La relazione di Mimmo Muolo all’incontro dell’Odp

Pubblichiamo una sintesi dell’intervento di Mimmo Muolo, vaticanista del quotidiano Avvenire, al convegno per la presentazione della pubblicazione “Chiesa in cammino e in preghiera. I venticinque anni dell’Odp”.
 
Premessa
Nei giorni scorsi, mentre seguivo la Conferenza stampa di presentazione del calendario e delle iniziative del prossimo Giubileo della Misericordia, una notizia ha attratto la mia attenzione. Il Papa ha voluto che il primo avvenimento con una larga partecipazione di fedeli fosse dedicato a tutti coloro che operano nel pellegrinaggio. Questo evento si svolgerà dal 19 al 21 gennaio. È un segno per far comprendere che l’Anno Santo è un vero pellegrinaggio e come tale va vissuto. Verrà chiesto, dunque, ai pellegrini di compiere un tratto a piedi, per prepararsi a oltrepassare la Porta Santa con spirito di fede e di devozione. “Preparare quanti operano in questo settore per andare oltre la sfera del turismo è decisivo e il fatto che loro per primi si facciano pellegrini potrà essere di grande aiuto”, ha commentato monsignor Rino Fisichella, presidente del dicastero vaticano cui Francesco ha dedicato l’organizzazione dell’Anno Santo.
Richiamare questa scelta, all’inizio del mio intervento in questo incontro in cui si festeggiano i 25 anni dell’Opera Diocesana Pellegrinaggi di Castellammare di Stabia, mi è sembrato particolarmente opportuno: da un lato per rimarcare la sintonia innata tra questo incontro e il cammino della Chiesa universale, dall’altro per sottolineare che il titolo scelto per il nostro evento – Una Chiesa in Cammino e in preghiera – non è un semplice slogan, ma raccoglie in sé gli elementi costitutivi di una esperienza che a sua volta è immagine stessa della nostra condizione esistenziale.
 
Il pellegrinaggio metafora della vita
Il pellegrinaggio è vita e la vita è pellegrinaggio. Questo noi cristiani crediamo. E i Papi del post-Concilio ce lo hanno mostrato chiaramente con il loro insegnamento e soprattutto con il loro esempio . Con la sola eccezione di Giovanni Paolo I che non ne ha avuto il tempo materiale, gli altri quattro hanno dato al pellegrinaggio una rinnovata vitalità. Paolo VI per primo ha inventato con i suoi viaggi il pellegrinaggio dei Pontefici dell’era contemporanea. I suoi itinerari apostolici, tra l’altro, hanno mostrato un altro tipo di “santuari” da raggiungere e visitare: i santuari dell’umano. Pensiamo al Palazzo di Vetro dell’Onu, ad esempio. Giovanni Paolo II, poi, è stato il pellegrino per antonomasia: 104 viaggi internazionali, non so quante visite in Italia, ha toccato tutti gli angoli dei cinque continenti. Egli inoltre ha mostrato che il pellegrinaggio è per tutte le età, inventando le Gmg, cioè i pellegrinaggi dei giovani. Benedetto XVI ha seguito le sue orme, con originalità. Sono rimasto sempre stupito nel vedere il grande Papa teologo inginocchiarsi e pregare in santuari grandi e piccoli, come un qualsiasi fedele. Una lezione di umiltà e di profonda fede.
Infine Francesco. Non solo con i suoi viaggi, che sono già molti, ma anche con il suo insegnamento ci sta ricordando gli elementi fondamentali del pellegrinaggio. E soprattutto quel Dio delle sorprese, quel Dio che si manifesta anche attraverso i sogni e le imprese apparentemente impossibili, che sono alla base di molti santuari e di molti pellegrinaggi.
Ripensando dunque al magistero di questi quattro grandi Papi, riprendiamo il nostro discorso legato agli elementi fondamentali del pellegrinaggio, tra i quali cammino e preghiera sono forse i principali. Del resto, anche la vita di una diocesi come quella di Castellammare di Stabia è cammino nutrito di preghiera. Così come quella delle parrocchie e delle altre comunità ecclesiali.
Per cui fare memoria dei 25 anni dell’Opera che in diocesi si occupa di organizzare, accompagnare e animare i pellegrinaggi è quanto mai opportuna. In questo incontro confluisce, infatti, una pluralità di significati, una molteplicità di piani di lettura che merita di essere esplorata con cura.
 
C’è innanzitutto il piano di lettura letterale. Abbiamo un libro, una pubblicazione ben fatta, che si legge gradevolmente e che aiuta a fare memoria. Se anche ci fermassimo qui, non è poco. In un tempo che tende a eliminare radici, passato e memoria (appunto!), tutto ciò che serve a ricordare, a conservare, a trasmettere è già di per sé un valore. Faccio notare tra l’altro che il “fare memoria” è un altro degli elementi costitutivi del pellegrinaggio. I santuari, che del pellegrinaggio costituiscono la meta, sono luoghi in cui si fa memoria di un evento straordinario. Chi si mette in cammino verso quelle mete fa dunque memoria sia di quell’evento (e questo è l’aspetto oggettivo), sia degli eventi che nel bene e nel male hanno caratterizzato la propria vita (aspetto soggettivo) e che spingono a mettersi in cammino.
 
Un libro per ricordare (ma non solo)
Nel libro che ripercorre i 25 anni dell’Opera Diocesana Pellegrinaggi di Castellammare-Sorrento questi elementi vengono bene in evidenza. E possiamo dire che individuarli e metterli in rilievo costituisce il secondo piano di lettura. Mi piace evidenziare alcuni punti chiave che traggo sia dall’introduzione di don Gennaro Giordano, assistente ecclesiastico dell’ODP, sia dal diario dell’arcivescovo, monsignor Francesco Alfano.
Innanzitutto l’uomo che si mette in pellegrinaggio è un uomo in ricerca di Dio. Ricerca uguale cammino. Cammino uguale conversione. Conversione uguale rimuovere il cuore di pietra e mettere al suo posto un cuore di carne, facendo affidamento sugli strumenti tipici che il pellegrinaggio mette a disposizione di ogni pellegrino: la preghiera – personale e comunitaria – e l’accostarsi ai sacramenti, specialmente alla riconciliazione.
 
Dal diario di monsignor Alfano, si potrebbero estrapolare molti elementi. Ne segnalo in particolare tre.
La riflessione (cioè lo stile mariano del meditare le cose nel proprio cuore). La stessa scelta del diario è indicativa. Se poi si vanno a leggere i diversi passaggi del testo, si trovano spunti da approfondire anche in chiave personale.
Il meditare tutto nel proprio cuore, come fa Maria, non esclude, anzi richiama lo sguardo attento al mondo e alle povertà. E nel libro si trovano begli esempi di questo sguardo, ad esempio la dove si parla della Giordania.
Infine il momento del ritorno a casa. Monsignor Alfano è attento anche a questo aspetto particolare che in realtà nell’immaginario collettivo si tende a sottovalutare. Ma il pellegrinaggio è fatto anche in vista del ritorno a casa. Nella stessa misura in cui la Domenica rimanda necessariamente alla quotidianità settimanale. Ritorneremo anche su questo aspetto.
 
Verso il santuario
Vorrei infatti concentrami – fidando sulla mia esperienza personale – sulla meta del pellegrinaggio, cioè il santuario, per poi provare a trarre alcune conclusioni.
Perché si cerca Dio in un santuario? Perché il primo elemento qualificante di un santuario è una epifania, cioè un’irruzione del soprannaturale nella nostra vita.
Questa irruzione provoca la nostra fede, la accresce, la mette in circolo, cioè la fa diventare pubblica.
Proprio perché questa fede diventa pubblica, il terzo elemento è il fatto che un santuario cambia la storia dei luoghi. Li trasfigura.
Se noi prendiamo pienamente coscienza di questi elementi costitutivi, anche i nostri pellegrinaggi saranno diversi. Cercare Dio, accrescere la nostra fede, cambiare la storia dei luoghi è infatti un programma di vita, anziché una semplice parentesi nella quotidianità. Un progetto pastorale, si potrebbe dire in riferimento alla vita di una comunità diocesana o parrocchiale. Ecco perché nel prossimo Giubileo Papa Francesco ha voluto inziare con un evento dedicato agli operatori dei pellegrinaggi. Cioè a voi.
Conclusione

In conclusione, dunque, a me sembra che questo incontro e questo libro siano una bella occasione per approfondire il nostro approccio con il tema del pellegrinaggio. Non qualcosa che si fa a scadenze regolari, ma un’esperienza, un momento forte che si inserisce nella nostra vita cristiana, la alimenta, la sostiene, talvolta la fa rinascere completamente. In questo può aiutarci molto il magistero di Papa Francesco, che invita la Chiesa a uscire, a mettersi in cammino, ad andare verso le periferie. In questo senso accanto ai santuari di pietra il Papa ci sta guidando a riconoscere i santuari di carne che sono i nostri fratelli, soprattutto quelli più bisognosi. Verso questi santuari, il pellegrinaggio in senso classico deve indirizzarci. Perché anche lì – forse soprattutto lì – si ritrovano quelli che abbiamo definito gli elementi fondamentali di un santuario.