Santa Maria del Lauro

Meta. Don Francesco Guadagnuolo e la sua esperienza di accoglienza

La parrocchia non deve mai fare le cose da sola, bisogna sempre parlare di comunità

“Ero forestiero e mi avete ospitato, è quanto ci dice e ci ricorda il Vangelo ed è questa per i credenti, la parola più vicina al tema delle migrazioni. Lo stesso Papa Francesco diversi anni fa, durante un Angelus, invitò tutte le parrocchie ad accogliere almeno una  famiglia. Dinanzi a questo Suo messaggio, trovai il coraggio e la spinta giusta per parlare con il Vescovo Alfano, comunicando lui le mie intenzioni: riscontrai subito pieno appoggio” – le parole di Don Francesco Guadagnuolo, che ha dato inizio ad una splendida iniziativa d’umanità nella parrocchia di Santa Maria del Lauro a Meta.

“Mi misi in contatto con la Comunità di Sant’Egidio, che ha avuto questa intuizione dei Corridoi Umanitari, grazie ai quali le persone, i profughi di guerra, arrivano in Italia in maniera legale – continua – è un’iniziativa sicura per coloro che arrivano, ma anche per chi accoglie , è un modello che tenta di contrastare il commercio degli scafisti. Cinque anni sono passati dalla nostra prima accoglienza, che ricordo ancor oggi con immensa gioia”.

Quattro sono i nuclei che la comunità di Meta ha accolto grazie al supporto ed al sostengo dei fedeli e alla collaborazione delle istituzioni, tutte famiglie provenienti dalla Siria. L’accoglienza avviene in maniera totalmente gratuita, la parrocchia per i primi sei mesi si fa carico di vitto e alloggio, mettendo a disposizione un appartamento con due stanze e una cucina. Ogni famiglia, porta con se un bagaglio pesante, come un dolore diverso, seppure accomunate dalla stessa guerra da cui scappano.

La prima famiglia è arrivata nell’ottobre del 2016, una mamma afra con due figli, sono rimasti con noi circa un anno, siamo riusciti con il Ministero degli Interni e la Questura di Napoli a farli ricongiungere con il marito che era in Svezia. Ancora oggi siamo in contatto con loro. Il secondo nucleo, è giunto poco dopo ed è riuscito ad integrarsi molto bene. Oggi la famiglia Alkhouri vive in una casetta giù Meta, il marito lavora regolarmente ed hanno anche avuto un altro figlio, Lionel Davide. La storia del terzo nucleo è differente dalle precedenti, sono giunti nel novembre 2019 in quattro con due figlie, poco prima della Pandemia, il marito ha lavorato come muratore con una ditta per due mesi, poi hanno deciso di punto in bianco di andare a trovare la sorella a Roma, sono rimasti li e non sono più tornati. È di poche settimane fa l’ultima accoglienza, Francoise Nadia Bonga, 30 anni, e suo figlio Ezechiele di poco più di un anno” – è quanto racconta Don Francesco, senza scendere troppo nei dettagli, nell’intimità e nel dolore delle singole persone che ha incontrato.

Le sue parole mi aprono la mente, oltre che il cuore, in queste circostanze non sai mai cosa poterti aspettare. È necessario spogliarsi di ogni pregiudizio per poter accogliere, ma è anche fondamentale educare all’integrazione e alla promozione dell’individuo come essere umano, nonché alla sua protezione: “Lo scopo ultimo è quello di rendere autonomi ed indipendenti gli accolti, trovando loro un’occupazione, iscrivendo i bambini regolarmente a scuola. La cosa principale è che imparino la lingua italiana, un minimo di Costituzione devono conoscerla. Sono sempre seguiti ed accompagnati da persone che li aiutano a perseguire gli obiettivi durante il loro percorso”.

L’esperienza dell’accoglienza ha coinvolto sempre di più, anche le parrocchie vicine, di Sant’Angello e Piano di Sorrento, diventando opera segno dell’Unità Pastorale. Quel processo di educazione, di cui sopra, coinvolge non soltanto le famiglie accolte, ma soprattutto l’intera comunità, che di volta in volta contribuisce al processo.

È importante creare dei momenti di relazione e di amicizia. Ogni domenica una famiglia del posto ospita il nucleo presente. La parrocchia non deve mai fare le cose da sola, bisogna sempre parlare di comunità ” – conclude.

Clelia Esposito