È la prospettiva di una Chiesa profondamente in cammino quella che emerge dal terzo incontro della Pastorale dell’Inclusione, tenutosi giovedì 8 maggio a Vico Equense nella sede dell’ex seminario con padre Pino Piva, sacerdote gesuita esperto di formazione degli operatori pastorali. Da anni padre Piva è impegnato nel contatto con i Vescovi e con le chiese locali sparse in Italia per vedere come la frontiera dell’inclusione delle persone LGBT+ viene vissuta all’interno delle comunità cristiane.
Dopo l’approfondimento scientifico con don Alfonso De Gregorio e quello sull’aspetto biblico con il prof. Luigi Santopaolo, padre Pino Piva approfondisce l’inclusione dal punto di vista pastorale: cosa dice la Chiesa e come si pone nei confronti delle persone LGBT+? E in particolare di quelle omoaffettive, sulle quali la riflessione è più avanzata rispetto ad altre realtà?
Partendo da quanto riportato nei documenti ufficiali della Chiesa, padre Piva ha presentato alcune tappe fondamentali del cammino che quest’ultima ha compiuto nel corso del tempo: dal riconoscimento alla comprensione della responsabilità condivisa del camminare insieme, alla quale la dimensione pastorale ci chiama. È un cammino che parte dal basso, tra tante sollecitazioni, ma non riguarda solo l’identità personale di alcuni individui, bensì il cammino della Chiesa tutta su una tematica così sensibile. Perché è sensibile? Perché coinvolge il vissuto delle persone, perché tocca aspetti profondi dell’esistenza umana: la propria identità, la socialità, l’affettività, la vita familiare, le paure e i sogni e tanto altro ancora. È la valorizzazione dell’esperienza umana e il riconoscimento della presenza e dell’agire di Dio in essa.
Sono importanti e urgenti le domande che accompagnano il cammino della chiesa sull’inclusione delle persone LGBT+.
Siamo in grado di accogliere queste persone garantendo uno spazio di fraternità nelle nostre comunità? O mandiamo a queste persone il messaggio “è meglio che ti nascondi, è meglio che non dici chi sei, come vivi, perché altrimenti ci crei problemi”. Quale messaggio diamo?
Auspicando una chiesa che sia davvero casa accogliente, ci si chiede: le nostre comunità sono in grado di esserlo? C’è un luogo di riflessione, dialogo, accoglienza e riconoscimento? Possono davvero sentirsi a casa?
La questione interpella tutti in una seria riflessione, anche dal punto di vista educativo e formativo: queste persone hanno un vissuto, una realtà personale che non può essere considerata soltanto problematica.
Oggi molte cose sono cambiate rispetto al passato: dati scientifici, psicologici, la riscoperta della lettura biblica, tutti elementi che aiutano a interrogarsi su come camminare insieme, stare accanto, nella consapevolezza di un percorso che la Chiesa sta facendo.
E il cammino richiede tappe di una comunità che però è ampia. Richiede documenti forti nella consapevolezza che li anima. Noi tutti siamo all’interno di questo cammino ed è bello per noi sentirsi tali e lavorare per dare il nostro contributo come chiesa locale. Perché è una responsabilità condivisa e insieme una luce che apre gli occhi e il cuore e fa scoprire strade che prima non si conoscevano, l’amore.
a cura di Alessandro
Pastorale dell’Inclusione
