Vita in monastero in tempo di Coronavirus

Monache Domenica Monastero SS. Rosario Lettere

Da mesi i telegiornali non fanno che parlare di coronavirus, di questa terribile prova che il mondo sta vivendo, di questa pandemia che si è diffusa in breve tempo in tutto il mondo colpendo milioni di persone causandone la morte di decine di migliaia.

Abbiamo seguito il succedersi delle notizie sin dall’inizio quando la malattia riguardava la Cina, un paese lontano e come tali consideravamo le notizie anche se pregavamo per quel Paese. Poi il problema si è affacciato in Italia e in breve è diventato prima motivo di apprensione poi di vera e propria preoccupazione per il Paese. Le misure restrittive messe in atto dal governo e che hanno riguardato prima solo le città più esposte poi tutta l’Italia, ci hanno gradualmente coinvolte come comunità. Dapprima con l’obbligo di celebrare l’Eucaristia a porte chiuse per evitare gli assembramenti, ed è in questo modo che abbiamo celebrato per una settimana. Poi ci è stato comunicato che anche questo non era possibile, che i sacerdoti non sarebbero più venuti e quindi non avremmo avuto l’Eucaristia quotidiana. Le notizie che ci arrivavano dalle consorelle di altri monasteri e, che vivono nelle città maggiormente colpite, contagiate e costrette a vivere ancora più isolate ci hanno convinte delle necessità di questo provvedimento e abbiamo più volte ringraziato in cuor nostro il nostro Arcivescovo per aver preso una decisione certamente non facile.

La prima domenica senza la celebrazione eucaristica ci ha lasciato una sensazione di vuoto difficile da descrivere. Ci siamo sentite vicine ai Pastori che celebravano l’Eucaristia nelle chiese vuote davanti a un popolo invisibile e ancor più a tutti i fratelli e sorelle delle terre di missione che hanno la gioia di poter celebrare una volta all’anno, come ci raccontava un sacerdote dell’Amazzonia.

Il nostro paese osservato dal Belvedere del Monastero sembrava immobile, sospeso, stranamente silenzioso. Ci siamo immedesimate nelle persone costrette a vivere in appartamenti forse piccoli, dove ci sono bambini o anziani con le loro esigenze. Noi abbiamo scelto, perché siamo state scelte, di vivere tutta la vita in uno spazio limitato anche se può sembrare relativamente grande. Così abbiamo cominciato a parlare, con qualcuno che ci chiamava al telefono, della clausura, del suo significato e anche degli aspetti positivi del loro stare chiusi. Abbiamo capito sin dai primi giorni della necessità, del bisogno che le persone avevano di pregare e di conservare a questo scopo un contatto con noi monache che nella Chiesa abbiamo la missione di pregare, di portare a Gesù le ansie e le aspettative del mondo. Così abbiamo iniziato quasi per caso a tenerci in contatto con chi lo desiderasse recitando il Rosario con una diretta facebook alla quale si collegano ogni sera decine di persone. Poco più di trenta minuti per pregare in questo difficile momento per le famiglie, per l’Italia per il mondo intero.

Per le notizie che abbiamo continuato a seguire e che ormai vedono allargarsi il contagio e contare centinaia di morti ogni giorno solo in Italia, è stato come se le finestre del nostro Monastero fossero diventare improvvisamente grandi tanto da far entrare il mondo con tutta la sua sofferenza. Non dimenticheremo facilmente le immagini trasmesse dalla televisione di decine di bare allineate in Chiese vuote, agli uomini e alle donne vinti dalla malattia dopo una sofferenza vissuta spesso nella solitudine; i medici, gli infermieri che si sono dedicati ad alleviare le sofferenze di tanti fratelli e sorelle e spesso si sono anch’essi ammalati e sono morti. Come pure i tanti sacerdoti che sono morti per stare accanto a chi in quel momento stava soffrendo. La testimonianza di una persona guarita ci ha colpito in particolare. Diceva: Dobbiamo abituarci ad avere dimestichezza con la morte, come qualcosa di non finito. La morte lascia le cose incomplete, i nostri progetti, i nostri sogni.

Tutto questo vissuto durante la quaresima ha accentuato di più la sofferenza. E particolarmente difficile è stata la mancanza dell’Eucaristia durante la Settimana Santa a cominciare dalla Domenica delle Palme in cui le restrizioni e il silenzio ci sono sembrati particolarmente duri. La Parola di Dio ci ha aiutato ad andare avanti. È poi arrivato Sabato Santo giorno di grade silenzio, ma la notte con la liturgia delle Ore abbiamo cantato il nostro Alleluia e la mattina di Pasqua “Il Signore è risorto”.

Sì il Signore è veramente risorto e questa verità ha gettato una luce nuova anche nella clausura del nostro monastero donandoci nuova energia. A completare la gioia è stata la telefonata con la quale il nostro Arcivescovo ci comunicava che sarebbe venuto nella nostra comunità per celebrare l’Eucaristia. La nostra Chiesa, rimasta sempre aperta, era adornata a festa per celebrare la Pasqua, ma senza celebrazione dell’Eucaristia era vuota e fredda, si è riscaldata con la venuta del nostro Pastore che con la sua presenza con la celebrazione e con le sue parole ci ha riscaldato il cuore. Sì, ora possiamo dire che abbiamo celebrato la Pasqua in comunione con tutta la Chiesa dobbiamo solo continuare a vivere la nostra Pasqua.