Concattedrale di Castellammare di Stabia
29 dicembre 2024 Festa della Santa Famiglia
Omelia per l’apertura diocesana del Giubileo
“Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”
La domanda che Gesù rivolge ai suoi genitori riguarda anche noi. È vero, ci troviamo in una condizione diversa dalla loro, che gli avevano appena confidato: “angosciati, ti ceravamo”. Gli avevano così aperto il cuore, confessando smarrimento, paura, terrore di perdere colui che era stato loro affidato dall’Altissimo come dono per tutto il popolo. E ora che lo avevano ritrovato, l’angoscia cede il posto alla confusione e al turbamento, nell’incomprensione più totale ma anche nel desiderio di capire almeno qualcosa del mistero che li tocca così da vicino: “perché ci hai fatto questo?”. Alla famiglia di Gesù non è risparmiata la fatica del credere. Passo dopo passo i suoi genitori devono imparare ad aprirsi al dono, a rispondere ogni giorno alla chiamata, a cercare di riconoscere i segni della presenza di Dio nel fanciullo che cresce sotto i loro occhi. Ed essi nel silenzio ascoltano e custodiscono le parole che neppure comprendono, ma che portano nel cuore mentre riprendono il cammino.
“Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”
Sorelle e fratelli carissimi, sentiamola rivolta a noi questa domanda. A noi che oggi siamo riuniti in questa concattedrale, in comunione con tutte le Chiese locali del mondo per iniziare insieme, in ogni diocesi, l’anno giubilare. A noi che avvertiamo la grandezza di questo momento storico, la bellezza di un’esperienza di famiglia diocesana radunata in via del tutto straordinaria in questi giorni di festa, la gioia del Popolo di Dio in cammino verso la patria del cielo. A noi che sentiamo allo stesso momento tutto il peso e la responsabilità di un impegno urgente, gravoso, carico di conseguenze: attraversare la porta della speranza che è Cristo Signore, per inoltrarci tutti insieme sui sentieri evangelici della fratellanza, della concordia, della pace. Ci riusciremo? Accoglieremo l’invito che la Chiesa ci rivolge con sorprendente insistenza a farci “pellegrini di speranza”? Le parole di Papa Francesco fanno eco alla voce dello Spirito e traducono nel linguaggio del nostro tempo quanto ci viene consegnato dalla lunga e consolidata tradizione giubilare:
“A noi, tutti, il dono e l’impegno di portare speranza là dove è stata perduta: dove la vita è ferita, nelle attese tradite, nei sogni infranti, nei fallimenti che frantumano il cuore; nella stanchezza di chi non ce la fa più, nella solitudine amara di chi si sente sconfitto, nella sofferenza che scava l’anima; nei giorni lunghi e vuoti dei carcerati, nelle stanze strette e fredde dei poveri, nei luoghi profanati dalla guerra e dalla violenza. Portare speranza lì, seminare speranza lì” (Omelia della notte di Natale, 2024)
“Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”
L’anno santo che oggi comincia anche nella nostra Chiesa diocesana sia un tempo di grazia per tutti. Ogni famiglia si apra al dono della vita, di cui è fedele e feconda custode: nella comunione reciproca degli sposi, nella trasmissione della fede ai figli, nella ricerca comune della vera libertà e dignità dei figli di Dio, nell’attenzione premurosa ai bisogni dei poveri, nella condivisione del cammino verso la pienezza della comunione con altre famiglie e in particolare quelle segnate da profonde e laceranti ferite. Ogni comunità parrocchiale si impegni ad essere famiglia e si apra a quanti sono in ricerca della verità, a coloro che sono schiacciati dal peso delle proprie colpe, a quelli che chiedono di essere aiutati a trovare un senso nella loro vita spesso vuota e amara, a quei giovani e adulti che vogliono “vedere Gesù” e non sanno dove cercarlo. Ogni comunità ecclesiale esca finalmente dal suo piccolo guscio e vinca la tentazione di rinchiudersi in sé stessa presumendo di bastare alle necessità dei suoi componenti: le parrocchie insieme, abbattendo i confini spesso inutili e a volte perfino dannosi; le famiglie religiose insieme, uscendo da quei particolarismi ancora forti ma anacronistici e sempre mortali; le associazioni e i movimenti insieme, riconoscendo i carismi donati dallo Spirito agli uni e agli altri per formare un solo corpo, senza condannarsi alla sterilità del proprio orticello; tutti i battezzati insieme, uniti a ogni sorella e fratello disposto a non fermarsi per strada rinunciando alla meta, ma proseguendo il cammino con il sostegno dei pastori – diaconi, presbiteri e vescovo – dai quali l’intera famiglia cristiana si aspetta non una perfezione aristocratica e ipocrita ma l’umiltà e la gioia di fratelli chiamati a essere segno sacramentale, povero ma credibile, di Cristo servo e pastore, unico capo della Chiesa.
“Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”
Ora alla domanda di Gesù possiamo rispondere con consapevolezza e fiducia, grazie alla fede degli apostoli e dei santi che ci hanno preceduto nel cammino. Sì, saremo in grado di occuparci anche noi delle cose del Padre se come Maria e Giuseppe ci fideremo di Lui, accoglieremo la sua grazia smisurata, ci lasceremo inondare dalla misericordia e dal perdono. Intraprendiamo dunque questo cammino giubilare, vera esperienza nello Spirito, e tutti insieme facciamoci con gioia
“pellegrini della speranza”!
Amen.
