L’arrivo del nuovo prete – Tra attese e pretese

“Sai, nella mia parrocchia sta per arrivare un nuovo parroco. O meglio, ci è stato inviato dal Vescovo un aiuto, un vice parroco. Stiamo preparando l’ingresso del nuovo sacerdote.”

Quante volte abbiamo ascoltato queste frasi! O forse noi stessi le abbiamo pronunciate trovandoci in una situazione del genere… L’arrivo di un sacerdote in una comunità è sicuramente una grazia. E come ogni novità, è carico di attese.

L’attesa è qualcosa di bello, ma porta anche un po’ di timore: “Chissà chi sarà, come andranno le cose…” Spesso, però, questa attesa si trasforma in pretesa e idealizzazione.

ùAlcune volte ci si aspetta che il nuovo arrivato sia un “supereroe” – perché, dobbiamo ammetterlo, così lo immaginiamo – venuto a risolvere tutte le situazioni difficili, a dare una svolta completamente nuova al tessuto sociale e a risollevare persino le sorti della comunità.
Altre volte, invece, ci si auspica che il neo sacerdote sia all’altezza di chi c’era prima, il cui ricordo ce lo fa idealizzare e apparire più desiderabile ( secondo la teoria del fascino del lontano di Leopardi) di quanto in realtà non fosse stato.E allora partono i paragoni, che chiaramente non reggono e che, soprattutto, non aiutano il cammino del nuovo prete. Quanti sacerdoti, di frequente, nelle chiese hanno vissuto con il prete ombra, con il confratello ombra, dovendo fare i conti con i seguenti discorsi pastorali:”il prete che c’era prima non si sarebbe comportato così ; prima si faceva diversamente,ed era molto meglio, mentre ora non si fanno più quelle cose che si facevano..”

Tutto questo, per un sacerdote libero e adulto, può essere attraversato senza avvertire ferite, ma per chi non ha una sufficiente autostima viene vissuto come un pesante fardello recante accuse e paragoni infondati.

Non si comprende, infatti, che il sacerdote è un essere umano e non è affatto un supereroe.

È umano, e porta con sé le sue gioie, i suoi dolori, le sue vulnerabilità.

Come uomo, farà ciò che è nelle sue possibilità, tendendo al bene, secondo quanto dice l’ apostolo Giacomo quando nella sua lettera dice” pecca chi non fa il bene” (Gc 4,17). Egli ha bisogno di essere sostenuto da credenti in cammino con lui e sempre al suo fianco, non per giudicarlo ( “Crocifiggilo!”), ma per costruire insieme qualcosa di evangelico. Non si può pretendere tutto da un sacerdote, poiché la pretesa e l’idealizzazione afferiscono al mondo dell’infanzia, l’adulto, al contrario, non pretende e non idealizza. Il sentire di un prete, molte volte, non è accolto; egli ascolta ma non sempre è ascoltato, incoraggia ma non sempre è incoraggiato. Nelle sue mani arrivano tanti volti, ma il suo volto non è nelle mani di nessuno.

Eppure, dobbiamo ammetterlo con onestà, spesso si fatica persino a volersi bene tra confratelli, non si gareggia nello stimarsi a vicenda come afferma l’apostolo Paolo. Le riunioni presbiterali, pranzi ed uscite, se non siamo attenti, rischiano di diventare momenti di critiche verso i confratelli che non fanno parte del nostro Entourage o che la pensano in modo diverso da noi.
Come sacerdoti, dunque , dobbiamo ritrovare spazi autentici in cui possiamo semplicemente guardarci negli occhi ! Sì, forse ciò farà sorridere qualche confratello, il quale riterrà ingenuo un tale proposito che al contrario costituisce una verità profonda : la necessità di un tempo per ascoltarci sinceramente, per donarci reciprocamente un abbraccio adulto, in grado di parlare senza parole.
Oltre ogni progetto pastorale, ogni programmazione o calendario, ciò che davvero conta, ciò che resta , è l’amore che sappiamo mettere in circolo. Solo l’amore autentico rigenera, sostiene e salva.

don Raffaele D’Antuono

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