Omelia per il pellegrinaggio diocesano del Giubileo

Basilica di San Pietro: ROMA 29 marzo 2025
29-03-2025

 

       “Due uomini salirono al tempio a pregare”

Comincia con queste parole la parabola indirizzata da Gesù ad “alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri”. Ci accoglie così il Signore, in questa giornata straordinaria per noi pellegrini e per tutta la nostra famiglia diocesana che oggi qui rappresentiamo. Giunti a Roma, molti di noi con non pochi sacrifici, siamo nella gioia. Ci sentiamo soddisfatti e gratificati. Abbiamo risposto all’invito della Chiesa, che ci offre la possibilità di attingere al suo tesoro di fede e carità, per essere anche noi riconciliati, rinnovati, restituiti all’integrità della nostra esistenza di battezzati in Cristo. Eppure le prime parole che il Vangelo fa risuonare per questa santa e variegata assemblea liturgica sono parole dure, che come sempre non cedono affatto alla tentazione di edulcorare il messaggio. Potremmo essere proprio noi i destinatari della parabola? Il rischio di sentirci dalla parte giusta lo corriamo: veniamo da comunità in cammino, ci stiamo impegnando nel tempo forte della quaresima, ora anche il pellegrinaggio alla tomba dell’apostolo Pietro con l’acquisto dell’indulgenza giubilare. Forse non arriviamo a disprezzare gli altri, dobbiamo però confessarlo: il ritenerci migliori di quanti non praticano o si sono allontanati dall’esperienza ecclesiale ci fa quasi sentire in diritto di esprimere giudizi non sempre favorevoli nei loro confronti. Ci sembrano lontani, li commiseriamo, forse siamo preoccupati per loro. Ma chi ci ha autorizzati a giudicarli? Signore, perdonaci!

 

“O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri”

Entriamo un poco in più, aiutati dalla parabola evangelica, nel cuore del fariseo. Come abbiamo già osservato, è in qualche modo anche il nostro. La sua preghiera è rivolta a Dio, dialoga con lui e lo ringrazia, come sempre siamo chiamati a fare quando ci presentiamo al Signore nella sua casa. Pensiamo ai motivi per rendergli grazie. Che cosa è accaduto di tanto straordinario nella nostra storia quotidiana da spingerci ad elevare verso il cielo un inno di benedizione e di riconoscenza per i benefici ricevuti? La coscienza del fariseo si sgretola subito: è talmente pieno di sé da non fare posto agli altri, che nella loro fragilità sono giudicati inadempienti, incapaci, infedeli. Ci vuole veramente poco a escludere chi è diverso da noi, pensando che non ci sia spazio per costoro neppure nel cuore di Dio. Non ce ne accorgiamo immediatamente, ma chiudere la porta del cuore agli altri ha come inevitabile conseguenza il rimanere soli, terribilmente soli con sé stessi, senza nessuno e neanche Dio. Gesù sta descrivendo una situazione drammatica, che tante volte riguarda proprio ciascuno di noi e che rende vana la preghiera, vuoto il culto, ipocrita ogni relazione. Signore, salvaci!

 

“O Dio, abbi pietà di me peccatore”

Le parole del pubblicano sono piene di speranza. la sua preghiera non parte da sé, ma da Dio davanti al quale egli si pone. Non giudica gli altri, ma confessa le proprie colpe. Non ha bisogno di molte parole né si congratula con una esagerata immagine di sé. Gli basta invece rivolgersi a Dio e invocare la sua misericordia. Si sente guardato, accolto, amato. Con gli occhi bassi per l’umiliazione, non accusa nessuno se non sé stesso. Non c’è frustrazione nel suo cuore, tantomeno depressione. Al contrario si apre davanti a lui un futuro inatteso, per nulla meritato. È il perdono di cui abbiamo tutti bisogno, la riconciliazione per cui oggi siamo qui. Solo il Suo amore infinito può restituirci la nostra dignità di figli. Possiamo ricominciare, rimetterci in cammino come creature nuove. Ritroviamo la fiducia in noi stessi perché Lui ha avuto fiducia in noi, ancora una volta… come se fosse la prima. Il futuro è tutto davanti a lui, davanti a noi: è proprio vero che la “speranza non delude”. Signore, riempici del tuo amore!

 

“Questi tornò a casa sua giustificato”

Tornare a casa è sempre un evento. Specie quando è accaduto qualcosa di straordinario. La vita non è più quella di prima. Siamo finalmente liberi: da noi stessi, dalle nostre schiavitù, dalle conseguenze degli errori commessi e del male fatto agli altri. Si avverte la gioia nel cuore e il bisogno di condividerla con tutti, a partire da chi ci è più vicino. Rinasce la vita. Rifiorisce la speranza. Si riaccende il fuoco dell’amore.

 

Tornare a casa, per noi che siamo venuti come pellegrini sulla tomba dell’apostolo Pietro in quest’Anno Giubilare, è un atto di grande responsabilità. Accogliamo il dono dell’indulgenza con commosso stupore e infinita gratitudine. Ci impegniamo a curare relazioni autentiche e libere con i compagni di viaggio, per testimoniare insieme la potenza della gioia del Vangelo. “Annunceremo a tutto il mondo che Dio ci ama”: non sono solo le parole di un vecchio canto che ha ritmato per anni le tappe di tante nostre comunità, ma lo stile di vita che ci dovrà caratterizzare nelle nostre famiglie, nei paesi e nelle città che abitiamo, nei luoghi di lavoro e di svago che frequentiamo, accanto a chi piange ed è disperato, insieme ai poveri e ai nullatenenti, avvicinandoci in punta di piedi a chi ha smarrito il senso della vita ed è rimasto solo.

 

Tornare a casa, insieme alla Vergine di Nazaret, per essere custodi silenziosi della grazia qui condivisa e testimoni credibili delle grandi opere che Dio ha fatto anche in noi: si innalzi dunque il canto della lode e ci riempia di energia spirituale mentre, nutriti dalla Parola che salva e dal Pane di vita spezzato per noi in questa Eucaristia, riprendiamo il cammino sulle vie del mondo come discepoli-missionari del Vangelo e, rafforzati dalla testimonianza di Papa Francesco nella sua convalescenza ci facciamo

 

 “pellegrini di speranza”! AMEN