La chiesa in uscita: il dialogo è possibile ma soprattutto doveroso

Di fronte ai drammatici avvenimenti accaduti a Parigi il 13 novembre, ed a quelli recenti in tante altre aree del mondo, un clima di tristezza pervade il mondo del dialogo.

Si prega in silenzio, poche parole, sguardi abbassati. Sono stati organizzati tanti incontri, confronti, dibattiti e conferenze tra culture e religioni diverse e tra cristiani e musulmani, ma il grido di “Allah u Akbar” dei terroristi a Parigi, avvalora nell’opinione pubblica la terribile equazione “ISLAM = TERRORISMO” facendo correre il rischio di fare passi indietro nel dialogo interreligioso.

Molti si chiedono ma sarà possibile oggi  continuare il dialogo tra le religioni? Il dialogo è ancora possibile ma, dice don Cristiano Bettega, direttore dell’Ufficio Nazionale per l’Ecumenismo ed il Dialogo Interreligioso della CEI, addirittura doveroso: «Non abbiamo alternative – e più costruiamo muri, barriere e ghettizzazione, più ci mettiamo sulla difensiva, più generiamo un clima di violenza e di scontro».

Poiché l’espressione “chiesa in uscita” è diventata ricorrente nei nostri discorsi, chiediamoci ora, dopo Parigi, cosa vuol dire essere Chiesa in uscita? La domanda comporta una scelta difficile perché ci chiede di esporci in prima linea.

Innanzitutto non bisogna cedere alla trappola dei terroristi che è quella di generare paure e divisioni. “Vivere con la paura è come vivere a metà”. Sta a noi non permetterlo.

E poiché il nostro dovere religioso, civile e morale è quello di creare ponti, è proprio in questi momenti più difficili che dobbiamo lavorare per dimostrare che vince la ragione della convivenza e del dialogo sull’odio. Marce della pace, veglie di preghiera sono importanti, ma dobbiamo avere il coraggio di esporci e di dialogare soprattutto con coloro, e sono in tanti, che pensano di rispondere all’odio con la stessa moneta.

Anzi questi probabilmente sono i feriti su cui dobbiamo chinarci di più per essere chiesa in uscita. Dobbiamo fare i conti con queste paure della gente e l’unico modo per vincerle è far provare alle persone un sentimento contrario.

Quello della misericordia, dell’amore e della fraternità. Come?

Moltiplicare nelle nostre comunità momenti in cui cristiani e musulmani possano confrontarsi, dialogare e collaborare insieme: per esempio servire ad una mensa dei poveri, visitare gli ammalati, consolare chi è solo, magari anche aiutarsi insieme a sopportare con pazienza le persone moleste. A vivere – in una parola – quelle opere di misericordia che sono la più potente alternativa all’odio e lo specchio migliore per capire in quale Dio crediamo davvero.

Giovedì 19 novembre ore 15.30, l’Ufficio Ecumenismo di Napoli, il Giaen e la Confederazione Islamica Italiana organizzano un incontro  sulle RADICI COMUNI DELL’ACCOGLIENZA E DELLA MISERICORDIA tra Cristianesimo ed Islam al Convitto Nazionale Piazza Dante. Per maggiori approfondimenti vedi link

di Lia VERDOLIVA