Lunedì 20 marzo, nella Parrocchia di San Giovanni Battista, lectio guidata da Suor Anna Maria Vitagliani, sul Vangelo della Domenica in Laetare di questa Quaresima.
Questa Parola, come ci ha detto don Salvatore Iaccarino nell’introdurre la lectio, ci accompagnerà in questa settimana che ci avvicina alla Pasqua, sarà occasione per pensare, meditare, pregare, dopo che ci è stata spezzata in modo così chiaro, scorrevole, appassionato, penetrante e soprattutto dopo aver avuto il dono di rigustare un racconto che, anche se già sentito, ha sempre qualcosa di nuovo da dirci.
Suor Anna Maria ha contestualizzato il miracolo di guarigione, situandolo nel tempo e nello spazio:
siamo nella Festa delle Capanne o di Sukkot, fine settembre, inizio ottobre, festa in cui il popolo ebreo ricorda il viaggio nel deserto, durante il tempo dell’Esodo.
Anche Gesù si reca, per questa festa, a Gerusalemme, e lì sono ambientati i cap. 7,8,9 e 10 di Giovanni.
Già nel cap. 8 e 9 Gesù si è raccontato come acqua e come luce, due simboli importanti per la festa delle Capanne: l’acqua sgorgata dalla roccia per opera di Mosè e la luce della colonna di fuoco con cui il Signore guidava il suo popolo durante il cammino.
Il popolo ebreo aveva fatto esperienza del suo Dio che l’aveva sostenuto mediante l’acqua e la luce; dunque, non solo l’esperienza del Dio “Padre” che tutti amiamo e che ci è così familiare, ma un’immagine più ampia di Dio, come acqua, luce, vita, e, in altri momenti anche pastore, porta e tanto altro.
Quando la nostra esperienza di Dio diventa più profonda, impariamo a raccontare Dio anche con altre parole e attraverso altre immagini che ce ne fanno cogliere l’essenza, a volte, in modo più immediato.
In questo racconto la prima immagine che ci colpisce è quella di Gesù che “passando” vede “un uomo cieco dalla nascita” … Gesù non passa mai oltre, non vede senza guardare, non ci lascia nelle nostre povertà, emarginazioni, solitudini… in noi vede delle persone da amare, non colpevoli per le proprie ferite, bisognose di quella guarigione in cui si può manifestare la gloria di Dio.
Poi, Lui che è sempre oltre e che è sempre altro da noi, fa una cosa inaspettata per operare la guarigione, usa la saliva, disinfettante per le ferite, ma che ci rimanda al bacio – Dio bacia le nostre ferite – e si serve del fango che ci ricorda la terra da cui siamo stati creati – Dio crea e ricrea, guarisce e fa rinascere – e quell’uomo, cieco, solo, emarginato, che non conosce la bellezza dei colori della primavera, che non ha mai visto i bagliori di un’alba nascente, vince le tenebre delle sue paure, si rialza, e va alla piscina di Siloe, come Gesù gli ha chiesto, e torna guarito.
Il miracolo è avvenuto, il racconto potrebbe fermarsi qui, ma Giovanni va oltre e ci narra una sorta di processo in cui ci sono vari personaggi: Gesù- l’accusato, i farisei- gli accusatori, i testimoni- genitori, vicini, e al centro lui, il cieco guarito, che, in una progressiva consapevolezza, accoglie la luce, e rende testimonianza: Credo, Signore!
E’ un processo che alla fine non è altro se non il racconto della fatica a lasciarci interpellare dalla novità di Gesù, novità che ci costringe a rivedere il nostro modo di guardare noi stessi e gli altri, e il nostro modo di poter essere luce nella vita familiare e parrocchiale; è un processo interiore che ci fa prendere atto di come cambiamo quando il Signore ci guarda, ci tocca e ci guarisce.
Tanto da pensare, meditare, pregare; tanto di noi, della nostra vita e della nostra storia in questo che non è un semplice racconto di guarigione, ma che ci costringe a guardare al passato, alle nostre origini, ai nostri esodi, alle nostre ferite… al bisogno che è in ciascuno di noi, bisogno di acqua, di luce… a quando, nella nostra vita, abbiamo fatto esperienza di quel Dio Acqua che disseta le nostre arsure, di quel Dio Luce che, attraverso le nostre ferite, ci entra nell’anima…
Gesù è Luce, ma per trovarla quella Luce, bisogna saperla cercare… il cieco accoglie la luce, anche se non l’ha mai vista… e noi? sappiamo cercarla? sappiamo riconoscerla?
E il travaglio dell’anima, quando è autentico, non può non tramutarsi in preghiera: che il Signore Gesù ci doni di aprire gli occhi, di lavare via il fango delle nostre storie, perché le nostre ferite diventino feritoie da cui entra la luce
“C’è una crepa in ogni cosa. Ed è lì che entra la luce” Leonard Cohen
Era questa la citazione introduttiva della lectio, ma forse puo’ essere il punto d’arrivo nel cammino di conversione che la Quaresima ci richiede, per “vedere”, con gli occhi dell’anima, la Luce dell’alba del terzo giorno.
Con tutto questo nel cuore, e con un “grazie” speciale a suor Anna Maria e a chi sta rendendo possibile questo cammino insieme che sembrava solo un sogno, ci diamo appuntamento al prossimo attesissimo incontro di Unità Pastorale, il 18 aprile nella Parrocchia di San Leone, per cercare di dare qualche risposta a “Le grandi domande dei bambini”.