Mons. Alfano a Pasqua: “Corriamo insieme verso la vita”

Domenica 5 aprile – Domenica di Pasqua nella Risurrezione del Signore – ci presenta un passo del Vangelo di Giovanni:
 
Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro.
Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!».
Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò.
Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte.
Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti.
 
Su questo ci offre un pensiero il nostro arcivescovo, mons. Francesco Alfano: “Quando pensiamo alla Pasqua, pensiamo a un’esperienza bella, grande, straordinaria, alla luce, al sole, alla vittoria, ma dobbiamo tener presente il cammino fatto dai discepoli per nulla facile. Il Vangelo ce lo testimonia con continuità anche nel momento in cui è arrivato agli apostoli, chiusi per paura nel cenacolo, questa sorprendente notizia da parte di Maria di Màgdala: ‘Non c’è, la tomba è vuota. Io l’ho visto: è risorto’. Come si fa a credere immediatamente e con tutto se stessi una notizia che va al di là di tutto l’immaginabile, l’accettabile dal punto di vista della ragione, ma che è quello che portiamo nel cuore. È proprio bello se fosse così. Il Vangelo lo testimonia attraverso una reazione profondamente umana, che ci riguarda tutti. I discepoli corrono. Quando si corre si è attratti, quando si corre si desidera raggiungere presto la meta. I discepoli corrono insieme, anche se hanno velocità diverse, corrono perché c’è qualcosa dentro di loro che li lascia inquieti. Non è una corsa facile: la corsa stanca; non è una corsa serena perché stanno andando verso la tomba, verso il luogo che segna la fine, mentre la Pasqua indica l’inizio, non bisognerà cercare Gesù tra i morti: è vivo. Corrono perché portano dentro un’esperienza fatta con Lui che li ha segnati, i gesti, le parole, gli sguardi, le scelte, il tempo condiviso. Ecco cos’è la Pasqua: bisogna che noi nell’affanno della vita, nella corsa che ci vede a volte in competizione, cediamo a quanto abbiamo nel cuore. Se il Vangelo in qualche modo ci ha sconvolto, anche se non abbiamo raggiunto una fede matura e perfetta, corriamo insieme, non con il desiderio di prevalere l’uno sull’altro, aiutiamoci e correggiamo la rotta, non andiamo verso il luogo della morte se non per annunciare a chi è ancora nel buio, nell’angoscia, nella solitudine che Cristo è risorto. Corriamo insieme verso la vita, corriamo insieme a portare la vita, a trovare la vita che ci precede, a servire la vita. La Chiesa Papa Francesco ci chiede di viverla così, ‘in uscita’. Deve essere un’uscita che correndo ci porta gli uni incontro agli altri: così incontreremo Dio, faremo esperienza anticipata della Pasqua di Risurrezione e costateremo con stupore grande che Cristo veramente ha vinto la morte e che in Lui è possibile ricominciare a vivere.

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