Il prof. Sergio Tanzarella è stato invitato ad una riflessione pubblica sugli orientamenti pastorali diocesani “La gioia del Vangelo nella compagnia degli uomini”, aiutando gli operatori pastorali della seconda zona pastorale a riflettere sul Luogo “DOLORE E SOLITUDINE“.
Dopo l’introduzione e la preghiera, guidata dal vicario zonale don Francesco Guadagnuolo, con la presenza in Basilica dell’Arcivescovo, presbiteri e religiosi, ma soprattutto con i posti a sedere riempiti da tanti laici di ogni età e provenienza, il prof. Tanzarella ha cominciato con l’invito a “pensare” a fronte della complessità della società odierna, mentre l’andazzo (e forse l’intendimento nascosto) della nostra società è NON pensare: “attrezzarsi”, quando ormai il mondo non chiede più di pensare.
Successivamente, con determinazione e profondità, spesso passionalità, ha toccato 5 punti in poco più di un’ora, che è sembrata volar via troppo presto!
Di seguito sono sinteticamente riproposti.
1. “Il dolore ha bisogno di essere condiviso”
Il dolore si coniuga con l’amore. La maternità femminile è una sintesi sublime di amore e dolore.
Per parlare di speranza a chi è disperato bisogna condividere la disperazione dell’altro.
Superare la tentazione di una amore universalistico, ma astratto; invece, amare prima di tutto i prossimi, cioè chi mi è vicino.
2. “Il dolore attraversa la storia”
La sofferenza di Cristo non è cristallizzata da 2000 anni, ma attraversa la storia e si fonde con la sofferenza dell’uomo odierno.
Noi occidentali abbiamo in genere la libertà di sceglier nella nostra vita, molte popolazioni no, i migranti certamente no.
Una domanda ricorrente è: “Perché soffrono i bambini?” Non ci sono risposte, lo dice anche papa Francesco, ma un attivo silenzio, servizio e preghiera.
3. “Anche Dio soffre”
L’incarnazione, la passione e la risurrezione, che sono il cardine della fede, provano la sofferenza reale della carne di Cristo. La commozione di Cristo di fronte a Lazzaro è la prova della sua umanità.
4. “Il dolore non si estingue con il tempo”
Non dobbiamo rassegnarci: la rassegnazione apre la porta alla disperazione ed all’indifferenza. La rassegnazione non è lo stile cristiano, il cristiano vive di e nella Speranza.
“E’ tempo di inserire l’undicesimo comandamento: mai essere indifferenti”, ha detto uno dei sopravvissuti ad Auschwitz, Roman Kent.
Il dolore di una separazione profonda non si estingue né con il tempo né con le parole degli altri.
Per coloro che ne hanno vissuto il dolore, le guerre non finiscono alla data dell’armistizio ma solo dopo 2 o 3 generazioni.
Non dimentichiamo che le guerre si fanno perché si producono armi: c’è una indubbia responsabilità morale per chi autorizza, produce e vende armi. Il Papa spesso denuncia ciò ed anche per questo è contrastato.
5. “Dio non è la causa del dolore”
Il dolore e la sofferenza non sono la volontà di Dio. Dio non punisce, non mette alla prova (come spesso veniva detto).
Quasi sempre il dolore è riconducibile ad una chiara responsabilità umana. Allora il cristiano non può tacere, altrimenti diventa complice dell’ingiustizia.
Le comunità cristiane è tempo che escano dalle sagrestie, cercando il Cristo nel fratello sofferente.
La ludopatia è in ultimo una conseguenza della scelta politica di lucrare sul gioco. La comunità cristiana non può far finta di niente e non denunciare ciò.
di Michele e Lucia