Parrocchie in Solido di Lettere

Metti mano all’Aratro

acerno 31 ottobre - 3 novembre 2019 *campo giovani, sulle tracce di La Pira per un oggi consapevole*

Mi offrono un incarico di responsabilità.
Tante volte ci affanniamo a metterci nei panni dell’altro, ci convinciamo di poter aprire la porta della mente e del cuore delle altre persone leggendone con chiarezza tutti i dettagli. A volte il risultato è ottimo: gli altri ci dicono che come li capiamo noi, non li capisce nessuno. Spesso il risultato è discreto: l’altro ci dimostra che ci abbiamo quasi azzeccato. Il più delle volte il risultato è pessimo: gli altri si sentono non solo invasi dal nostro giudizio, percepito con la superiorità di chi ti sta offrendo un aiuto, ma è evidente che tutto il quadro di dettagli che vediamo di una persona, per quanto può apparirci vero, non è l’Autentico, è come guardare un solo pixel di tutta l’immagine.
Mettersi nei panni dell’altro, così, diventa estremamente difficile. Ma… Quale meraviglia! La difficoltà più grande che ho sperimentato al campo è stata mettermi nei panni di ME STESSA in un “alternativo gioco di ruoli”. Lì per lì non ci ho capito granché. Dopo poco ho iniziato a pensare fosse davvero troppo semplice dover essere me… Sono io!
Ben presto qualche guerriglia dentro di me si è accesa, delle implosioni iniziavano a riemergere.
Non ci ho messo molto per realizzare che iniziavo a darmi sui nervi da sola!
Ho fatto i conti con la presunzione di riuscire a capire gli altri, cosa che mi porta spesso a dare giudizi troppo affrettati, e, al tempo stesso, con la convinzione di avere sempre la risposta in tasca.
Ho capito che il più delle volte preferiamo indossare i panni di un compagno, di un conoscente, un personaggio storico, un animale fantastico, di chiunque, purché non siano i nostri panni. Quelli ci stanno scomodi e mettono in evidenza gli inestetismi. Indossare i nostri panni vuol dire giudicare noi stessi, offrire a noi stessi la risposta aspra e dura che solitamente offriamo agli altri.
Chi sono io?
Quali qualità ho io? E come posso valorizzarle? Quali sono i miei limiti? E come posso partire da questi per migliorarmi?
Quale ruolo ho nella società? Mi sta bene così?
Di cosa mi lamento in continuazione?
Attribuire sempre all’esterno le mancanze, le ingiustizie, è utile o controproducente?
Come posso agire in prima persona per cambiare ciò che non mi sta bene?
C’è per forza bisogno di fare cose grandi o posso già iniziare dalle piccole cose quotidiane, dalle persone che mi circondano, dal luogo che abito?
Riesco a vedere il mio futuro nel mio paese?
Mi sento parte di un ambiente da salvaguardare?
Decido di “abitare” questo luogo oppure mi accontento di esserne l’ennesimo componente passivo e persevero nella mia inettitudine?

Ho capito che non ci sarà nessuna risposta a nessuna di queste domande se non mi metto in gioco! Questo è il mio incarico di responsabilità.

di Assunta Comentale