Vico Equense. Sant’Antonio, il fuoco e le pandemie

Sant’Antonio di Padova, frate francescano vissuto nel XIII secolo, è solo un omonimo di Sant’Antonio Abate, vissuto in Egitto nel IV secolo e considerato patrono degli animali, dei focolari domestici e, in senso traslato, dell’Herpes Zoster, il Fuoco di Sant’Antonio, malattia che attacca i nervi, molto dolorosa ed invalidante.

Tuttavia nella borgata di Sant’Andrea di Vico Equense anche il Santo di Padova è associato al fuoco per un episodio accaduto nel terribile anno del 1918 che segnò la fine della Grande Guerra e l’inizio della Spagnola, morbo che fece strage in tutto il mondo. La Spagnola fu una pandemia influenzale di natura virale ed insolitamente mortale che fra il gennaio 1918 ed il dicembre 1920 uccise circa cento milioni di persone. All’influenza fu dato il nome di “Spagnola” poiché la sua esistenza fu riportata dapprima solo dai giornali spagnoli: la Spagna non era coinvolta nella prima guerra mondiale e la sua stampa non era soggetta alla censura di guerra, mentre nei paesi belligeranti la rapida diffusione della malattia fu nascosta dai mezzi di informazione.

Anche il Comune di Vico Equense ebbe le sue vittime, soprattutto nella zona collinare; dalla consultazione del libro dei Defunti della Parrocchia di San Giovanni Battista di Massaquano, che abbracciava ed abbraccia gran parte del territorio della borgata di Sant’Andrea, si evince che, su una media costante di venti morti all’anno, nel 1918 sono annotati ben cinquanta defunti, di cui moltissimi bambini e adolescenti. Nel terrore generale e nell’impotenza della medicina, la popolazione si rivolse ai Santi e i fedeli di Sant’Andrea al miracoloso Santo di Padova, da sempre considerato compatrono del paese con l’Apostolo che ha dato nome al luogo e la Madonna del Carmine.

A Sant’Antonio di Padova dal 1645 era dedicato uno dei due edifici di culto della borgata, sorto per volontà del nobiluomo Pietro Parascandolo che si era fatto ritrarre con il figlio Bartolomeo da un ignoto pittore napoletano ai piedi del Santo, nella grande tela che si trova al suo interno; il fondatore aveva anche dotato la sua cappella gentilizia di una statua lignea di Sant’Antonio che riscuoteva molta devozione, soprattutto in prossimità della festa annuale. In quell’anno 1918 di guerra e pandemia, moltissimi furono i ceri accesi intorno alla statua nel mese di giugno e molti lasciati incautamente accesi anche dopo la chiusura della cappella per cui la fiamma di uno di essi, avvicinato troppo alla statua, innescò un incendio che in breve tempo ridusse in cenere il legno del venerando simulacro, vecchio di quasi trecento anni. Fortunatamente il fatto accadde dopo le celebrazioni del mattino per cui l’allarme dato da alcuni passanti, che avevano notato del fumo uscire da sotto la porta, salvò l’edificio dalla completa distruzione in cui sarebbero rimasti inceneriti anche l’artistica statua della Madonna del Carmine e la grande tela seicentesca raffigurante Sant’Antonio in gloria con la Santissima Trinità ed i Fondatori. I vecchi del paese raccontavano di una catena umana effettuata per trasportare i secchi d’acqua dalle cisterne delle abitazioni vicine alla cappella con cui si riuscì a domare l’incendio ed evitare il peggio.

In seguito si pensò ad acquistare una nuova statua del Santo ma l’esiguità della popolazione, circa trecento abitanti e la povertà diffusa, alimentata da una guerra appena terminata, non consentì una grande spesa per cui ci si dovette accontentare di una statua in cartapesta in cui i tratti del viso di Sant’Antonio sono marcatamente tristi mentre il Bambino è raffigurato dormiente appoggiato alla sua spalla sinistra. Autore della statua, con grandissima probabilità, fu il maestro cartapestaio leccese Raffaele Caretta (1871-1950) che nel 1911 aveva realizzato e firmato la statua in cartapesta e terracotta di Sant’Andrea Apostolo per la cappella omonima sita di fronte a quella di Sant’Antonio nella piazzetta del paese. L’arrivo a Sant’Andrea della nuova statua nel 1920, per i motivi sopra esposti, non potè essere degnamente festeggiato per cui si rimandò la festa appena si fossero messi insieme i soldi per celebrarla con la dovuta solennità e ciò   fu possibile solamente   cinque anni dopo, nel 1925. Fu scelto l’ultimo fine settimana del mese di luglio per non far coincidere i festeggiamenti con quelli della Marina di Aequa, il tredici giugno, quelli del Convento di San Francesco la domenica seguente e quelli della parrocchia di Moiano che venerava Sant’Antonio come compatrono. Per due sere consecutive, sabato 25 e domenica 26 luglio la nuova statua fu finalmente recata in processione per tutte le stradine del paese addobbate a festa.

Da allora, periodicamente, la statua esce insieme a quella della Madonna del Carmine, la cui festa ricorre il 16 luglio, riservando il 13 giugno per le celebrazioni religiose e la benedizione e distribuzione del pane di S. Antonio. Le previste celebrazioni nel 2020 per il primo centenario dell’arrivo della statua furono annullate per un curioso ripresentarsi delle stesse circostanze del 1918 con una nuova pandemia che per due anni ha bloccato le processioni; quest’anno, approfittando anche della coincidenza del 16 luglio con la domenica, le due statue saranno riportate in processione, ricordando il passato con il suo bagaglio di tristi ricordi ma soprattutto per  la devozione tenace di un popolo che non si arrende di fonte a fuoco e pandemie.

Don Pasquale Vanacore, Ufficio Beni Culturali