Dialogo del vescovo e i giovani sul Vangelo della Pentecoste

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Anche nella domenica in cui si celebra la Pentecoste l’’arcivescovo, mons. Francesco Alfano, dialoga con i giovani. A porre quesiti sono i ragazzi della Gifra.
La prima domanda riguarda il fatto che i discepoli si trovano in un luogo con le porte chiuse: “Questa condizione la troviamo anche nelle nostre realtà giovanili: una condizione di paura dei giudizi che i nostri coetanei e la società in generale possono nutrire nei nostri confronti. Qual è la chiave per aprire queste porte?”.
“L’apertura e la chiusura: il Vangelo ci mette dinanzi a questa scelta. E questa è la Pentecoste – sottolinea mons. Alfano – che dobbiamo vivere non solo nella celebrazione in modo solenne, ma nella vita. La Chiesa è segnata dalla Pentecoste perché è continuamente tentata di chiudersi in se stessa. I giovani sono di per sé portati all’apertura, ma anche voi correte il rischio di chiudervi e forse lo sperimentate ogni giorno per tanti condizionamenti che diventano paure. Come si fa a uscire da questa situazione? Come dice Papa Francesco, bisogna uscire: tutta la Chiesa di essere in uscita. La Pentecoste ci consente di trovare la strada, che non parte da noi: la Chiesa si apre nella misura in cui è riempita dal dono dello Spirito. Ecco la Pentecoste, che non è qualcosa di astratto. Ogni comunità fa esperienza dello Spirito nella misura in cui si apre agli altri, entra in dialogo, si mette al servizio. I giovani in particolare. Certo, ci sono le paure dinanzi al giudizio, alla prevenzione, alla prepotenza. Ogni volta che siete capaci di mostrare la bellezza della vostra fede, di essere accanto all’altro, di spendervi generosamente per dare felicità agli altri, di cambiare questo mondo in meglio, tutto ciò è dono dello Spirito. Ogni volta che cadete e vi rialzate, è lo Spirito che vi ha rimesso in piedi. Tutte le esperienze di aperture che vivete sono il segno concreto dell’azione dello Spirito”.
La seconda domanda mette in luce che nel Vangelo i discepoli gioiscono quando Gesù mostra loro le mani e il costato. Spesso anche a noi capita di avere bisogno di segni tangibili per credere: “Come possiamo alimentare la nostra fede senza aver necessariamente bisogno di prove?”.
“Nel Vangelo – risponde l’arcivescovo – Gesù ci offre dei segni chiari che i discepoli hanno accolto. I segni sono la vicinanza di Gesù ai malati, ai poveri, la sua condivisione con la gente di un tempo nuovo, la vita di Gesù completamente al servizio dei fratelli rimanendo fedele al Padre, i tanti dialoghi di Gesù con la samaritana, il cieco, il giovane ricco. Leggete nella vostra vita: quanti segni… Attraverso i segni che ognuno di voi ha vissuto, l’amicizia, una testimonianza, una persona che vi ha mostrato da Dio l’amore per il Signore e per i poveri. Questi segni non saranno mai una prova, non convinceranno mai in modo certo, ma interpellano, perché Dio fa così, lascia lo spazio alla libertà dell’individuo. Ognuno deve rispondere di sì, se vuole, al suo amore”.
L’ultima domanda riguarda la frase di Gesù nella quale dice ai discepoli: quello che voi perdonerete sarà perdonato… “Questa frase sembra quasi erigere la Chiesa a giudice sulla terra, dividendo buoni e cattivi. Questo sembra in contrasto con il fatto che Gesù ci dice anche di non giudicare l’altro… Come interpretare allora questa frase?”.
“La Chiesa – fa notare il presule – ha ricevuto il potere di perdonare non a nome proprio, diciamo ha avuto il potere di trasmettere questo perdono che riceve: lo riceviamo tutti. La comunità cristiana perdonata a sua volta perdona, attraverso anche il gesto sacramentale della confessione dei peccati. Ma la Chiesa non può dividere in buoni e cattivi. A noi non compete mai dividere, il giudizio è di Dio e sappiamo che Dio vuole unire tutta la famiglia umana, vuole recuperare anche i peccatori. Lo Spirito Santo che nella Pentecoste riceviamo ci mette in condizione non di essere i giudici implacabili, ma di essere i servi, i costruttori appassionati dell’unità, della comunione, dell’armonia della comunità. Questo non esime dal dire: riconosciamo il bene e distinguiamolo dal male. Ma mai possiamo identificare l’azione sbagliata con la persona che l’ha compiuta: il peccato è perdonato, il peccatore è riconciliato gratuitamente da Dio. Se accogliamo questo perdono, possiamo comunicarlo agli altri. L’unico rischio che abbiamo è di rimanere nel nostro peccato e non volerne uscire, come Papa Francesco ci ricorda: peccatori sì, ma corruttori no. E su questo dobbiamo impegnarci con forza e decisione. Lo Spirito, che guida e anima la Chiesa, consente a noi che siamo peccatori, ma che sperimentiamo l’infinita bontà del Padre, di essere strumento e segno di riconciliazione e pace per tutti”.