Omelia per l’apertura dell’anno liturgico-pastorale 2024-2025

23-11-2024

Cattedrale di Sorrento
23 novembre 2024
Solennità di Gesù Cristo, Re dell’universo

Omelia per l’apertura dell’anno liturgico-pastorale 2024-2025

Cari amici,

il nuovo anno liturgico-pastorale che ci prepariamo a vivere ci trova in pieno cammino sinodale. Da poco si è concluso il Sinodo dei Vescovi sulla sinodalità. Il Documento finale, che Papa Francesco ha fatto suo consegnandolo a tutto il Popolo di Dio per la necessaria traduzione nella propria realtà ecclesiale, è affidato ora alla ricezione di tutte le Chiese sparse sulla terra e ci impegna a ripensare il nostro servizio al Vangelo secondo quanto ci è stato suggerito dai padri e dalle madri sinodali. Intanto è giunto alla sua tappa centrale, quella profetica, l’itinerario sinodale che stiamo condividendo con tutte le Chiese che sono in Italia. Prima la fase dell’ascolto, che ci ha visti attivi ed entusiasti nell’esperienza della conversazione nello Spirito, con i “giri di ascolto” e i “cantieri di Betania”: ci siamo riscoperti uniti dallo stesso vincolo battesimale e abbiamo imparato a prestarci ascolto vicendevolmente, senza escludere nessuno. Poi la fase sapienziale, per apprendere la difficile ma essenziale arte del discernimento comunitario: su questa via dobbiamo continuare ad esercitarci, per acquisire sempre più un metodo che ci aiuti ad arrivare a un consenso comune e a scelte condivise, non predefinite né frutto di accordi di gruppi in conflitto con altri. Ora siamo alla fase profetica: nelle prossime settimane avremo tra le mani lo “strumento di lavoro”, frutto della Prima Assemblea di tutte le delegazioni diocesane la settimana scorsa a Roma. Saremo chiamati a dare il nostro contributo puntuale e concreto, perché la Seconda Assemblea sinodale in programma ancora a Roma nella prossima quaresima possa effettuare scelte coraggiose e profetiche per una urgente riforma della pastorale missionaria nelle nostre Chiese. Nessuno si tenga fuori da questo cammino. È lo Spirito che ce lo chiede, se vogliamo essere fedeli alla chiamata ricevuta e allo stile che la Chiesa ha assunto fin dalla prima comunità cristiana quando, riunita a Gerusalemme, secondo le indicazioni del Risorto, attendeva unita il dono dello Spirito “mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste” (At 2,1).

       Il Giubileo che ci stiamo preparando a vivere con tutta la Chiesa ci sarà senz’altro di grande aiuto. L’anno speciale di grazia, segno della misericordia del Padre per tutti i suoi figli, ci trova pronti a metterci in cammino come “pellegrini di speranza”, secondo le indicazioni offerteci da Papa Francesco nella Bolla di indizione: alla ricerca dei “segni dei tempi”, per riconoscere la voce dello Spirito nella vita delle nostre comunità ecclesiali e nella società civile. Ma di quale speranza si tratta?

L’interrogatorio di Pilato a Gesù è al centro di questa liturgia, nella solennità di Gesù Cristo Re dell’universo. Due mondi, diametralmente opposti, sono posti l’uno di fronte all’altro, in un dramma che rappresenta simbolicamente la storia dell’umanità. Per Pilato tutto si risolve in una logica terrena, nell’ottica del potere da lui incarnato con la forza della prepotenza e di una presunta supremazia che gli preclude l’accesso alla verità. Per Gesù invece conta sempre, anche in questo momento estremo, la persona che ha davanti e con la quale entra in relazione, fino a offrire con la sua sorprendente testimonianza di libertà una possibile via di salvezza. Pilato però non guarda lontano. Ha addirittura paura di un futuro che potrebbe rivoltarsi contro di lui, a causa di scelte che le circostanze presenti lo costringono a fare. Gesù invece vede in profondità. Apre il suo cuore perché l’avversario vi scopra un fratello, il giudice un amico, il dominatore un testimone della verità. Gesù gli annuncia un mondo nuovo, aperto alla giustizia e alla pace, non segnato da violenza e terrore. Ma Pilato non può capire, non vuole aprirsi, non riesce a farsi toccare nell’intimo. La sua fragile speranza, che tutto si concluda presto e bene per lui, subito svanisce nel nulla. La sua apparizione sulla scena del potere, tragicamente solo, è priva di ogni fondamento. La storia lo ricorderà, ma senza alcun elogio o simpatia nei suoi confronti: da lui non possiamo imparare niente, se non il rischio da cui difenderci di vivere senza speranza.

Tutta la liturgia della Parola ci invita oggi a recuperare il senso della speranza. Dal libro di Daniele siamo stati esortati a non perdere la speranza “guardando nelle visioni notturne” (Dan 7, 13), per riconoscere i segni del Figlio dell’uomo che viene anche nel buio più fitto della storia, come quello che oggi stiamo sperimentando: un potere nuovo ed eterno, che unirà tutti i popoli in “un regno che non sarà mai distrutto” (v. 14). Ecco la speranza dei credenti, che i profeti ci ricordano con forza: ha sorretto la loro vita e può farlo anche per noi, fino a trasformarci in un Popolo di artigiani di pace e costruttori di fraternità. Il libro dell’Apocalisse poi ci ha riportato la testimonianza dell’apostolo e della comunità nel tempo delle persecuzioni. Tenendo fisso lo sguardo su Gesù, “il sovrano dei re della terra” (Ap 1, 5), la Chiesa può innalzare l’inno di lode a Colui “che ha fatto di noi un regno” (v. 6). È la speranza che fa vedere avanti, che anticipa il futuro nella certezza della fedeltà del Padre alla sua promessa. Vale la pena continuare il cammino, purificando mentalità e stili di vita come le lettere alle sette Chiese indicano con forza, perché “ecco, viene con le nubi e ogni uomo lo vedrà” (v. 7). Che visione stupenda, capace di trasformare il cammino della storia, proprio mentre sembra che tutto stia soccombendo!

Ritorniamo ancora per un momento alla scena evangelica. Domandiamoci: cosa spinge Gesù a non cedere dinanzi all’incomprensione più totale, alla chiusura saccente e superficiale, alla logica assurda e inaccettabile dell’abuso di potere di chi vuole dominare sulle persone, calpestando la dignità della coscienza? “Per questo io sono nato” (Gv 18, 37): Egli è consapevole di aver ricevuto una missione da Dio. “Per questo sono venuto nel mondo”: non cerca sé stesso, ma vive per gli altri. “Per dare testimonianza alla verità”: chi lo incontra e si fida di lui, scopre di essere amato e sceglie di amare nella libertà. Ecco il fondamento incrollabile della speranza!

Carissimi fratelli e sorelle, senza questa “grande speranza”, come ci ha insegnato a chiamarla Papa Benedetto XVI di venerata memoria, non potremo vivere l’appuntamento sinodale, con le scelte che ci attendono per rinnovare gli stili di vita della prassi pastorale delle nostre comunità. Un popolo di pellegrini non si ferma dinanzi agli ostacoli né si lascia vincere dallo scoraggiamento. Guarda avanti, con fiducia. Apprezza il contributo di ciascuno, sa aspettare perché nessuno resti indietro e allo stesso tempo cammina a passo sostenuto perché è attratto dalla meta. Nutre grandi ideali e li condivide con entusiasmo. Ma impara a fare scelte concrete, verificando l’itinerario sui tempi dei più fragili. Rinuncia con determinazione a ogni forma di chiusura e di individualismo pastorale, per lasciarsi guidare dalla voce dello Spirito che spinge verso orizzonti nuovi di condivisione, di dono di sé, di piena comunione.

Il Sinodo dunque non è l’utopia di pochi idealisti. Neppure si riduce a un sogno che allontana irrimediabilmente dalla realtà. Così ho scritto al clero della diocesi, nella lettera che sono solito ogni anno indirizzare loro a conclusione degli Esercizi Spirituali condivisi con un gruppo, non numeroso ma sempre ben motivato, di preti e diaconi. È al contrario il punto di partenza da cui riprendere il cammino tutti insieme. È lo stile che potrà caratterizzare la nostra testimonianza di discepoli del Signore. È la modalità concreta che come credenti vogliamo offrire per essere al servizio degli uomini e delle donne con cui percorriamo uno stesso tratto di strada. È in una parola la speranza tradotta in azione, che ci unisce a tutti e ci fa anticipare il futuro.

Dal tribunale di Pilato al cenacolo, in attesa del dono promesso dal Risorto per raggiungere i confini della terra: ecco il pellegrinaggio della Chiesa che, ininterrotto, continua anche con il nostro piccolo ma indispensabile contributo. Impariamo da Maria che, con gli apostoli, i discepoli e le donne, “erano tutti perseveranti e concordi nella preghiera” (At 1, 14). A Lei chiediamo di restare anche noi uniti, sostenendoci a vicenda e crescendo nell’amicizia spirituale. Per Sua intercessione viviamo questo passaggio, la nostra Pasqua, tutti insieme. Scenda lo Spirito e ci renda testimoni coraggiosi, profeti arditi, annunciatori umili e liberi, capaci di prodigi come allora

“mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste” (At, 2 1).

AMEN.

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