io mi sono messa lì ed ho aspettato la mia vocazione, la mia chiamata: avrei detto “si” e ne sarei stata felice. Nella mia testa la vocazione era costituita da due grandi elementi: un lavoro, il mio lavoro, ed un compagno: l’uomo della mia vita, uno, quello giusto, per sempre. Mi sono messa ad aspettare, qualcosa sarebbe successo. Ed effettivamente sono successe parecchie cose: ho intrapreso un paio di carriere ma ho fallito entrambe e ho frequentato qualche uomo ma le mie storie finivano tutte. Qualcosa non tornava, dov’era la mia vocazione: Dio si era dimenticato di me? C’è una parte del profeta Isaia dove Dio dice: “Può una donna dimenticarsi di suo figlio? Se pure una donna si dimenticasse, io non ti dimenticherò”, se il Dio della Bibbia è quello in cui credo, allora Dio non dimentica, non mi dimentica. Eppure i conti non tornavano, qualcosa non andava. Allora forse la vocazione non è un copione da eseguire, un destino (amoroso e non) da incontrare, anche perché più passava il tempo più mi accorgeva che gli incontri, le possibilità che la vita mi dava dipendevano spesso da me, dalle mie paure, dai limiti che mi imponevo o che riuscivo a superare. Ho cominciato a pensare che forse la vocazione era qualcosa di più determinante, di più profondo di un titolo di studio o di uno stato all’anagrafe. Mi sono chiesta ad esempio che vocazione avevano quelli che erano bloccati in un letto: quelli Dio li aveva scaricati? Erano inabili alla vocazione? Ma il Dio che conosco io è quello che ha un pensiero per tutti, specie per gli ultimi. Così ho cominciato a pensare che la vocazione prima che un fare, è un essere, un modo di stare nel mondo, un modo di calpestare la terra, un modo unico, che ognuno di noi ha se lo tira fuori e può essere suo in un letto d’ospedale, in un bar, in un campo di concentramento, da moglie, da single, da suora, da impiegato …”

Dietro Annalisa improvvisamente spunta una scritta a caratteri cubitali:

“Abitare con se stessi per vivere nel modo più pieno possibile la propria umanità,
dunque la propria vocazione, poiché essa, prima di esprimersi in una scelta,
è più radicalmente una postura da assumersi nell’esistenza!”
(Enzo Bianchi, Monaco di Bose)

Annalisa ci racconta che un giorno, nell’introduzione di un libro, ha trovato questa frase: “la vocazione, prima che esprimersi in una scelta, è più radicalmente una postura”.

Una postura, un modo di stare nel mondo, di calpestare la terra: ogni uomo ne ha una. Vocazione è trovare quel modo, costruirlo, rinegoziarlo ogni giorno, ad ogni incontro. Annalisa dice di essere una donna e di esserlo profondamente, fra le braccia di ogni uomo che la ha stretta e lontano da quelle braccia, lo è in una promessa di fedeltà e nella solitudine di certe stagioni. Annalisa è un grembo fertile, è accoglienza: lo è se genera, se anima, se gioca, se fa l’avvocato, il professore, il salumiere, il giornalaio: lo è in ogni istante della sua vita e lo è a prescindere da titoli e sottotitoli. Da sempre e per sempre. Dunque vocazione come postura, come modo di stare al mondo.

La serata si conclude con la lettura del brano dell’annunciazione di Maria (Lc 1,26-38) e con le parole di don Paolo a fare sintesi dei momenti vissuti e a ricordarci che anche Maria ha saputo dire il suo , il suo eccomi mentre stava facendo chissà cosa, semmai lavando a terra, facendo il bucato oppure leggendo qualcosa. E proprio da quella scelta di Maria, del suo essere pienamente e liberamente se stessa, è proprio da quel modo di essere, da quella “postura” che ha inizio la storia più bella e grande che ha stravolto e ancora stravolge l’umanità.

di Andrea Casa