Dialogo tra vescovo e giovani sul Vangelo della Domenica di Pasqua

Guarda il Video

 

Il Vangelo di Pasqua, secondo Giovanni, racconta che Maria di Magdala, andata al sepolcro, vede la pietra rotola e corre ad avvertire i discepoli. Giovanni e Pietro corrono al sepolcro, entrano nel sepolcro vuoto, poi tornano a casa. Maria di Magdala, restata nel giardino, incontra Gesù, che a lei affida il compito di annunciare la Risurrezione. Nel parlano insieme l’arcivescovo, mons. Francesco Alfano, e i giovani della Comunità Tabor.

La prima domanda è sul fatto che l’annuncio della Pasqua viene dato a Maria di Magdala: qual è il ruolo della donna nel Vangelo?

“L’attenzione di Gesù alle donne è straordinaria e modernissima, ma anche rispondente al disegno di Dio sin dall’inizio – osserva il presule -. Dio ha creato l’uomo e la donna nella loro diversità, ma a immagine di Dio nel loro rapporto. Certo, Gesù si è inserito in una storia umana dove queste relazioni sono state vissute con difficoltà. Lui ha portato questa semplicità sconvolgente in tanti episodi. Ed è piacevolmente sorprendente che al mattino di Pasqua è una donna, nel Vangelo di Giovanni, o un gruppo di donne, negli altri Vangeli, che va al sepolcro. Maria di Magdala sarà la prima testimone: annuncerà quello che ha veduto e che cambierà le sorti della comunità credente. Mi pare che questo sia un messaggio chiaro e forte per ogni tempo, anche per il nostro: non si tratta tanto di rivalutare un ruolo, ma di riconoscere il disegno di Dio, che affida agli uomini e alle donne una vocazione comune: quella di essere i suoi figli, che devono custodire il mondo e costruire un futuro nuovo. Alla donna, poi, Gesù riconosce una sua specifica peculiarità e una vocazione particolare che nasce dalla sua sensibilità, dalla sua vocazione all’accoglienza, alla vita, alla maternità e che diventa segno della vita nuova che Dio dà ai suoi figli. Maria di Magdala e Maria, la Madre di Gesù, pur nelle differenze tra di loro, ci riportano a questa novità della vita che va vissuta insieme e va annunciata al mondo con coraggio, delicatezza e quella tenacia che è tipica del mondo femminile”.

La seconda domanda è su un particolare del Vangelo di Giovanni: i protagonisti corrono, poi si fermano. Nel mondo che i giovani vivono qual è il significato di questo desiderio di correre seguito poi dal saper attendere?

“Questa dinamica è tipica della nostra società, come contraddizione forte e caratteristica del mondo giovanile – sottolinea l’arcivescovo -. È vero: la Pasqua è un alternarsi di corsa e di pausa. È così per Maria, per i discepoli: è il simbolo della vita. E la Pasqua raccoglie in sé il mistero più profondo della vita, che non può finire con gli ostacoli, le difficoltate, le contraddizioni, rappresentate alla fine dalla morte. La vita è molto di più e dinanzi a questo annuncio, che un poco alla volta viene compreso dalla prima comunità, c’è, da una parte, l’attrattiva e, quindi, il desiderio di correre, e il bisogno di fermarsi, dall’altra, perché non si capisce, si è disorientati, si deve interiorizzare, si deve assimilare. Non è vero che i giovani sono distratti: i giovani amano il silenzio, hanno il bisogno di ripensare la loro storia in silenzio. Non possono farlo da soli, come nessun altro. I due discepoli che corrono, anche se con ritmi diversi, ce lo ricordano. Maria di Magdala corre per andare a dire agli altri quello che è successo rimanda a questa dimensione comunitaria. Impariamo, allora, a correre insieme, sostenuti dai giovani, e impariamo a fermarci un po’ insieme, stimolati gli uni dagli altri. Gli adulti dal desiderio dei giovani e i giovani dal confronto con gli adulti”.

Giovanni vide e credette. I giovani sono molto concreti, sia da un punto di vista spirituale sia umano. Noi cristiani come possiamo far vedere ai fratelli che nel nostro cammino c’è Gesù?

“L’esperienza della fede, l’incontro con Gesù è qualcosa di molto concreto: si tratta di vedere con gli occhi della carne, della mente, dello spirito – risponde monsignor Alfano -. La Pasqua per i cristiani è questa possibilità di rileggere la storia degli uomini, del mondo, dell’universo alla luce di quello che Dio ha fatto. È un’esperienza che trova nel contatto con il Signore un’occasione forte per vivere la comunione nel dialogo più profondo. È un’esperienza che non possiamo tenere per noi. Ma come raccontarla? Non basteranno mai le parole. Noi raccontiamo il nostro incontro con il Signore con la vita, innanzitutto con le scelte, con lo stile, con la bellezza della nostra vita. Una vita buona è una vita che comunica qualcosa. Certo, non basterà: occorrerà anche con la coerenza e i gesti concreti, essere accanto agli altri. Non solo: saremo anche chiamati a rendere ragione della nostra speranza. Oggi più che mai. Bisognerà trovare comprensibili: ma chi più dei giovani è capace di fare questo? Cercheremo di imparare noi da voi”.