Tre nostri seminaristi pellegrini a Santiago de Compostela

Tre nostri seminaristi sono stati pellegrini a Santiago de Compostela. Il cammino di Santiago de Compostela è il lungo percorso che i pellegrini fin dal medioevo intraprendono attraverso la Francia e la Spagna per giungere al santuario dove c’è la tomba di Giacomo il Maggiore. Antonino Gargiulo, Catello Imparato e Tommaso Morra hanno partecipato all’esperienza estiva proposta dal Pontificio Seminario campano interregionale. Sono partiti il 5 luglio con un volo dall’aeroporto di Napoli per Monaco e successivo volo per Madrid. Da Madrid sono giunti in autobus ad Astorga (a 250 chilometri da Santiago) e pernottamento in ostello. Dal 6 luglio, ogni giorno, la sveglia è stata alle 5, con partenza zaini in spalla alle 6. L’arrivo a Santiago è stato il 17 luglio. Il 18 luglio i seminaristi hanno avuto una giornata libera a Santiago. Infine, il 19 luglio partenza dall’aeroporto di Santiago con volo per Roma e Treno Frecciarossa Roma-Napoli. In tutto sono partiti in 21 della comunità di primo anno del Pontificio Seminario campano interregionale, accompagnati dal loro animatore di anno padre Nicola Bordogna sj.
Di seguito le esperienze dei tre seminaristi.
 
Il racconto di Antonino
Durante i primi giorni mi sono impegnato a ricercare una motivazione personale o comunitaria che mi spingesse verso Santiago, ma sinceramente ho fatto difficoltà ad individuarne una in particolare. Lo spirito che mi ha accompagnato è stato quello di voler gustare a pieno ogni attimo di tutto il cammino e viverlo come un dono gratuito che il Signore ha preparato per me e per tutti i miei compagni di seminario.
Dopo le prime tre tappe di ambientamento e di adattamento a ritmi del tutto nuovi, ho riscoperto la bellezza dello stare assieme a compagni di cammino e di vita, con i quali poter condividere passo dopo passo fatiche, ansie, dolori, gioie, paesaggi incantevoli, silenzio, euforia, acqua, cibo e comunione nella semplicità e verità che si vivono necessariamente lungo il percorso. Pian piano i chilometri accumulati mi hanno purificato da tante maschere e catene rendendomi più libero di essere me stesso assaporando la possibilità di incontrare il Signore anche nei miei difetti.
Durante il cammino ho potuto sperimentare la bellezza di tre tipi diversi d’incontro con il Signore: quello attraverso il silenzio interiore lungo il cammino, quello attraverso il condividere tutto me stesso con i fratelli di seminario, quello attraverso i volti degli altri pellegrini.
Durante il cammino tutte le emozioni che ho provato sono state amplificate da un’atmosfera che mi ha permesso di riscoprire me stesso come pellegrino lungo la strada che porta a Gesù Cristo. La comunione con gli altri fratelli di seminario mi ha dato la possibilità di rileggere il nostro anno vissuto a Posillipo e ho capito che la nostra diversità non è di inciampo al nostro cammino proprio perché anche se a volte abbiamo passi differenti stiamo camminando tutti verso la stessa meta. L’incontro con gli altri pellegrini diretti a Santiago mi ha dato la possibilità di confrontarmi e aprirmi con persone di tutto il mondo permettendomi di fare un’esperienza di umanità e di fraternità che va al di là del credo religioso e della lingua. Mi sono sentito realmente parte di un popolo in cammino verso la propria felicità e voglia di vivere.
Arrivati a Santiago abbiamo attraversato la città e siamo giunti alla piazza centrale dove è partita una corsa di gioia tra grida ed applausi per il traguardo raggiunto.
Lì a Santiago ho avuto la possibilità di pregare sulla tomba di San Giacomo Apostolo al quale ho chiesto di farmi essere sempre di più pellegrino sulla strada del Signore e affidarmi e fidarmi della Sua Parola.
Durante l’eucarestia in cattedrale a Santiago abbiamo ascoltato il Vangelo della resurrezione della figlia di Giairo (Mc 5, 35-43). Ascoltando la parola di Dio in spagnolo, sono risuonate con forza nel mio cuore le seguenti parole: “Muchacha, a ti te digo, lavàntate”. Questa parola mi ha riportato al fondamento del mio essere cristiano: alzati dal tuo letto di pigrizia e mediocrità perché Gesù è risorto e ti chiama a vivere da “sveglio” giorno dopo giorno, passo dopo passo.
Buen camino a todos.
 
Il racconto di Catello
Sono partito alla volta di Santiago con un bel carico di entusiasmo, più si avvicinava la data della partenza, più scalpitavo dal desiderio di partire. Il viaggio in aereo per raggiungere Madrid e le ben cinque ore di autobus per raggiungere Astorga (città da cui abbiamo iniziato il cammino) hanno contribuito subito a farci entrare nel clima giusto: il clima del pellegrinaggio.
Gli spunti di riflessione che il cammino offre sono talmente tanti che ci si potrebbe perdere: il paesaggio, l’incontro, la precarietà, la fatica, la pioggia, il caldo e così via, potendo proseguire quasi all’infinito. Ma ciò che mi ha toccato più profondamente vorrei condensarlo in tre parole: cammino, ascolto e preghiera. Tre semplici parole che mi hanno fatto da “freccia” lungo il cammino spirituale.
Cammino. Questa parola, dato il contesto, può sembrare alquanto scontata, si tratta però di qualcosa di molto profondo. Il camminare non è riducibile alla mera successione di passi compiuti per spostarsi, in breve un movimento fisico e individuale, ma è una metafora per rivolgerci verso un movimento interiore. È proprio questo che ho sperimentato lungo la strada: la relazione di analogia che intercorre tra il camminare e il cammino spirituale. Inoltre, anche se può sembrare il contrario, il cammino interiore non è mai un atto individuale e neutro rispetto alla rete di relazioni in cui siamo inseriti. Ogni pellegrino che si rispetti, oltre al suo zaino, porta con sé il bagaglio relazionale da cui proviene. «Non camminerai mai da solo». Così dice un famoso motto del cammino di Santiago e noi abbiamo camminato come comunità aperta all’incontro con l’altro.
Ascolto. L’atto del camminare è messo in moto per lo più dalle nostre facoltà fisiche. Lo start del cammino interiore invece è acceso dalla Parola di Dio, dunque l’ascolto. Il vero ascolto implica un movimento, accende in noi il motore dell’interiorità, che non vuol dire intimismo, ma che al contrario mette l’uomo in un atteggiamento di apertura tale che ogni persona è per lui prossimo. Chi ascolta la parola di Dio, ascolta l’uomo, ed è capace di accogliere l’altro o di cercarlo, in un modo che è dato, in maniera gratuita e mai banale, dall’Amore di Cristo. Lungo la strada ho incontrato tante persone disposte a entrare in questo modo di relazionarsi, a farsi prossimo. Persone con cui gesti e parole potevano essere scambiate fraternamente e senza paura, da pellegrino a pellegrino.
Preghiera. Durante il cammino si consumano parecchi sali minerali e carboidrati, per questo è importante, oltre che l’acqua, portare con sé la giusta quantità di frutta secca da sgranocchiare durante le pause. Allo stesso modo il cammino interiore necessita di un valido carburante: la preghiera. Lungo la strada, lo stesso camminare, si è trasformato in preghiera e meditazione. I momenti di preghiera, catechesi e condivisioni comunitarie, sono stati una spinta che ci ha accompagnato e sostenuto durante le giornate. Allo stesso modo, la partecipazione quotidiana all’Eucaristia, è stato un ripercorrere l’esperienza dei discepoli di Emmaus.
Infine, l’esperienza del cammino è uscita da se stessi, da una mentalità individualista, ad una mentalità di apertura all’altro. Non a caso, abbiamo riflettuto a lungo sulla figura di Abramo, al quale Dio dice: «Esci dalla tua terra» e «conta le stelle, così sarà la tua generazione». Io di stelle ne ho trovate, ma solo alla fine del cammino le ho riconosciute: era il mio prossimo, alcuni partiti con me, tanti trovati lungo la strada, altri portati nel cuore e nella preghiera.
 
Il racconto di Tommaso
Riporto qui in pillole quanto di bello ho ricevuto nei quindici giorni di cammino vissuti nell’esperienza estiva proposta dal Pontificio Seminario campano interregionale.
Si è trattato, innanzitutto, di un’esperienza umana, basata sulla fatica fisica e sull’adattamento ad una condizione di essenzialità e vita comunitaria. Tanto per elencare alcune cose: camminare adeguandosi al passo degli altri; cambiare ostello ogni giorno e adattarsi alle condizioni della struttura, magari già affollata da una cinquantina di altri pellegrini; svegliarsi all’alba per evitare di camminare nelle ore più calde.
Naturalmente, i frutti del cammino hanno ripagato la fatica del percorrerlo.
Nei momenti di fatica sono cadute le barriere dell’autocontrollo e si sono fatti più chiari i lineamenti del carattere di ciascuno, molto più che in un anno passato insieme in seminario.
Camminando abbiamo conosciuto ogni giorno persone di tutto il mondo, credenti e non, ciascuna con la sua motivazione personale per intraprendere un cammino così lungo.
Inoltre, è stato bello capire che avrei potuto fare a meno della metà di quanto avevo nello zaino, e soprattutto che la cosa più bella è svegliarsi al mattino sapendo che la giornata aveva un fine, sebbene si trattasse solo di un luogo da raggiungere.