Servizio Ecumenismo e Dialogo Interreligioso

La voce infinita di Dio nel silenzio del mondo

Come fare affinché il silenzio non si faccia ammutolimento? Non è la stessa cosa mica. Di certo, l’effetto è lo stesso: intorno e dentro di noi, in certi momenti, mancano le parole, ma lo sfondo è affatto diverso; infatti, se quando il cuore ammutolisce perdiamo ogni senso e riferimento, il silenzio invece può aprirci alla preghiera; un dialogo costante e infinito con l’Alterità.

Per un attimo, riportiamo i nostri giorni a prima della Pandemia. Un flusso di rumore ininterrotto abitava le nostre giornate, fatte di impegno, lavoro, preoccupazioni, egoismi. Non c’era tempo e spazio per il silenzio. Non concedevamo nulla, ma proprio nulla, all’intima dimensione del raccoglimento e, il più delle volte, la stessa preghiera diventava per noi credenti, e in maniera inaudita, una sorta di formale adempimento. Poi il perturbante è entrato nelle nostre vite; un’ambivalente percezione per la quale una cosa ci sembra al contempo familiare e straniera, amica e nemica, vicina e distante. Erano così le nostre strade, al tempo del lock down: pullulanti di vita e chiassose nel ricordo e nell’immaginazione; allucinanti, vuote, spaventose nel deserto del possibile contagio. Steven Shapin, storico e sociologo della scienza, in una recente intervista, ha sottolineato quanto sia importante quello che stiamo vivendo perché ci permette di riconsiderare la prospettiva dei limiti dell’umano. Secondo Shapin, soprattutto noi Occidentali, eravamo “pervasi dall’aspettativa irragionevole del medico come mago, per cui per ogni malattia c’è un rimedio efficace” e subitaneo. L’immaginario delle ultime generazioni figlie del Novecento aveva trascurato che la scienza è fatica, ricerca, probabilità di riuscita e certezze di successo sempre più ampie, ma per gradi e approssimazioni mediate dalla pazienza dell’intelligenza.

Ora, pur nel confermare l’importanza della medicina e della ricerca, imprescindibili risorse per la risoluzione di questo morbo, l’uomo è anche preghiera e, alla luce di tale preziosa realtà, l’Alto Comitato per la Fratellanza Umana, ispiratore del Documento sulla Fratellanza Umana, firmato da Papa Francesco e dal Grande Imam di Al-Azharm, Amhed al-Tayyeb, il 24 febbraio del 2019, ha chiesto a ogni persona di rivolgersi a Dio; “a seconda della sua religione, fede o dottrina, di rivolgersi a Dio facendo digiuno e opere di misericordia, affinché Dio elimini questa pandemia”. Il 14 maggio, dunque, tutte le religioni in preghiera per chiedere a Dio Nostro Padre la fine della pandemia. La preghiera del cuore non è fonazione di suoni, ma intimo dialogo con qualcuno. E’ una relazione sul modello dei Vangeli che ci mostrano più volte Gesù in dialogo col Padre; e si dialoga sempre con una realtà viva e presente innanzi a sé. E’ talmente importante entrare in questa intimità che lo stesso Luca ci esorta a dire “Signore, insegnaci a pregare” (Lc 11,1).

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La preghiera non è, dunque, flatus voci, come qualcuno potrebbe pensare, ma forza e potenza. In essa è insita la possibilità dell’inaudito, di una presenza salvifica attraverso la “bestemmia” del segno, per aprire il cuore dell’uomo e convertirlo al Mistero. Nessun uomo, tantomeno se credente, si scandalizzi dinanzi alla possibilità del miracolo: “Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso – sradicati e va a piantarti nel mare – ed esso vi obbedirebbe” (Lc, 17,5).

Questa prospettiva di senso potrebbe davvero cambiare il cuore dell’uomo e ridurre, nel mondo, morte e sofferenza. A tal proposito, quante morti da coronavirus si sarebbero potute evitare, al netto dell’infezione ovviamente, se l’uomo avesse avuto un po’ più di attenzione verso il suo fratello sofferente. Emanuel Lévinas, il grande filosofo lituano naturalizzato francese, aveva intuito, nell’immanenza dell’umano, la presenza di un’alterità (diciamo noi a modello dell’Alterità divina): pensare vuol dire prestare ascolto all’infinità della Parola nascosta nell’altro che ti passa e vive accanto. Ancora una volta pregare è questo intenso dinamismo tra anime e, per un attimo solo, pensiamo alla purezza e bellezza di un grido corale di tutti a Colui che solo può davvero darci Parole di vita eterna: chi ama non può non ascoltare.

Rivolgersi a Dio con una voce umana costa certo fatica, perché le nostre voci sono dissonanti e manifestano difficoltà a trovare fra loro la giusta armonia. Come la zizzania, sempre si annidano pensieri molesti e fanno sorgere, anche in noi che dovremmo essere animati da Fede viva e profonda, il dubbio che pregare possa non servire a niente. Anche dal lontano mondo pagano, però, ci viene una suggestione in senso contrario. L’imperatore Marco Aurelio, noto qui più come filosofo attento alle vicende dell’umano perire che come uomo di potere, afferma sulla preghiera, nei suoi “Ricordi”: “Ma chi ti dice che gli Dei non ci aiutino in ciò che dipende da noi? Comincia a pregare e vedrai”. E’ opportuno rimarcare l’accento su questa locuzione: “ciò che dipende da noi”. Pensiamo sì alla pandemia, ma soffermiamo per un attimo l’attenzione al mondo che questa pandemia ha trovato; un mondo già in crisi globale. Ci sono in giro 70 milioni di profughi, disagiati, emarginati che vivono nelle periferie del mondo; Afghani nel loro Paese, i Siriani ridotti allo stremo in una guerra impossibile per senso e natura: 5 milioni di Venezuelani sparsi in America Latina, i centri delle isole greche traboccanti di profughi all’inverosimile. Nel nostro Occidente la maggior parte di rifugiati e di migranti è fatta di persone che vivono ai margini, di mestieri alla giornata e di salari precari. Quando un’epidemia si diffonde i primi a perdere sono proprio loro perché, se in condizioni ottimali le possibilità di sopravvivenza al male pur ci sono, in altri contesti manca proprio la struttura del possibile. Il Premier britannico Boris Johnson, in una sua recentissima intervista, nel dire che temeva di non farcela, ha ben messo in evidenza che ha consumato litri e litri di ossigeno. Chissà se un giovane adolescente, a Nairobi o nella banlieue parigina avrebbe avuto le stesse opportunità. E allora la preghiera potrebbe anche iniziare da lì: aiutarci a trovare la luce per “ciò che dipende da noi”.

Papa Francesco ha quindi “accolto con gioia la proposta dell’Alto Comitato per la Fratellanza Umana per implorare tutti insieme l’aiuto di Dio”. Il 14 maggio, dunque, che non sia un giorno come gli altri, ma una finestra del mondo con l’Eterno. Dio non delude. E sempre nella storia è stato così. Tra le pieghe della stessa ne rinveniamo ovunque i frammenti; questo senso di presenza misteriosa a cui chiedere, che abita da sempre nell’animo umano, nei profondi recessi di ogni persona, è lì che attende. Benedetto XVI, ad esempio, in una sua lontana Catechesi del Mercoledì (4 maggio 2011), ci parla dell’universalità della preghiera e del bisogno che abbiamo di far suscitare questa relazione sopita tra noi e Dio. La preghiera è sì richiesta, ma per vedere l’Amore. Il Papa emerito cita, fra i tanti, il caso di un cieco, nell’antico Egitto, che chiede alla sua divinità di restituirgli la vista. Non per avere un semplice sguardo sul mondo, ma “perché il mio cuore desidera vederti”. Il miracolo non è funzionale a se stesso (non lo è mai stato). Il vero miracolo è la relazione con l’Altro che permette a quell’uomo di vedere e incontrare Dio nel suo cuore. Sempre Benedetto XVI ricorda Proclo di Costantinopoli, uno degli ultimi filosofi della paganità, di confine quasi tra mondo cristiano bizantino e pensiero greco: “Da Te ogni anelito dipende, o Ineffabile, che le nostre anime sentono presente a te elevando un Inno di silenzio”.

Un inno di silenzio. E torniamo così al silenzio, che non è ammutolimento, ma armonia misteriosa dove è possibile accogliere la voce infinita di Dio nel silenzio del mondo raccolto in preghiera. Il 14 maggio allora non dimentichiamo di vivere appieno questo momento di intimità con Dio e mostrare alla Sua presenza le tracce della nostra debolezza, così come la preghiera, Papa Francesco ce lo ha ricordato, è la debolezza di Dio.

di Raffaele Fontanella