Il ricordo di Mons. Felice Cece

Il ricordo di don Catello Malafronte per diversi anni collaboratore di Mons. Cece.

Grazie! E’ la prima PAROLA che è scaturita dalle mie labbra e dal mio cuore all’annuncio della morte di S. E. Mons. Felice Cece, padre e pastore della nostra Chiesa locale dal 9 aprile 1989 al 28 aprile 2012.

Ricordare Mons. Cece non è facile, non solo per l’affetto che nutro per lui, ma perché ci sono varie sfumature della sua persona e del suo carattere, che sarebbero difficili da elencare.

A chi lo conosceva nel suo aspetto più sociale, lo ricorderà per il suo essere schivo, riservato e silenzioso che non amava il chiasso e i discorsi inutili.

Per chi invece, come me, ha avuto la grazia di stargli accanto, ricorderà il suo sorriso, i suoi occhi da fanciullo.

Mons. Cece aveva uno sguardo disarmante e quando sulla porta o in cima alle scale dell’episcopio ti accoglieva con il suo sorriso, eri certo che era un’accoglienza illimitata. Ricordo di lui l’intelligenza acuta e la sua passione per la teologia, il suo sguardo rivolto ai poveri e alle persone ferite dalla vita, con un animo finissimo e una sensibilità non comune.

Tutti, indistintamente, lo ricordiamo per la sua povertà ed essenzialità: un uomo retto ed evangelico.

Mons. Cece eletto Vescovo di Calvi e Teano all’età di 48 anni il 17 ottobre 1984, rimase in questa diocesi per soli cinque anni. Il 2 luglio 1988 fu nominato Amministratore Apostolico della nostra Diocesi di Sorrento-Castellammare di Stabia, e in seguito l’8 febbraio 1989 nostro Arcivescovo. Il 28 aprile 2012 terminò il ministero pastorale.

Mons. Cece si trovò subito ad affrontare la delicata quanto complessa realtà della fusione delle diocesi di Sorrento e Castellammare di Stabia nell’attuale realtà ecclesiale di Sorrento-Castellammare di Stabia. Partendo dal vissuto ecclesiale, possiamo dire che il filo rosso del suo ministero pastorale sia stato quello di tradurre in scelte pastorali la riflessione sulla chiesa: la chiesa-comunione, icona della Trinità nel tempo e nella storia che ha il modello nella Vergine Maria, e la chiesa nel mondo che condivide” le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla Vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore. (…) (GS 1)

Mons. Cece è stato il Pastore buono e prudente che non si è mai risparmiato. La testimonianza del ricco suo magistero e il cammino da lui segnato lo si può leggere nella rivista diocesana Koinonia cui dedicava particolare attenzione. Un’ulteriore attestazione del suo cuore di Pastore infaticabile sono le lettere pastorali, le visite pastorali, le omelie. Sul versante dell’azione pastorale ricordiamo: la scelta delle unità pastorali, la lunga preparazione e la celebrazione del Primo Sinodo diocesano, il centro Caritas “Madre Teresa di Calcutta”, il Centro Exodus, la promozione delle Caritas di alcune Unità pastorali, la casa di Spiritualità “Armida Barelli”, la nascita di alcuni centri giovanili, la ristrutturazione della curia, ecc.

Attingendo alla sua formazione personale e storia di docente di teologia e filosofia, Mons. Cece diede un particolare impulso alla formazione organica e sistematica dei laici cristiani attraverso dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose. Era profondamente convinto che la fede matura deve essere anche pensata. Sosteneva che era non solo urgente, ma indispensabile la formazione teologica del laicato cristiano per la sua missione nel mondo e riteneva che lo studio della teologia fosse “una speciale forma di catechesi organica”. Questa convinzione lo convinse, nei primi anni di ministero pastorale in Diocesi, a tenere personalmente alcuni corsi di teologia. Le sue parole, erano parole forti affievolite dalla sua voce flebile, ma ancora oggi rileggendo le lezioni, le sue omelie o le lettere scritte alla città, è possibile trovare ancora parole che scavano dentro le nostre vite e le nostre coscienze.

Due particolari mi piace riferire per sottolineare la sua consapevolezza del suo essere vescovo in senso patristico e il suo amore per i sacerdoti. Il primo. Spesso ai suoi più stretti collaboratori che lamentavano il fatto che desiderava essere informato di tutto ricordava sorridendo: “Nihil sine episcopo” e ammoniva che il vescovo è il segno dell’unità. La sua era un’autorità con un altissimo ed autentico «sensus Ecclesiae». Quando doveva prendere una decisone procedeva sempre ad ampie consultazioni per acquisire molti pareri prima di decidere. Quanti di noi che abbiamo avuto la grazia di collaborare più da vicino con Mons. Cece ricordiamo la saggia espressione: “Vi ringrazio per i consigli dati… vi faccio sapere!”.

In questa espressione “vi faccio sapere” era racchiuso il cuore e lo stile del Pastore consapevole che, dopo il discernimento comunitario, la decisione spettava a lui da prendere davanti a Dio. Posso attestare che tutte le decisioni sia pastorali che quelle riguardanti le persone, Mons. Cece, dopo il necessario ascolto, le ha prese sempre in un clima di fede e di preghiera. Mai contro qualcuno o qualcosa. La sua unica ragione era la preservazione della fede, la custodia dei sacerdoti, la formazione dei seminaristi e l’attenzione alla gente. Chi gli è stato vicino può anche testimoniare le lunghe ore di adorazione che trascorreva nella sua cappella e, talvolta, lo ha visto con gli occhi bagnate dalle lacrime della sofferenza. Con la beata Maria Maddalena Starace, possiamo dire che le sue decisioni le prendeva in cappella, davanti a Gesù presente nell’Eucaristia. Ha amato la sua diocesi, i suoi preti, quanti rosari recitati in macchina con lui per i sacerdoti in difficoltà, in discernimento, in crisi; quante volte l’ho visto rivolgersi a Maria con la confidenza di un figlio. Portava tutti nel suo cuore di padre e pastore, seppure in un silenzio quasi misterioso perché le ostentazioni non appartenevano al suo stile

Alla scuola di Padre Francesco Saverio Toppi, già prelato di Pompei ed oggi Servo di Dio, Mons. Cece aveva imparato “il segreto della piccola via”.  Diventare piccoli come bambini è la condizione necessaria per chi vuole svolgere una missione. Padre Francesco Saverio pregava la Madonna e diceva: “fammi diventare bambino per stare in braccio a te”. Mons. Cece aveva anche lui una esperienza sapienziale della “piccola via”, anzi a questo aveva ispirato il suo ministero pastorale. Tant’è che l’unico anello episcopale che portava era raffigurata santa Teresina di Lisieux.

Mons. Cece era molto esigente e rigoroso. Non ha mai cercato sconti al suo servizio di pastore. Ha sempre vissuto e annunciato il vangelo in uno stile di sobrietà, essenzialità e povertà. Nel suo 25° anniversario di episcopato, volle che in diocesi si istituisse un fondo di solidarietà anti usura e spesso l’ho visto accogliere in episcopio la gente vittima di questa grande piaga con la delicatezza di un padre, ma anche con la fermezza della denuncia che richiede il vangelo.

Mons. Cece è stato un maestro anche nell’ultimo tratto della sua vita, ha sofferto e ci ha insegnato l’arte del soffrire, rimanendo aggrappati a Cristo, sempre. Ricordo le parole consegnatemi in una delle ultime visite. Volle accompagnarmi all’ascensore e subito dopo salutandomi mi disse: “ricordati di amare il Signore sempre, di volerci bene e di pregare gli uni per gli altri”.

Ci ha insegnato a sorridere, a non prenderci troppo sul serio, la sua ironia non solo era segno di grande intelligenza e vitalità, ma anche visibilità del suo lavoro interiore di sintesi sulla vita e sulle situazioni.

Ci ha insegnato la sobrietà e la povertà, per lui questi aspetti non erano orpelli da mostrare, ma erano valori scelti in modo convinto perché rendevano efficace l’annuncio del vangelo.

Mons. Cece ha guidato la diocesi di Sorrento-Castellammare di Stabia per quasi 30 anni e vi ha dato un’impronta, uno stile che era prettamente evangelico. Ci ha mostrato la via e vorrei che noi tutti raccogliessimo la sua eredità.

Quando l’ho visto per l’ultima volta salutato in episcopio, era assopito, l’ho chiamato più volte e a un certo punto gli ho stretto le mani e mentre gliele stringevo, lui se l’è portate al petto. Mons. Cece era anche questo: un vescovo capace di dare presenza e sostegno, ma anche di desiderare affetto e vicinanza.

Caro Padre, ti salutiamo, ma in realtà ti teniamo nel cuore perché gli anni trascorsi insieme sono stati troppo fecondi e sostanziosi per dimenticarcene. Ti salutiamo, ma intanto ti teniamo al caldo dentro di noi perché la tua persona così riservata e silenziosa è stata capace di tessere trame di relazioni autentiche e durature.

Ti salutiamo, ma chiediamo a Santa Teresina di Gesù Bambino di accoglierti come tu hai accolto la sua vita e il suo esempio, portandola impressa sul tuo anello episcopale.

Caro Mons. Cece, ora non smettere di guardarci, non smettere di proteggerci, non smettere di volerci bene. Continua a pregare per noi, per la nostra Chiesa di Sorrento-Castellammare di Stabia e per il Vescovo Francesco, tuo successore.

di don Catello Malafronte