Bikop 2017: il racconto di un'esperienza missionaria

Siamo un gruppo di persone, originali per età, città in cui tessiamo la nostra vita quotidiana, scelta fondamentale di vita. Ci siamo trovati, scoperti, accolti, intorno ad un progetto, che nello scorso mese di agosto abbiamo realizzato: vivere un’esperienza missionaria in Africa, esattamente a Bikop in Camerun, sicuramente per dare il nostro contributo ad una realtà più bisognosa della nostra, da tanti punti di vista, ma soprattutto per entrare nel loro orizzonte di vita e riportare con noi, a casa, tutto il buono della loro cultura e della loro storia, e così arricchire la nostra quotidianità.  
 
Abbiamo chiesto una “mano” a tutti: l’aiuto generoso di tante persone ci ha permesso sia di sostenere gran parte delle spese del nostro viaggio, sia di portare alla missione che ci ha ospitato, un contributo concreto ed immediato per sostenere le loro tante attività. Francesca Castello, suora delle Ancelle del Sacro Cuore di Gesù, vero cuore pulsante della missione di Bikop, potrà, grazie alla nostra cordata di solidarietà, acquistare il latte per circa 700 bambini di mamme sieropositive che non possono allattare, e completare “Casa Mauro” (dove siamo stati ospitati) tramite suppellettili, materassi e altro materiale per accogliere i volontari, in particolare medici e infermieri, che possano offrire sia il loro servizio sanitario che istruire personale del posto.
 
Ecco la testimonianza di Bianca Pepe, una volontaria del nostro gruppo: 
“Vorremmo partire dalla parola che in molti momenti è stata rievocata in Africa: autenticità! È stata il filo conduttore delle nostre emozioni, dei nostri sguardi e del nostro sentire! La natura prorompente ha fatto da padrona ed ha incorniciato ogni momento. Perché l’Africa è il tutto in mezzo al nulla. È il ricongiungersi alla “primordialità” delle cose, il riscoprire l’immediatezza di un abbraccio se si abbattono le sovrastrutture, perché noi siamo prima di tutto esseri umani. L’Africa è stata per noi l’ammirazione per suor Francesca, che ci ha ospitato con premura e ci ha mostrato, in quarantotto anni di missione, cos’è riuscita a realizzare: un ospedale, una sala d’accoglienza, i dormitori, la scuola. Una donna che ormai è un punto di riferimento per tutto il villaggio. Ci ha mostrato la cruda realtà di un popolo che deve essere responsabilizzato ed educato, non offrendogli semplicemente un aiuto materiale, ma anche un insegnamento: puntare sulla prevenzione, affinché diventino loro stessi insegnanti, educatori, infermieri. Abbiamo trascorso molti pomeriggi con i bambini del villaggio, tra la loro vitalità ed immaginazione: lì i ruoli si sono ribaltati, sono stati loro ad improvvisare giochi e a coinvolgerci nei loro balli e canti. Tutto questo ci ha caricato di energia, che ci ha sorretto anche nei momenti più difficili, quando abbiamo toccato con mano la disumanità delle condizioni di un carcere. Abbiamo assaporato un vero coinvolgimento nella Messa con i detenuti e se, fino ad allora, le nostre sensazioni avevano viaggiato all’unisono, quello è stato il momento in cui nei loro occhi, durante i canti, abbiamo letto sentimenti diversi: chi speranza e canto liberatorio, chi rassegnazione e disperazione. Ma quella è stata anche la sera in cui, durante le nostre condivisioni, ci siamo sentiti particolarmente arricchiti dalla diversità dei nostri punti di vista. Non sono mancati momenti di spensieratezza come il giro in piroga, la visita alle grotte dei pigmei e al santuario delle scimmie. Tutto ciò che avevamo raccolto e tutto ciò di cui la nostra anima si era nutrita, è confluito in un gesto finale: la targa “Maison Mauro” è stata collocata al suo posto, simbolo del sogno, non più dei soli Franco e Teresa, ma di tutti noi. La nostra è stata un’esperienza a tutto tondo, perché non ci siamo fermati alla piccola Bikop, ma abbiamo avuto la fortuna di conoscere altri missionari – come il nostro amato padre Andrea -, ed altre “spazi” autentici della loro quotidianità, come un mercato, in cui ci siamo sentiti spettatori non desiderati. E se è vero che “chi semina datteri, non raccoglie datteri”, siamo tornati con la speranza che almeno qui vogliamo raccogliere i frutti, e per farlo il primo passo è raccontarlo!”