Mons. Alfano commenta le parole del Papa ai vescovi italiani

Sono passate poco più di tre settimane da quando Papa Francesco ha aperto l’Assemblea generale dei vescovi. Ora è tempo di riflettere insieme con il nostro arcivescovo, mons. Francesco Alfano, sulle parole del Pontefice.
 
Eccellenza, come legge i suggerimenti del Papa ai vescovi italiani?
“Dopo il primo incontro l’anno scorso nella basilica vaticana, a maggio 2014 per la prima volta il Papa ha aperto i lavori e il suo discorso ha preso il posto della prolusione. Il Pontefice ci ha ricordato quelli che sono i doveri fondamentali dei pastori. E lo ha fatto in una visione ampia ed ecclesiologicamente forte: il rimando all’intervento di Paolo VI al Concilio è stato molto significativo. Inoltre, lo ha fatto in un contesto spirituale molto profondo: la sua non era una meditazione, però era un invito a radicare nella spiritualità il servizio e il ministero. Il tutto in una prospettiva profetica ampia. Quindi io ho colto le parole del Papa in modo molto positivo. Non solo ci ricordiamo quello che siamo e che siamo chiamati ad essere, ma confermati dal Papa cerchiamo di migliorare il nostro servizio. In questa ottica, è stato anche un richiamo a migliorare e anche a rivedere qualche aspetto eventualmente laddove ci fosse bisogno nel singolo pastore o anche nella Conferenza episcopale. Il voler accentuare, da parte del Papa, la dimensione della relazione, da una parte, con Cristo e, dall’altra, con una comunità viva, piena di speranza e, di conseguenza, solidale con le situazioni di maggiore sofferenza del momento, credo voglia significare anche un po’ premere sull’acceleratore. Infatti, venendo da fuori, il Papa coglie una Conferenza episcopale che è sì vicina alla gente, ma che, per una serie di motivi anche storici, può correre il rischio di fermarsi a un certo livello o, per le vicende degli ultimi tempi e decenni, addirittura accentuare un aspetto a scapito di altri e passare per una Conferenza, per esempio, più attenta alla burocrazia che alla missione, ripiegata più sui problemi interni alla comunità ecclesiale che su quelli sociali o versata sul campo sociale-politico più da una parte che in modo generale. Sono letture un po’ forzate, ma che attendono anche da parte della stessa Conferenza episcopale di essere condivise ed espresse”.
 
Il Papa invita ad usare il linguaggio della comunione: quanto è difficile per la Chiesa attuare questo suggerimento di Francesco?
“Credo che questa sia stata la difficoltà di sempre, già nelle prime comunità, dunque da quando è nata la Chiesa. Mi ha colpito molto il rimando del Papa all’esercizio del discernimento e alla libertà e al coraggio di poter dire ciascuno la propria opinione per costruire insieme una linea e fare una scelta. È importante perché, grazie a Dio, il nostro Paese, la nostra Chiesa e il nostro episcopato sono ricchi di personalità e di esperienze molto significative. Nel confronto, però, nessuno deve rimanere legato a se stesso. Quindi, il linguaggio della comunione diventa un linguaggio fatto di ascolto reciproco, fatto di confronto sincero per realizzare scelte condivise evitando il rischio di un gruppo che prevalga sugli altri e soprattutto, fatto, come ci ha ricordato il Papa, di segni eloquenti. Il linguaggio dei segni, che il Papa vive quotidianamente, è molto efficace e raggiunge tutti, quando c’è coerenza tra quello che si dice e si vive”.
 
Il Papa ha citato la famiglia, i disoccupati e i migranti come luoghi dove è necessaria la presenza dei pastori. Sono priorità anche per la nostra Chiesa diocesana?
“Sono priorità urgentissime. Chiamano in causa la pastorale ordinaria delle nostre comunità e forse anche la pastorale straordinaria, chiamiamola così, perché in questo momento dobbiamo chiamare in causa tutte le forze, sapendo andare anche oltre a quello che si riesce a fare. La famiglia è ancora il baluardo a cui facciamo riferimento. Ma, allo stesso tempo, sperimentiamo la trasformazione rapidissima nella mentalità non solo delle nuove generazioni, ma anche degli adulti che fanno fatica a conservare un modello che hanno nel cuore ma che non riescono a vivere più. Questo ci interpella non solo nei casi, già tantissimi, di difficoltà e di situazioni irregolari, ma anche come concezione del modello di famiglia. Abbiamo bisogno a tutti i livelli di ripensare la pastorale familiare. Io l’ho detto ai sacerdoti e agli operatori: siamo arrivati in ritardo alla preparazione al Sinodo, ma seguiremo da vicino i due Sinodi e ci interrogheremo contemporaneamente, ricevendo stimoli su cosa significa per noi non solo rispondere ai problemi – che pure ci sono urgenti riguardo alla pastorale dei sacramenti -, ma anche che tipo di famiglia possiamo proporre oggi qui su questo territorio che ha una base buona, ma ha bisogno di riscoprire oggi in questo nuovo contesto la bellezza, la dignità e la profondità di un’esperienza di famiglia vissuta come vocazione”.
 
E per quanto riguarda il lavoro?
“Per il lavoro l’allarme è scattato anche qui: anch’io ne faccio esperienza ogni giorno perché tanti vengono a chiedere o anche a confidarsi. È necessaria la vicinanza, la solidarietà, il coraggio di scelte e di letture sociali più profonde, per scoprire le possibilità e metterle in circolo e di scelte politiche più coraggiose. Di fronte al problema del lavoro, Castellamare è l’emblema più forte delle difficoltà, ma anche la Penisola Sorrentina e l’entroterra, la periferia, stanno vivendo le loro difficoltà. Ci interrogheremo come Chiesa come stare vicino: già stiamo cercando di farlo, non solo con la assistenza, ma anche con la promozione. Dunque, come suscitare una nuova coscienza che guardi veramente al bene comune e metta al servizio di tutti le potenzialità enormi di persone e di gruppi che ci sono, che potrebbero fare tanto di più, ma devono ritrovare la fiducia? Quindi, il problema c’è. Anche qui: quale Vangelo del lavoro annunceremo?”.
 
Ci sono, infine, gli immigrati…
“Qui la nostra Chiesa sia per coloro che partono sia per coloro che arrivano di passaggio o in modo stanziale è chiamata in causa. C’è una tradizione sia nella parte stabiese sia nella parte sorrentina di accoglienza, di contatto, di vicinanza, ma una pastorale organica e soprattutto che coinvolga tutti in modo integrato è da costruire. Sono sfide che accogliamo come grandi scossoni da parte del Papa. È una provocazione che ci invita ad aprire gli occhi per scorgere queste periferie esistenziali, che abbiamo a casa nostra e per le quali non basta nemmeno la risposta immediata che tanti, mi auguro tutti, cercano di dare; c’è bisogno di molto di più: di un ascolto comune dello spirito, di scelte condivise, anche di revisione di impostazioni pastorali che ci dovranno non solo portare in prima linea, ma mettere in condizioni di dare un contributo operativo concreto”.

 

di Gigliola ALFARO