Dal diario di don Franco: Betlemme, 29 aprile 2019

Pellegrinaggio diocesano in Terra Santa

Betlemme, 29 aprile 2019 Ore 20.30

Ancora altre sorprese! Ero già stato alla Basilica della Natività e portavo con me il ricordo di tanta confusione, persino un po’ di sciatteria per come i greci ortodossi curano la Grotta che ricorda la nascita del Signore, al punto che mi era stato sempre difficile concentrarmi nella preghiera. Questa volta le cose sono andate diversamente. Addirittura non siamo potuti scendere per la visita e la preghiera davanti all’altare con la stella d’argento su cui è scritto: qui è nato il Salvatore del mondo! Pur essendo arrivati al mattino presto, pensando così di evitare le file lunghissime che a volte durano anche alcune ore, siamo stati rimandati indietro da un responsabile che non ha voluto affatto sentire ragione: stavano preparando la liturgia solenne (ieri gli ortodossi hanno festeggiato la Pasqua!), per cui non era in nessun modo possibile scendere. Abbiamo insistito: niente da fare. Anzi ci ha trattati in modo alquanto infastidito e sgarbato. Mi sono fermato in preghiera nella chiesa adiacente intitolata a S. Caterina, tenuta dai frati francescani, e ho chiesto al Signore di calmare il mio cuore un po’ arrabbiato e di farmi capire quale messaggio stava offrendo a me e a tutto il gruppo. Così quando ci siamo radunati in una cappella per la celebrazione della Messa (abbiamo usato i testi della Messa della notte di Natale!), ho potuto evidenziare che abbiamo vissuto in piccola misura quanto accadde a Maria e a Giuseppe proprio qui a Betlemme: sperimentarono il rifiuto (“non c’era posto per loro nell’alloggio”) e dovettero adattarsi alla circostanza. Gesù ha vissuto tutta la sua vita così, dalla nascita alla morte e ha insegnato ai suoi discepoli a non rispondere con violenza, ma a offrire l’altra guancia e a pregare per i propri persecutori. Ecco il messaggio sconvolgente del Natale, di cui oggi abbiamo fatto anche noi una piccolissima esperienza: la gioia annunciata dagli angeli ai pastori, gli unici che vegliavano tutta la notte per il loro gregge, è per tutto il popolo nella misura in cui rendiamo gloria a Dio costruendo la pace sulla terra. Che dono grande ci ha fatto questa mattina il Signore: tutti l’abbiamo percepito, fino alla commozione e alle lacrime!

La visita al monte Sion ci ha poi introdotti ancor più nella difficoltà di fermarsi a riflettere e pregare nei luoghi che vi sono custoditi: il Cenacolo, la tomba di Davide, la Chiesa della ”dormitio Mariae”. È stato difficilissimo raccoglierci in preghiera nel luogo dove Gesù ha consumato l’ultima Cena: con fatica siamo riusciti a cantare un inno eucaristico e a restare qualche istante in silenzio, ricordando le apparizioni del Risorto ai discepoli nel giorno della risurrezione e otto giorni dopo anche a Tommaso, senza dimenticare l’importantissimo evento della Pentecoste. Al piano di sotto gli ebrei, che sono attualmente responsabili del Cenacolo, prima trasformato in moschea, venerano la tomba di Davide: siamo entrati attraverso due ingressi distinti per uomini e donne, condividendo per qualche istante la loro preghiera nel ricordo del grande re, anticipo del Messia che le profezie riconoscono come Figlio di Davide! Mi sono sentito molto vicino al popolo delle promesse, nonostante le difficoltà evidenti che abbiamo almeno qui nell’accettarci a vicenda. Nella chiesa benedettina che ricorda il transito di Maria non ci siamo potuti fermare a causa dei numerosi gruppi di pellegrini, ma la successiva visita ai luoghi che ricordano la visitazione e la nascita del Battista ci ha fatti ritrovare uniti nel canto del Magnificat e del Benedictus. Gli inni con cui la Chiesa apre e chiude la preghiera quotidiana qui acquistano un altro sapore, che sa di freschezza e di familiarità, senza mai dimenticare gli ostacoli e le contraddizioni che al contrario rendono ancora più vera la nostra supplica al Signore perché cambi i nostri cuori e ci faccia vivere nella sua pace!

Prima di cena ci siamo infine incontrati per un nuovo scambio di esperienze, dopo quello vissuto in Galilea. I diversi interventi hanno evidenziato i primi frutti del pellegrinaggio, che posso sintetizzare così: dalle emozioni alla conversione, dalla curiosità di vedere e toccare al bisogno di custodire nel cuore, dalla visita ai luoghi all’incontro con le persone e le comunità per aprirsi al mistero di Dio che entra nella storia degli uomini. Mistero che qui a Gerusalemme si respira persino nell’aria e che scuote i cuori di ogni pellegrino disposto a lasciarsi toccare dentro: ecco il dono più bello e concreto del nostro pellegrinaggio!