Mio padre lavora, mia madre è una casalinga, i miei fratelli ed io studiamo. Siamo una famiglia unita a cui sono stati impartiti tanti valori ma il primo insegnamento è stato l’amore. Siamo cresciuti così: nella cura, nella presenza e nel rispetto reciproco. Ognuno preserva la propria personalità, ognuno le proprie idee e scelte. Non mancano di certo litigi, urla, lacrime, rabbia che talvolta sembrano inarrestabili ma che dopo poco sfumano per la forza del perdono.
La Pasqua, quest’anno, è stata una Pasqua silenziosa, costruita, sentita, assaporata dalle nostre carni. Quest’emergenza ci ha costretti a stare stretti, stretti nella nostra umanità, nell’incapacità di bastare a noi stessi, stretti nella calma di una giornata vuota, nella libertà di poter scegliere chi essere, cosa indossare e cosa fare: ci siamo smarriti nella assenza di faccende da sbrigare. Allora abbiamo inventato cose da aggiustare, abbiamo osato cucinare dolci ogni pomeriggio, abbiamo provato ad uscire dal ritmo frenetico imposto dal mondo e a pranzo, attorno alla tavola, ci siamo fermati a parlare un po’ più del dovuto. Sembra poco ma tutto questo è tanto.
Fuori c’era il male e allora il telegiornale qualche volta veniva sovrastato dalle nostre voci che volontariamente alzavamo per sentire di meno. C’era il giorno che qualcuno portava sul volto la preoccupazione del male, che cresceva e contagiava rigoglioso, la paura di non scamparlo, le mancanze come una asma non ci lasciavano respirare a pieni polmoni l’aria pulita della città.
Ci siamo asciugati le lacrime come Tu hai asciugato i piedi, chino sulle ginocchia, ai tuoi discepoli. Quell’acqua era il primo segno di una resurrezione, di un rinnovo delle nostre anime. Ci siamo accarezzati le debolezze e siamo stati pane per la fame di carezze altrui. Abbiamo gridato con la voce spezzata le Tue parole “Non temete, io sono con voi” e lo abbiamo scritto con il rosso su un cartoncino che abbiamo affisso alla finestra: così che ogni singola lettera risuonasse viva in chi notava il piccolo pezzo di carta.
Ma nella confusione di un mondo che odia il silenzio, abbiamo palpato l’assenza di Te. Persisteva la convinzione di essere soli, di dover affrontare tutto con le proprie forze. Era ciò che ingannava la percezione delle cose mentre Tu eri lì, al nostro cospetto, a patire su una croce fatta dalle nostre altezzose pretese, dai nostri sciocchi rimproveri di non fare abbastanza, dai nostri egoismi e dalle nostre convenienze. Eri lì in carne, ossa e sangue a mostrare la povertà del nostro spirito, la povertà di una fede scarna di fiducia e perturbata dalle ansie.
Allorché dalla crepa si scorge una luce, si comprende quanto sia cosa rara e preziosa l’unione di piccoli frammenti, come accade secondo un’usanza giapponese per la quale si versa dell’oro tra i cocci di una ceramica per ripararla. E quei piccoli frammenti eravamo noi, che la Tua luce, come oro colato, ha rimodellato. Abbiamo gioito di quel che siamo, della forza che l’un l’altro eravamo capaci di darci, della tenerezza di una sorella che durante un brutto sogno chiama l’altra per farsi stringere la mano, della quiete che abbiamo provato a ristabilire quando la tensione cresceva e abbiamo apprezzato ogni piccolo e semplice momento che nascondeva una luce di cui prima eravamo ignari.
a cura di Serena Scarica