Ubi caritas, Deus ibi est

Alcuni nostri seminaristi hanno vissuto a Roma un’esperienza di solidarietà sul campo. Ecco il loro racconto.
 
Ubi caritas, Deus ibi est
 
Bastano due settimane a farti cambiare prospettiva? Possono soli quattordici giorni a smuovere anima e coscienza che improvvisamente, dall’assopimento della calura estiva, balzano ritte in piedi a gridare: “Ehi, il Vangelo, cosa credete che sia se non questo?”.
Questa una delle note risuonate nel tempo di questa esperienza che il seminario di Posillipo propone alla comunità che dal terzo passa al quarto anno di cammino.
Un’ esperienza che ha coniugato vita comune, a San Saba dove alloggiavamo e gestivamo la casa, e servizio agli ultimi, al Centro Astalli per i rifugiati politici, e in Caritas, per molti, tantissimi poveri, abbandonati, gente sola.
Nel buio dell’indistinto, fendente come la luce della torcia che si usava la notte al dormitorio della Caritas per controllare che tutti fossero tornati ai propri letti, ciascuno di noi si è ritrovato scoperto dalla luminosità, talvolta fastidiosa, della radicalità evangelica che ti fa chiedere: “Perché questa gente deve vivere così, cosa ha fatto di ingiusto o sbagliato per meritarsi tutto questo, e soprattutto, io cosa ho fatto per meritarmi di vivere tra mille agi, per quanto normale sia la vita di ciascuno di noi?”.
Stare a contatto con queste persone, che in Caritas più che al Centro Astalli sperimentano la brutalità della povertà, quella povertà reale che ti abbrutisce come persona, non può lasciarti indifferente, ti stimola almeno a pensare che come io vivo, forse, non è considerato giusto agli occhi di Dio. E non perché dovrei vendere tutto quello che ho o semplicemente abbandonarlo all’incuria e far finta di non averlo spacciandomi per povero, no, non questo significa vivere la povertà evangelica; la vera povertà è avere la capacità di possedere anche delle cose ed essere liberi e generosi nel condividerle, nel mettere i poveri a farne parte.
È questa povertà che dovremmo imparare, non vendere casa per restare senza tetto, ma condividere il mio tetto con altri che non possono permetterselo; non fare pacchi e portarli a gente sconosciuta e indistinta ma vivere con loro condividendo ciò che è mio. È questo che Gesù ci ha mostrato.
E così, a chiudere la partitura, ci ha pensato la vita comune, difficoltosa su tanti aspetti, soprattutto quando non hai delle persone che sbrigano al posto tuo delle mansioni casalinghe. Questa è la vera cartina al tornasole che dà ragione, confermando o smentendo, della nostra disponibilità a vivere evangelicamente, perché come Gesù, prima dobbiamo imparare a lavarci i piedi gli uni gli altri, all’interno del cenacolo con chi ci è più vicino e poi, solo dopo aver fatto propria questa difficilissima e scomoda arte, potremmo andare incontro ai lontani a lavare i loro piedi.

 

La comunità del 4° anno