Forum sulla “Lumen Fidei” Seconda Parte

Prosegue il nostro approfondimento dell’enciclica di Papa Francesco, “Lumen Fidei”, riletta alla luce della nostra realtà locale, grazie ai contributi del vescovo, don Franco Alfano, di un seminarista che sarà ordinato diacono il 4 ottobre, Maurizio Molino,  di un giovane, Francesco Paolo Cimmino, di un educatore, Gianfranco Aprea, di un insegnante di religione, Gianfranco Cavallaro,  e di una catechista, Lucia Di Martino. Il forum sulla “Lumen Fidei” si è tenuto lunedì 22 luglio, nella curia arcivescovile di Castellammare di Stabia.
 
Dopo aver riflettuto sull’introduzione della “Lumen Fidei”, adesso vi offriamo gli spunti emersi dall’analisi del primo capitolo dell’enciclica.
Nel capitolo primo, “Abbiamo creduto all’amore”, vediamo che la fede è una risposta a un Dio che ci chiama per nome. Credere significa anche affidarsi a un amore che accoglie e perdona sempre. Nella fede, “Cristo non è soltanto Colui in cui crediamo”, ma anche “Colui al quale ci uniamo per poter credere. La fede, non solo guarda a Gesù, ma guarda dal punto di vista di Gesù, con i suoi occhi: è una partecipazione al suo modo di vedere”. Nella vita “abbiamo anche bisogno di qualcuno che sia affidabile ed esperto nelle cose di Dio. Gesù, suo Figlio, si presenta come Colui che ci spiega Dio. La fede, ricorda il Papa, “ha una forma necessariamente ecclesiale”. La parola di Cristo, una volta ascoltata e per il suo stesso dinamismo, “si trasforma nel cristiano in risposta, e diventa essa stessa parola pronunciata, confessione di fede”.
 
Ma cosa significa oggi guardare con gli occhi di Cristo? Come cambia il nostro modo di porci nei confronti del mondo e degli altri? Come ci poniamo nei confronti delle emergenze del nostro territorio?
 
Maurizio Molino: “Bisogna saper guardare le persone non per quello che fanno, nel bene e nel male, ma per quello che sono, perché bisogna andare necessariamente oltre. Così penso che Dio ci guardi. Se riusciamo ad avere uno sguardo di trasparenza verso l’altro, forse riusciamo a toccare anche di più il loro cuore, cioè riusciamo che Dio arrivi meglio al loro cuore, tramite noi.  Se guardiamo con disprezzo un giovane che ha sbagliato, quel ragazzo è finito. Allo stesso modo, se guardiamo con approvazione un giovane che ha tanto e crede di poter essere il primo e l’unico, non facciamo il suo bene”.
 
Gianfranco Aprea: “Guardare con gli occhi di Gesù per me significa guardare con gli occhi dell’accoglienza, senza pregiudizi. Nella Scrittura si dice: ‘Dio non fa preferenze’. Dobbiamo stare attenti, perché le nostre comunità spesso sono chiuse. Questo è uno dei nostri problemi. Gesù guardava tutti. Il suo sguardo d’amore era per tutti, sia per la persona peccatrice sia per la persona buona. Le nostre comunità parrocchiali e i gruppi associativi dovrebbero svegliarsi in questo e non essere autoreferenziali o diventare un’élite, ma aprirsi sempre di più. Guardare con lo sguardo di Gesù vuol dire essere accoglienti con tutti e il Papa e il Vescovo ce lo stanno dimostrando”.
 
Francesco Paolo Cimmino: “Guardare con gli occhi di Dio significa guardare le persone come un dono, per quello che sono, anche con i loro difetti. E saper scorgere in quei difetti l’opera redentrice di Dio, che è venuto per i peccatori. Se noi ci fermiamo a guardare solo chi fa del bene, è sbagliato, perché dobbiamo andare verso chi è in difficoltà. Ricordiamo san Francesco di Assisi che andava dal lebbroso, non dai sani”.
 
Lucia Di Martino: “Gesù ha avuto uno sguardo sanante, capace di cogliere la bellezza che c’è in ogni persona. E io credo che in ogni persona c’è bellezza: se siamo figli di Dio, se siamo fatti a Sua immagine e somiglianza, siamo belli. In questi ultimi anni si parla tanto di società liquida, ma dovremmo parlare anche di personalità liquide, perché anche le persone oggi tendono ad assumere le forme dei contenitori che vengono proposti. Allora, con coraggio, dobbiamo proporre la forma di Cristo a noi che abbiamo bisogno di crescere e di fare dei cammini di formazione. Formazione vuol dire prendere forma e questo per un cristiano vuol dire diventare Cristo. Questo vale per le comunità e per i singoli. Una comunità, che diventa educante e aiuta a scegliere la forma di Cristo, è una comunità capace di guardare con occhi di Cristo alla città, al suo prossimo, al suo interno e che riesce a scovare tutta la bellezza che è ancora nascosta”.
 
Gianfranco Cavallaro: “Guardare con gli occhi di Gesù non è facile. Il problema è proprio qui. Ma io guardo con gli occhi di Gesù? E come comunità guardiamo con gli occhi di Gesù? Non ho risposte certe. L’urgenza è proprio continuare a insistere sulla formazione, sul conformarci a Cristo. Parlare di formazione significa interrogarsi sul tipo di formazione che riceviamo. A chi di noi è animatore, catechista, sacerdote, quale formazione viene offerta nelle nostre comunità parrocchiali e nei nostri gruppi? È una formazione di taglio esclusivamente teologico-catechetico o è un percorso di crescita per assumere ognuno di noi la forma di Cristo in noi? Nella mia esperienza anche parrocchiale, il percorso che facciamo con un gruppo di adulti prevede non solo un approfondimento biblico e teologico, ma anche un rimando al concretizzare ciò che si è appreso. Questa è una strada buona e opportuna: aiutare la comunità ecclesiale, man mano che cresce nella forma di Cristo, a tradurre quello che si matura nella realtà intorno a noi. E, allora, ecco l’attenzione alla città e alle altre esigenze che ci sono”.
 
Il vescovo don Franco: “Mi metto nella mia prospettiva specifica di Vescovo di questa Chiesa. Nella nostra realtà, provo a guardare con gli occhi di Cristo i pastori di questa Chiesa: il Vescovo con i presbiteri e i diaconi, coloro che devono rappresentare anche sacramentalmente Cristo. Questa è una prima sfida: come vederli, al di là del carisma personale o dei limiti, come il dono che Dio sta facendo alla nostra realtà? Guardare con gli occhi di Cristo significherà questo. E aggiungo le comunità parrocchiali, che in questa diocesi sono state messe insieme come tante Unità pastorali, per scelta voluta, pensata e sancita nel Sinodo. Vederle con gli occhi di Cristo significherà credere fortemente che ci sono gli elementi sufficienti non solo per camminare insieme, ma per vivere insieme l’unità della fede, della carità e del servizio. Fino ad arrivare agli ambienti nei quali viviamo: le città, i piccoli paesi. Vedere con gli occhi di Cristo significherà come Chiesa saperci fermare non alla superficie, ma alla profondità delle singole persone, delle famiglie, del cammino che si fa. Saper scorgere, tra i mille problemi che spesso ci tolgono il respiro, i germi del Regno di Dio, che cresce. Nella misura in cui ce ne rendiamo conto, non solo siamo incoraggiati, ma spinti ad andare avanti. Vedere con gli occhi di Cristo, credo, significa non solo andare a scoprire il povero per condividere con lui e aiutarlo ad uscire dalla sua condizione, ma piuttosto vedere con gli occhi del povero, partire dall’ultimo e leggere la realtà come fa lui. È la cosa più necessaria, più urgente e quella su cui siamo meno abituati. Qui il Vangelo attende di essere accolto e tradotto insieme fino in fondo”.
 

 

di Gigliola ALFARO