Il diario giornaliero è a cura di Francesco Vitaglione

Lourdes 2025: il racconto di un giovane pellegrino

Il diario giornaliero è a cura di Francesco Vitaglione

Primo giorno
Occhi pieni di speranza…

È stato questo il primo sguardo che ha attraversato il nostro gruppo, scolpendosi nei volti di ogni pellegrino. Occhi che si sono incontrati nel primo freddo di questa notte d’ottobre, tra le luci spente e i suoni ovattati di un aeroporto ancora insonnolito. In quel caos ordinato — fatto di trolley, saluti, attese — c’era già qualcosa di diverso: un respiro comune, una tensione verso l’alto, un filo invisibile che ci univa ancor prima di partire.
Un solo passo. Un solo battito.
Tutto si muoveva al ritmo della speranza.
La speranza di un futuro migliore, di un cuore finalmente capace di nominare ciò che spesso tace — la verità, la pace, la fragilità, il perdono.
In mezzo ai ritmi frenetici del viaggio, ogni gesto — anche il più piccolo — sembrava caricarsi di senso. Paradossalmente, tutto appariva lento, sospeso: un passo dopo l’altro, una mano tesa, un sorriso regalato, ed eccoci qui… ai piedi della più tenera tra le Madri.
I giovani amano cantare: «C’è un filo rosso che ci unisce».
Ma oggi, oggi quel filo era verde.
Verde come la speranza, come i germogli che spuntano anche dopo l’inverno più duro. Un filo che ha legato ogni pellegrino, grande o piccolo, consacrato o laico, amico o sconosciuto. Un filo fatto di preghiere sussurrate, di silenzi condivisi, di fiducia affidata. Un filo legato a un’àncora…
Quell’àncora che non siamo noi a rendere salda, ma che è Lui stesso a piantare nel fondo del nostro cuore.
Lui che resta, anche quando tutto intorno vacilla. Lui che non fugge, che non delude, che tiene la rotta nelle tempeste della vita.
E siamo solo all’inizio.
Abbiamo appena messo piede in questa terra benedetta, e già sentiamo il calore di un abbraccio che non chiede nulla, ma dona tutto. Il calore della Basilica che ci accoglie come una casa, il calore di una Madre che non si stanca mai di aspettarci, di comprenderci, di amarci.
Un amore che risana, che lenisce, che cura con la delicatezza di chi sa cosa significa soffrire.
Sì, perché ce lo insegna proprio Lei, la Madre, la Donna del silenzio e del dolore: “l’amore fa bene, ma sa fare anche male”.
Ce lo insegna Lei, che ha amato fino in fondo, davanti alla Croce.
Ce lo insegna amando il Figlio fino all’ultimo respiro, amando anche quell’umanità che lo ha rifiutato, tradito, condannato.
Il nostro viaggio è appena cominciato.
In questo freddo pungente di Lourdes, i nostri cuori sono già stati accesi da un amore che non conosce misura.
Cammineremo ancora, passo dopo passo, lasciandoci guidare da questo filo verde, con occhi pieni di speranza…
e con lo sguardo fisso su di Lei, che ci conduce sempre a Lui.

Secondo giorno
Catena dolce, catena che sa lasciare liberi…

È un paradosso solo apparente: una catena che non stringe, ma abbraccia; non imprigiona, ma sostiene. Una catena fatta non di ferro, ma di fede. Di passi condivisi, di mani intrecciate, di cuori che, insieme, cercano il senso profondo del cammino.
Nel cuore pulsante del pellegrinaggio, tra il silenzio e la preghiera, tra la stanchezza e la gratitudine, ci siamo ancorati a Lei.
Non come naufraghi in cerca di salvezza, ma come figli che riconoscono, nello sguardo della Madre, la casa a cui sempre si può tornare.
«La madre di Gesù, e anche madre nostra…
Siamo tutti quel Giovanni sotto la Croce, a cui Gesù affida il dono più prezioso: sua Madre.
In quell’istante eterno, la storia si apre e ci accoglie: “Ecco tua madre”. E così, anche noi diventiamo fratelli e sorelle, uniti da uno sguardo che non giudica, ma consola. Lei è presente. Sempre. Non con clamore, ma con discrezione. Come fa l’amore vero: silenzioso, fedele, instancabile.
Ci accompagna con gli occhi di chi ha visto il dolore più grande e ha creduto ancora. Con lo stesso sguardo con cui ha guardato il Figlio nei suoi ultimi istanti, oggi guarda noi… E quanto conta quello sguardo, quando tutto dentro si spegne, quando la speranza sembra sbiadire. È in quello sguardo che ritroviamo la forza di rialzarci, anche quando il cuore è in frantumi.»(dall’omelia di Mons. Francesco Alfano)
Una catena costruita da un pellegrinaggio – sì, esteriore, fatto di strade, passi, soste e riprese – ma soprattutto interiore.
Un viaggio dentro di noi, verso ciò che più spesso evitiamo: le nostre ferite, le nostre fragilità, le parti non risolte della nostra storia.
Ma in questo cammino, non siamo stati soli.
Sui passi di Bernadette, abbiamo rivissuto il mistero della grazia che si fa strada nella povertà, nella semplicità, nel nascondimento.
Abbiamo avuto il coraggio di non nascondere il dolore, ma di offrirlo, di condividerlo, di lasciarci toccare dal fratello che ci cammina accanto.
Perché sì, nessuno si salva da solo, e quando il peso si divide, non solo si alleggerisce, ma diventa occasione di comunione profonda, autentica.
Ci siamo scoperti fratelli e sorelle non nella perfezione, ma nella ferita. Non nella forza, ma nella debolezza accolta.
La nostra salita, il nostro piccolo Calvario, ci ha dato occhi nuovi. Non è più solo fatica, ma orizzonte. Non più solo dolore, ma nascita.
Attraverso le lacrime, i silenzi, le mani tese, abbiamo intuito che proprio là, dove sembrava esserci la fine, Dio prepara un inizio.
È davvero una catena dolce, quella di oggi.
Ci ha stretti insieme, sotto lo sguardo della Mamma, tante volte invocata, tante volte sentita vicina mentre le labbra sgranavano il Rosario.
E mentre la preghiera saliva come incenso al cielo, un raggio di sole, timido ma presente, ha accarezzato i nostri volti.
Un segno piccolo, ma eloquente: non siamo soli. Non lo siamo mai.
Il grano di una catena dolce.
Un piccolo segno, eppure così grande.
Un simbolo che oggi portiamo nel cuore come un sigillo: memoria viva di un cammino che ci ha trasformati. Un motivo in più per sentirci liberi.
Un motivo in più per ripetere, con la fiducia dei piccoli e la fede dei santi: NULLA È IMPOSSIBILE A DIO.

TERZO GIORNO
Fratelli tutti…

È questo il sussurro che ha attraversato il silenzio della mente di ognuno.
Un pensiero semplice, eppure vasto come il cielo. Un richiamo antico, che risuona oltre i confini del tempo, oltre ogni lingua, ogni cultura, ogni diversità. “Fratelli tutti”… ed ecco che ogni barriera cede, ogni distanza si fa più lieve.
Tante culture, tanti volti, mille storie che si intrecciano come fili di un unico arazzo.
Eppure, sembrava che tutto camminasse in un solo verso, come se ci fosse una melodia segreta che unisce ogni passo, ogni respiro. Una vita che si fa servizio.
Perché è proprio nel servizio che ci si dona, ed è nel donarsi che si comincia ad amare davvero.
Amare fino a perdersi, fino a spezzarsi, come il Pane sulla Mensa.
Sì, forse siamo davvero un po’ come i discepoli di Emmaus.
Viandanti smarriti, pellegrini del cuore, che troppo spesso non riconoscono Chi cammina loro accanto.
Eppure, Lui è lì. Ogni giorno. Silenzioso, fedele, instancabile.
Si dona. Si spezza per noi.
Nel suo spezzarsi c’è il linguaggio dell’Amore più puro.
È lì, nei nostri passi stanchi, nei giorni in cui non comprendiamo il senso, nei meandri più bui della nostra vita — quelli che non vediamo, o che temiamo di guardare davvero.
Lui si spezza, sì, ma non solo misticamente. Si spezza anche attraverso chi cammina con noi.
Amici, fratelli, volti incontrati solo per un istante…
Quante volte qualcuno si spezza per noi, senza che neanche se ne accorga.
E quante volte anche noi, inconsapevoli, diventiamo quel frammento d’Amore spezzato per gli altri.
Ma Lui compie qualcosa di più grande.
A Lui possiamo affidare tutto: paure, ferite, pesi, domande senza risposta.
E Lui le accoglie, le stringe a Sé e le trasforma. Le spezza, sì, ma non per distruggere — per generare luce.
Perché nella Sua logica d’Amore, ciò che si spezza… risplende.
Ciò che si perde… si ritrova.
Ciò che muore… rinasce.
Ogni giorno, pellegrini in cerca di senso, costeggiamo questo fiume con lo sguardo rivolto alla Madre.
Ci siamo portati alle vasche con passi tremanti, come bambini che tornano alla sorgente.
Abbiamo capito, nel silenzio di quell’acqua, che la vera guarigione è nell’essere visti, toccati, accolti.
Abbiamo scoperto che qui, a Lourdes, anche un sorso d’acqua può diventare lacrima, preghiera, vertigine del cuore.
Ci siamo riconosciuti fratelli tutti davanti alla Mensa, dove il Pane ci ha resi uno solo.
Ci siamo riconosciuti fratelli tutti ai piedi della Vergine, dove le nostre preghiere si intrecciano come canti al cielo.
Ci siamo riconosciuti fratelli tutti nel freddo della sera, quando le candele tremavano, ma la luce restava.
Riscaldati dallo sguardo materno, che non giudica, ma accoglie.
Siamo questo…
Piccole fiaccole nel buio del mondo.
Fiammelle fragili e ardenti, che da sole sembrano nulla, ma insieme… insieme sanno illuminare la notte più lunga, scaldare l’anima più fredda, accendere speranze là dove tutto sembrava spento.
Siamo luce.
Siamo dono.
Siamo fratelli.
Fratelli tutti.

Quarto giorno
Credo negli esseri umani…

L’ultimo giorno si è posato su di noi come una carezza lieve, attraversato da un velo sottile di malinconia… ma sorretto, fin nelle sue fibre più intime, da una gratitudine che non conosce misura.
Gratitudine per la Grazia che ci ha raggiunti, talvolta in punta di piedi, talvolta come un fiume in piena.
Gratitudine per i volti incontrati, per gli abbracci che hanno saputo parlare più delle parole, per gli occhi limpidi che hanno riflesso la presenza viva del Mistero.
Gratitudine per i fratelli e le sorelle con cui abbiamo camminato, fianco a fianco, passo dopo passo, in un tempo che non è stato solo cronologico… ma sacro.
Ogni passo, ogni silenzio, ogni parola sussurrata ha composto una liturgia del cuore.
Abbiamo camminato lenti, ma non per stanchezza: per ascoltare. Per sentire. Per lasciare che ogni respiro diventasse preghiera, che ogni sguardo si aprisse alla speranza.
E in quella lentezza, intrisa di gioia e di una speranza nuova, abbiamo riconosciuto ciò che spesso dimentichiamo: non siamo soli. Mai.
C’è una Presenza che ci accompagna, discreta ma costante, fedele fino all’estremo, che ci abita anche quando tutto sembra crollare.
Abbiamo condiviso la luce che ciascuno porta dentro, una luce fragile e potente, unica e irripetibile.
Libertà. Servizio. Dono. Comunità. Famiglia. Leggerezza.
Tutti doni, intrecciati da un solo filo: quello della sensibilità, che è la porta del cuore, il luogo in cui Dio bussa piano.
E proprio davanti al Padre, quella sensibilità ha fatto tacere ogni rumore esteriore.
È sceso un silenzio che non era vuoto, ma pieno. Un silenzio che faceva rumore.
Non il rumore delle guerre, dell’odio o della paura… ma un rumore assordante di pace, di presenza, di tenerezza disarmante.
Un silenzio abitato dall’Amore. Quell’Amore che non si impone, ma si dona. Sempre.
Lourdes, per ora, finisce qui.
Ma ciò che abbiamo vissuto non resta confinato tra quelle pietre sante, tra le acque e la Grotta.
Portiamo con noi lo sguardo della Madre, un amore che non conosce condizioni, un calore che ha saputo scaldarci anche nel gelo più profondo.
Portiamo nel cuore l’Amore del Padre, un Amore che non si ferma davanti alle nostre ferite, né si ritira nei nostri fallimenti.
Lui continua ad amarci, sempre, e ci chiede solo una cosa: di lasciarci amare, di abbandonarci tra le sue braccia, come figli.
Crediamo negli esseri umani — come ha detto Gabriele, uno dei nostri volontari più piccoli e più grandi nello spirito —
perché è nel restare umani che possiamo toccare l’Amore con mano.
È nel restare umani che impariamo a spezzarci come pane buono per i fratelli.
Nel restare umani si custodisce il miracolo quotidiano della fraternità.
Un’unica grande famiglia, questo siamo.
La famiglia che nasce dalla fede, dall’ascolto, dalla condivisione.
La grande famiglia diocesana.
E questa famiglia non finisce qui.
Cammina ancora, ovunque ci porterà il cuore.

Francesco Vitaglione

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