Ricordando don Pasquale Ercolano

Lettera del Vescovo Arturo in ricordo di don Pasquale Ercolano

Don Pasquale Ercolano (1939-2021) è partito il mese scorso in silenzio come tanti, in questo anno terribile, privati, essi e i loro parenti, dei riti che rendono umano il morire: sprofondano in un buco nero all’improvviso senza un saluto, una lacrima, la tessitura, difficile certo, ma redentiva, della memoria. In tempo di guerra non c’è spazio, forse, per la compassione, il timore per la propria incolumità abbassa i toni del dolore, rischia di centrarci su noi stessi facendoci perdere l’ordito delle relazioni che è lo spazio regale del vivere: “Essere derubati della vita sembrava quasi accettabile, alla fine, ma il furto della morte è un’altra storia… finire alla rinfusa, mischiati come panni sporchi, come frutta marcia” scrive M. Mazzantini.

Don Pasquale veniva dal mondo semplice ma saldo del mondo contadino, infaticabile, con il corpo forzuto ed il sorriso aperto di chi, da bambino, ha iniziato a lavorare nei campi e, a sera, ha conosciuto il caldo buono delle stalle dove mungere le mucche solenni abitua al dono caldo del latte che non è tenuto per sé. Era stato seminarista a Sorrento, poi a Salerno, uno dei trecento che, come in un alveare, si allenavano a produrre miele nelle piccole arnie delle parrocchie della Campania senza battere ciglio, senza protestare. Eppure in quegli anni di Pasquale a Salerno (1959-66) la Chiesa entrava nella nube luminosa del Concilio Vaticano II e i seminaristi, entrati in Seminario con il vecchio mondo dove con la talare si giocava anche a calcio, ne uscivano con coordinate del tutto nuove ed antiche dove nulla sembrava più al suo posto millenario.

Per un caso fui presente alla sua Ordinazione Presbiterale nella Basilica di Meta il 3 settembre 1966, era in coppia con don Gennaro Starita, e mi colpì che gli invitati dei rispettivi ordinandi erano ben divisi per file come allora si faceva per i matrimoni. Presiedeva l’Ordinazione S. E. Mons. Carlo Serena, Arcivescovo di Sorrento, lento nei movimenti che trascinava i suoi ottantaquattro anni e molti acciacchi, i due giovani, nelle sue mani guantate, e a confronto con la canizie appesantita ulteriormente dall’alta mitria gemmata, sembravano due ragazzi chiamati a fare compagnia ad un nonno troppo stanco e impossibilitato a stare dietro ai loro giochi. Lo sguardo materno della Vergine del Lauro preparava per i due preti appena nati e per l’Arcivescovo che, ottantenne, avevamo visto partire per il Concilio, un dono insperato: l’anno dopo, nel 1967, il 4 maggio, entrava in Diocesi, come Vescovo Coadiutore con diritto di successione, Mons. Raffaele Pellecchia proveniente dal settennato di Alife.

Mons. Pellecchia trovò Don Pasquale Parroco di Trasaelle, una delle più piccole parrocchie, e lo trasferì Parroco della Cattedrale di Sorrento prima e poi, dopo qualche anno, Economo e Rettore del Seminario di Sorrento. Fu una mossa inaspettata e in stile con la fiducia che il Vescovo Raffaele nutriva per i giovani preti. Ho vissuto da seminarista del Liceo quegli anni colmi di speranza e di stupore dinnanzi alle scelte coraggiose di Mons. Pellecchia. Don Pasquale succedeva come Parroco della Cattedrale a Don Pietro Maresca, originario di Piano di Sorrento, che, dopo una breve esperienza a Seiano, era stato portato a Sorrento da Mons. Serena.

Che cosa era la Parrocchia della Cattedrale di Sorrento prima di Don Pasquale? Un feudo del Capitolo Cattedrale che gestiva tutte le cose importanti lasciando al parroco pochissimo spazio senza neppure poter celebrare all’altare maggiore. Don Pasquale, forte della sua giovinezza e della fiducia di Mons. Pellecchia, iniziò una vera e propria opera di fondazione della Parrocchia acquistando spazi pastorali nei locali dell’appena terminato “Centro Diocesano Mons. Serena” e ambiti liturgici in Cattedrale sotto lo sguardo indispettito dei canonici mitrati. Iniziò una collaborazione con le Chiese dei religiosi e delle Confraternite che, allora, avevano vissuti di parrocchie autonome non senza difficoltà. Erano gli anni del post-Concilio con la speranza che aveva cittadinanza nel cuore di tutti e del boom economico che faceva guardare il futuro con ottimismo. Il Seminario, fino ad allora guidato da Mons. Carlo Persico, Rettore di Sant’Antonino, fu il quartiere generale di Don Pasquale che con Don Peppino Aiello, Don Giovanni Coppola, don Fabio Savarese, don Franco Maresca ed altri giovani preti, a refettorio, portavano idee e allegria, iniziative per i giovani che si aggregavano in gruppi spontanei, discussioni interminabili sui temi scottanti che incendiavano il cuore e la pelle. Riconosco, a distanza di più di cinquant’anni, in quel cenacolo di idee e di giovani preti sdoganati dal Vescovo Raffaele, una stagione feconda della nostra storia ecclesiale che, come in una carboneria, in margine alla riforma liturgica, disegnavano nuovi scenari di Chiesa in mezzo alla gente.

Don Pasquale non era il più accessoriato da un punto di vista teologico, ma certamente il più coraggioso nel mettere a disposizione tempo ed energie, soldi e mano d’opera in prima persona, possibilità di dialogo e di incontro a trecentosessanta gradi. Lo ricordo in tuta mentre demolisce una parete e la ricostruisce in una notte per i bisogni del Liceo Scientifico che aumentava di alunni, impegnato in mille partite e tornei nel campo del Seminario, dal tiro potente e preciso, esuberante nelle dispute calcistiche come in area liturgica, lo ricordo passare da una riunione di condominio a un musical, da una disputa pastorale a una celebrazione, da una novena al carico dell’ennesimo camion di stracci dopo una raccolta, sempre disponibile e sorridente, mai stanco. In Seminario a Salerno lo battezzarono “Cavallo” per la sua indomita forza, e questo nome lo ha accompagnato in tutti gli anni di ministero (56). Nei primi anni di Parroco a Sorrento, quando aveva appena aggiustato il campo di calcio e gli spalti (siamo nei primi anni 70) la morte tragica di Luigi Stinca, un adolescente, proprio nella cittadella pastorale-sportiva della Cattedrale, mise a dura prova la tempra forte di don Pasquale. Lo ricordo in lacrime durante la celebrazione esequiale in Cattedrale e, dopo, in un momento di confidenza con me, proprio ai margini di quel campo che gli appariva del tutto inutile: imparai troppo presto che le feste della vita si tramutano spesso in tragedia. Lo stile pastorale di Pasquale sarebbe piaciuto a Papa Francesco, incontrare l’uomo, ogni uomo, tutto l’uomo senza i rigidi presupposti di “valori non negoziabili”.

Da prete mi ha guardato con simpatia, incoraggiato, ci siamo voluti bene pur coscienti che navigavamo su rotte diverse, non nascondo che spesso in Consiglio Presbiterale ci siamo scontrati, ma io conservavo l’affetto per il Rettore e lui lo stupore per come fosse stato possibile che dal suo tronco massiccio fosse spuntato un virgulto così diverso. Lo stupore, con l’Ordinazione Episcopale, si fece più dolce, quasi ossequioso, pur conservando l’ironia per certi vissuti ecclesiali. Mi raccomandava di essere buono con i preti, sapeva bene che era una raccomandazione che raccoglievo con attenzione. Don Pasquale non sapeva cosa fosse l’orgoglio, era attento ai “moniti vani” di Don Onorio, alle proteste di Mons. Antonino Davide e degli altri Canonici, alle esigenze dei giovani seminaristi che da Salerno Mons. Pellecchia fece rientrare in Diocesi perché frequentassero l’Istituto “Sant’Anna” e che vennero ad affollare il nostro Seminario (fu il primo tentativo di Seminario Maggiore in Diocesi!), alla tristezza di un adolescente innamorato, alle mille richieste dei poveri nascosti in una Sorrento che doveva conservare la sua foto da cartolina.

Don Pasquale riportò la Cattedrale ad uno splendore che, forse, non aveva mai conosciuto prima, fu l’ideatore dei portali intarsiati, delle tavole della Via Crucis, del nuovo tetto di copertura, di mille opere in Parrocchia e in Seminario. Non fu un prete da poltrona, non lo vedemmo mai seduto, ma sempre in azione e con la sua dote principale: la generosità. Il suo sogno sulla Parrocchia della Cattedrale non si realizzò pienamente, la sua apertura verso Chiese e Aggregazioni non fu ripagata con la stessa moneta, la sua provocazione di collaborazione, pur nella diversità, ricevette più di un rifiuto, ma non conservò rancore per nessuno.

Quando si accorse che altri avrebbero potuto guidare la Parrocchia della Cattedrale e Sorrento, non aspettò che si compissero gli anni canonici, più volte fece pressione su Mons. Felice Cece perché accettasse le sue premature dimissioni e, dopo molte insistenze, fu accontentato. Come Cincinnato tornò al suo campo, a Trasaelle, parrocchia del primo amore, a Sant’Agnello per cui mantenne un affetto inossidabile pur nelle polemiche delle varie tornate elettorali. Grazie, Don Pasquale, anche se sei andato via in silenzio, non intendiamo perdere la tua testimonianza di generosità, di coraggio, di amore all’uomo e alla Chiesa, a Gesù… Forse sei stato troppo Marta e poco Maria? “Ma che importa? Tutto è grazia!”. “Forse ho amato più voi che Dio… Ma Lui saprà come mettere tutto sul Suo conto” scrive don Milani sul letto di morte ai suoi ragazzi che lo assistono, quelle parole sarebbero state bene anche sulle tue labbra a sigillo di una vita spesa per gli altri, ma nessuno ha potuto raccoglierle nell’ambiente asettico e vuoto, superprotetto (inumano?) del reparto Covid. Ti ricordiamo, nonostante tutto, sorridente anche se il 14 dicembre scorso, ultima festa di Sant’Agnello, hai raggiunto per telefono don Francesco con le tue lacrime. Sei stato troppo tempo fermo come un cavallo non più adatto alle corse e che muore di nostalgia nelle stalle, corri ora, trotta, galoppa e intercedi per noi colpevoli di stare troppo fermi, di non osare, “stanchi di non camminare”.

                                                                                                       + Arturo Aiello
Vescovo di Avellino