Mons. Alfano: “La missione del cappellano di bordo”

Lunedì 24 giugno il nostro Arcivescovo, mons. Francesco Alfano,  in qualità di Vescovo promotore dell’apostolato del mare, ha partecipato a Roma, presso la sede Cei di via Aurelia 468, alla prima giornata di formazione per i cappellani di bordo, promossa dall’Ufficio nazionale per l’apostolato del mare. L’incontro ha rappresentato anche un’opportunità per confrontare le varie esperienze ed individuare le scelte pastorali e formative per garantire un servizio sempre più qualificato verso i marittimi, che sono i primi destinatari della missione dei cappellani on board. Attualmente sono soltanto 11 i sacerdoti in servizio a tempo pieno a bordo delle imbarcazioni della Costa Crociere e una trentina a tempo parziale.
“Per me – ci racconta mons. Alfano – è stata un’esperienza nuova, in un mondo che non conoscevo. Perciò, ho ascoltato volentieri e con attenzione le vicende di questi cappellani, che non sono molti, ma che svolgono una missione importante: dare una presenza religiosa in una realtà particolare qual è il mondo della nave: i passeggeri e chi lavora, con cui c’è un contatto continuo. Si parla di almeno mille persone di settanta Paesi diversi. È un incontro con persone di ogni parte del mondo, con alle spalle ogni esperienza umana e religiosa”.  Come comunità ecclesiale, quindi, “si sente il bisogno di indicare una presenza che sia attenzione, condivisione, incoraggiamento, ma anche promozione della dignità umana e annuncio del Vangelo”.
Il nostro Pastore è stato colpito da quello che ha detto uno dei cappellani: “Noi rispondiamo in questo modo all’invito di Papa Francesco che ci spinge ad andare alle periferie. Anche quella della nave è una periferia”. “È vero – osserva mons. Alfano – che sulla nave si va in vacanza, ma pure i crocieristi portano con sé esigenze, spesso problemi di natura interiore. Per non parlare di chi lavora sulla nave, un mondo che vive una condizione di vita molto particolare, perché sono lavoratori che pure quando staccano il loro turno restano sul posto di lavoro. Restare sul posto di lavoro 24 ore su 24 influisce a livello psicologico. Essere cappellani significa stare accanto a una condizione umana non ideale per condividere questo bisogno di relazioni, problemi economici ed esistenziali”. Spesso i cappellani si sentono dire: “Beato te, che giri il mondo”. “Anche questo è vero – sottolinea il nostro Arcivescovo –, ma ciò comporta una precarietà. Si tratta di una missione delicata e importante che chiama in causa le Chiese locali. Un punto, che vogliamo approfondire, è quello del rapporto che può esserci tra il cappellano che parte per questo suo compito e la Chiesa da cui parte, che in qualche modo lo invia o che dovrebbe prendere coscienza di questo mandato, per un rapporto più profondo. Anche per aiutare lo stesso cappellano, che vive momenti non facili. Ad esempio, l’impossibilità di pregare insieme con un altro sacerdote. C’è una certa solitudine che va sostenuta”.

di Gigliola ALFARO