Omelia ai Primi Vespri di Cristo Re 21 novembre 2020

21-11-2020

Carissimi,

il profeta Ezechiele ci viene in aiuto in questo tempo di prova, mentre con tutta la Chiesa chiudiamo un anno liturgico particolarmente intenso e drammatico e ci prepariamo a entrare nel nuovo con tante domande che turbano i nostri cuori. Sentiamo il bisogno di una parola amica, che non solo ci rassicuri con la consolazione della fede ma anche ci apra una prospettiva che al momento non riusciamo ancora a vedere. Dove stiamo andando? Quale sarà il nostro futuro e quello dell’intera umanità? Riusciremo a vincere questa battaglia che sta mettendo in ginocchio quasi tutti i popoli della terra, minando in radice gli schemi finora apparentemente sicuri e intoccabili in campo economico e finanziario, educativo e occupazionale, politico e religioso? Sono domande inquietanti, che spingono i credenti a porre il quesito fondamentale direttamente a Dio: Signore, dove sei? Perché non parli e ci indichi la via da seguire? Sono davvero finite le tue misericordie di un tempo?

Interrogativi simili abitavano l’animo di Ezechiele, che ha condiviso con il suo popolo un momento altrettanto difficile, anzi una delle fasi più buie della storia di Israele. L’esilio a Babilonia aveva prostrato terribilmente la comunità dei deportati, privati di ciò che rappresentava l’orgoglio del popolo e la sicurezza dinanzi alle nazioni straniere: la terra promessa, il tempio di Gerusalemme e la stessa città santa. Niente più culto, niente assemblee sacre o pellegrinaggi fino al monte Sion, niente feste religiose che scandivano il tempo e facevano crescere l’identità del popolo consacrato a Dio. Il sacerdote Ezechiele si è trovato così senza poter esercitare il suo ruolo, privato anche lui di tutto ciò che gli avrebbe consentito di sentirsi a posto con l’Altissimo e con se stesso. Una sola cosa non è venuta mai meno: la relazione con il Signore, il Dio dei padri fedele all’Alleanza con cui si era unito per sempre a Israele. Rileggere allora la storia alla luce di questa fedeltà e comprendere i propri errori, i tradimenti, il peccato dei pastori e di tutta la comunità: ecco cosa ha caratterizzato in terra straniera il ministero di Ezechiele, che da sacerdote del tempio si è trasformato così in profeta di speranza. Missione difficile ma esaltante. Servizio prezioso e a volte incompreso, tuttavia necessario per incamminarsi insieme con la sua gente sui nuovi sentieri appena intravisti all’orizzonte.

Ascoltiamo pertanto le sue parole, offerte dalla liturgia in questa solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’universo: “Ecco, io stesso cercherò le mie pecore e le passerò in rassegna” (34, 11). È quanto Dio dice al popolo per bocca del profeta: la speranza non nasce da ciò di cui saranno capaci gli uomini, ma da quanto il Signore farà per loro. Non un’evasione o una fuga, come a volte alcuni pensano, quasi che l’intervento divino possa sostituirsi al nostro impegno e scavalcare le nostre responsabilità. No, ma al contrario una dichiarazione d’amore e di fedeltà da parte di un Dio che mai si pone contro o abbandona il suo popolo. Il gregge, disperso “nei giorni nuvolosi e di caligine”, ha bisogno di chi raduni le pecore dopo averle cercate una per una, facendo sentire la sua presenza: “io passerò in rassegna le mie pecore e le radunerò da tutti i luoghi dove erano disperse” (34, 12). Ecco la consolazione di cui il popolo ha bisogno: non l’ennesima illusione, che lascia tutti con il carico dei problemi di prima e in più l’amarezza del disincanto, ma una prospettiva nuova che ridona fiducia e impegna a fare proprio il modo di agire di Dio!

Vorrei rivolgere anche io un invito pressante a tutta la Chiesa diocesana in questo tempo di crisi che stiamo attraversando e che ci vede smarriti, disorientati, a volte persino sfiduciati. A Voi presenti in questa cattedrale e a tutti Voi che mi ascoltate attraverso i mezzi di comunicazione ripeto, insieme al profeta: “Così dice il Signore Dio…” (34, 11). La sua Parola risuona in mezzo a noi con forza, ci sorprende, ci fa rivivere. Ci permette di entrare in comunione con Lui, fino a sintonizzarci con il suo stile misterioso e fecondo. Non ci fa sentire più soli, anche quando dobbiamo continuare ad affrontare situazioni dolorose che ci sfiancano e mostrano tutta la nostra fragilità, come ora sta accadendo in tanti ospedali. Ci fa vincere la paura, perché avvertiamo di essere cercati e amati nonostante i nostri limiti, anzi proprio perché siamo piccoli e deboli. Risuoni perciò, fratelli e sorelle, questa Parola di verità e di vita nelle nostre comunità parrocchiali, che in questo tempo fanno più fatica a radunarsi e a ritrovare la gioia del camminare insieme. Raggiunga ciascuna delle nostre famiglie, dove il peso della quotidianità sembra spesso lasciare poco spazio all’ascolto di Dio che pure è presente in ogni casa. Tocchi i cuori dei giovani, attenti ai segni forti di autenticità e di testimonianza più di quanto riusciamo a cogliere dai loro volti e dai loro atteggiamenti. Penetri infine, in modo intenso e incisivo, nell’animo di Voi tutti, carissimi sacerdoti e diaconi, consacrati e consacrate, chiamati con me ad essere come Ezechiele voce profetica che annuncia con gesti e parole la Buona Notizia del Regno di Dio che viene: testimoniamo il Signore Gesù come l’unico salvatore, la speranza dell’umanità, la gioia del povero e del sofferente, la liberazione dell’oppresso e dello schiavo, la via dei costruttori di pace, la vita di coloro che sono segnati dal dolore e dalla morte, la verità che ci rende finalmente liberi. Diciamo tutti con il grande Papa Paolo VI, ora santo: “Io non mi stancherei mai di parlare di lui”!

Al profeta Ezechiele sentiamo ora il bisogno di rivolgere noi stessi una domanda: dove hai trovato la forza per la tua missione e quali segni hai offerto alla tua gente perché potesse ritornare a credere e a sperare? E di nuovo ascoltiamo, insieme a lui, la Parola che Dio ci rivolge: “Andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all’ovile quella smarrita, fascerò quella ferita e curerò quella malata, avrò cura della grassa e della forte” (34, 16). È sorprendente. Il Signore non solo conosce la condizione di ciascuno di noi, con le nostre diversità e i tanti limiti che spesso ci spingono a chiuderci in noi stessi. Ci viene in aiuto, prendendoci sul serio uno per uno. Per Lui non siamo dei numeri. Perciò ci fa uscire dal terribile anonimato che oggi caratterizza sempre più sottilmente la nostra società. Con Lui possiamo fare il passo decisivo dalla folla al Popolo se impariamo anche noi ad essere attenti alle persone nella loro singolarità e alle esigenze peculiari di ciascuno: solo così scopriremo quanto siamo importanti gli uni per gli altri e come possiamo sostenerci nella lotta contro il male, aiutandoci reciprocamente. Lo stile di Dio, dunque, non solo ci stupisce e riempie i nostri cuori di rinnovata fiducia, ma ci spinge a incamminarci sulla stessa strada. Diciamo con coraggio il nostro “no” all’indifferenza e alla massificazione. Vinciamo la tentazione di ridurre le persone a categorie e di etichettarle secondo i loro bisogni, o peggio ancora di escluderle a motivo delle loro diversità.  Siamo tutti figli di Dio, chiamati a realizzare il suo progetto: Papa Francesco ce lo ha riproposto con concretezza e forza profetica nella sua ultima enciclica sulla fraternità e l’amicizia sociale. Sì, questa è la nostra vocazione. Ed è anche la nostra missione, oggi più urgente che mai. Abbattiamo i  tanti muri e barriere che ci dividono, costruiamo invece i ponti da attraversare insieme. Dalle macerie di questa pandemia può nascere un’umanità nuova, segnata da quel legame profondo che non ci fa escludere nessuno perché per davvero siamo in Dio “Fratelli tutti”!

Ancora una parola del profeta la liturgia ci fa proclamare in questo giorno di festa: “Ecco, io giudicherò fra pecora e pecora, fra montoni e capri” (34, 17). Il giudizio di Dio non ci deve imbarazzare: ne abbiamo bisogno. In effetti senza questa sua azione rimarremmo nella confusione che ci blocca e ci tiene isolati gli uni dagli altri. Avvertiamo invece la necessità di imparare anche noi a distinguere ciò che è bene da ciò che è male, quello che ci unisce da quello che ci divide, le scelte positive da quelle negative. È l’arte del discernimento, tanto preziosa nella vita di ciascuno di noi come in quella delle nostre comunità ecclesiali. Non dobbiamo dunque aver paura di essere giudicati da Dio, perché ci pone dinanzi alla verità di noi stessi senza mai umiliarci o annientarci. Egli ci riconosce per quello che siamo e ci mette in condizione di esprimere al massimo le nostre potenzialità: sono i doni del suo amore, i talenti a noi affidati perché l’intera famiglia umana possa fare un decisivo passo avanti verso l’unità, camminando sui sentieri della giustizia e della pace. Ecco la missione profetica, che deve coinvolgere tutto il Popolo dei battezzati, come ho ricordato nella Lettera Pastorale dell’estate scorsa. La affido con trepidazione al cuore di ciascuno di Voi, perché sostenga il rinnovamento missionario della nostra Chiesa diocesana reso ancora più indispensabile da questo tempo di pandemia: l’urgenza del “partecipare”, la necessità del “condividere” e la novità dell’ “accogliere” diventino sempre più lo stile delle nostre comunità, riflesso umile ed entusiasta dell’agire di Dio in mezzo a noi. Come l’apostolo Pietro dinanzi ai servi del centurione Cornelio, anche noi ci lasceremo guidare dallo Spirito che ci ordina: “àlzati, scendi e va’ con loro” (At 10,20)!

Dinanzi a una sfida così alta e impegnativa, ritorniamo alla sorgente e ascoltiamo con fede la Parola che Ezechiele ripropone con insistenza al popolo ancora incerto e sfiduciato: “A te, mio gregge, così dice il Signore Dio…” (34, 16). Il “tempo di crisi” può diventare “tempo di grazia” solo se ci facciamo ascoltatori della Parola: di Essa ci siamo nutriti con abbondanza nella prima fase di questa lunga stagione, che nessuno mai avrebbe immaginato, e ora non possiamo ritornare alle nostre abitudini e tradizioni come se nulla fosse accaduto. Le celebrazioni eucaristiche, con l’aiuto della terza edizione italiana del Messale Romano che da oggi iniziamo a utilizzare, favoriscano l’ascolto del Signore Risorto che parla alla sua Sposa. Impariamo a gustare il silenzio, che tanti hanno riscoperto prima con imbarazzo e poi con meraviglia nei mesi in cui tutto si è fermato. È provvidenziale che questa celebrazione coincida con la giornata “pro orantibus”, dedicata ogni anno alla vita contemplativa. Il nostro pensiero, grato e fiducioso, va alle sorelle Benedettine di S. Agata, alle sorelle Carmelitane di Massa, alle sorelle Domenicane di Sorrento e di Lettere, alle sorelle Adoratrici di Castellammare: Vi sentiamo tutte vicine, anzi Vi riconosciamo come il cuore della nostra famiglia ecclesiale. Aiutateci a non perdere la speranza in Colui che ci ha amati dal principio, per cantare ogni giorno con il salmista: “abiterò ancora nella casa del Signore per lunghi giorni” (Sal 22, 6).

Carissimi amici nel Signore, con questa certezza entriamo nel nuovo anno liturgico-pastorale, ormai alle porte. Siamo impossibilitati a programmare il futuro in base alle nostre agende. Pertanto da una parte ci uniremo al canto del creato che loda il suo Creatore, unendo il nostro coerente e costante impegno perché la natura non sia più calpestata o sfruttata dagli uomini, e dall’altra ci avvicineremo con tanta delicatezza e discrezione ai nostri fratelli e sorelle, anche quelli che sembrano lontani, senza altra pretesa se non quella di ascoltarli e servirli con amore gratuito. Così cammineremo insieme sulle vie che lo Spirito ci indicherà e condivideremo con tutti

LA COMPAGNIA DEGLI UOMINI NEL TEMPO DELLA PROVA!