Omelia Messa Crismale 2024

27-03-2024

OMELIA DELLA MESSA CRISMALE
CATTEDRALE DI SORRENTO
MERCOLEDI SANTO 2024

         Cari amici,

siamo ricondotti come ogni anno nella piccola sinagoga di Nàzaret, dove Gesù è radunato insieme ai suoi paesani per santificare il giorno di sabato. La sua fama si era già diffusa in tutta la regione, perché “insegnava nelle loro sinagoghe” (Lc 4, 15). Ora è a casa, tra i suoi. Tutti, tra curiosità e incertezza, si aspettano qualche gesto prodigioso a conferma dei suoi poteri straordinari. Quanto facilmente ancora oggi molti si lasciano condizionare dai segni esteriori, illudendosi che questi facciano crescere la fede nel Popolo di Dio. Anche noi a volte potremmo essere tentati di mostrare la forza che la Chiesa conserva, nonostante le sue numerose ferite. In un tempo in cui dobbiamo riconoscere di non occupare più un posto centrale e determinante nella storia della nostra gente, facciamo tanta fatica ad accettare di essere un “piccolo gregge”. Il fascino del potere continua a sedurci, tanto da voler sottilmente tentare a tutti i costi di riprendere una posizione di predominio. Ma Gesù, allora come oggi, delude queste attese e ci mostra la forza debole della profezia.

Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia” (Lc 4, 17). Ecco la risposta del Maestro. Egli accoglie, nel libro delle Sante Scritture, il dono che gli viene dal Padre. È la missione che lo accompagnerà per tutta la vita, fino alla croce. Non solo dovrà ispirarsi alla dottrina del profeta e incarnarne lo stile umile, di vicinanza e di condivisione con i poveri. Sarà lui il profeta per eccellenza, in cui si compiranno le attese e le speranze di generazioni di credenti, sottoposti al giogo della schiavitù e incapaci di liberarsi da soli. Quanto Isaia annuncia riguarda la sua vita. È venuto per questo: è stato inviato da Dio per liberare, per guarire, per restituire al tempo la sua pienezza. Come ogni profeta non sarà ascoltato e accolto da tutti, sperimenterà l’ostinazione e il rifiuto, la persecuzione fino all’uccisione. Ma dalla sua morte nascerà un popolo di credenti, segno sorprendente e fecondo della fedeltà di Dio Padre. In tal modo la novità del suo Spirito continua a suscitare profeti: “Oggi si è compiuta questa parola” (Lc 4, 21).

Carissimi fratelli Presbiteri, mi rivolgo innanzitutto a Voi nel giorno in cui rinnoviamo le promesse della nostra ordinazione. Lasciamoci interpellare dal Signore, che ci ha chiamati a guidare la sua Chiesa non come coloro che comandano, ma come colui “che è venuto per servire e dare la vita”. Riscopriamo l’urgenza e il coraggio della profezia. Gesù ci chiede di essere come Lui, seguendolo con fiducia e imparando a fare tutto quanto il Padre ci comanda. Non ci viene tolta la libertà. Al contrario, è proprio nell’amore più profondo che possiamo sperimentare la potenza dello Spirito: non più legati a noi stessi e preoccupati “di che mangeremo, di che berremo, di che ci vestiremo”. Lo stile del profeta è già annuncio di vita nuova, testimonianza di un mondo altro, rivelazione della gioia che tutti cerchiamo. Ricordiamo a noi stessi che al centro delle nostre giornate, della nostra azione pastorale e di tutto ciò che facciamo, non ci siamo noi stessi con le nostre piccole e a volte meschine aspirazioni. C’è Lui! Il Signore! Colui che ci ha guardati, amati, chiamati, uniti a sé per sempre. Ritroviamo la gioia vera nell’essere servi, solo e sempre servi. Liberamente gli abbiamo risposto e donato tutto di noi. Perché volercelo riprendere?

C’è un aspetto particolare che mi preme sottolineare in questa tappa del nostro cammino ecclesiale e che chiama in causa noi pastori, prima e più di tutti gli altri. La riforma della Chiesa, che avvertiamo tutti come risposta necessaria e indilazionabile alle numerose sfide del tempo che viviamo, non avverrà senza il nostro contributo. Non siamo gli unici né quelli che da soli possono scegliere e orientare. Porre mano al ripensamento di strutture, programmi, proposte pastorali è compito di tutto il Popolo di Dio: il Sinodo della Chiesa universale e il cammino sinodale delle Chiese che sono in Italia ce lo stanno mostrando concretamente. Nessuno si arroghi il diritto di sminuirne il senso e la portata. Non si dica mai più e neppure si pensi che si tratta di mode passeggere, legate a questo papa o al tale vescovo. Lo ribadiamo: la vera profezia nasce dall’unità e cresce nella comunione. Coltiviamo dunque le relazioni a tutti i livelli, perché il collegio presbiterale in cui siamo stati inseriti diventi, insieme al collegio dei diaconi che sta rinascendo, sempre più una famiglia. Nella misura in cui impariamo a volerci bene come fratelli, senza primeggiare, superando invidie e gelosie, gareggiando nello stimarci a vicenda, saremo pronti a camminare insieme con tutto il Popolo a noi affidato, sentendoci parte viva di esso e non corpo a parte. Non siamo stati costituiti mediatori tra Dio e il suo Popolo, ma segno sacramentale della presenza del Crocifisso Risorto. Dobbiamo rimandare a Lui con la nostra vita e il nostro ministero. Ecco il senso più profondo della profezia che ci permette, da veri amici, di dire a una sola voce con Cristo: “Lo Spirito del Signore è sopra di me” (Lc 4, 18).

Fratelli e Sorelle in Cristo, tra poco benediremo gli Oli Santi, con cui saranno poi unti gli infermi, i catecumeni, tutti i battezzati. Il sacro Crisma, che per antichissima tradizione dà il nome a questa solenne celebrazione che precede la Pasqua, trasforma in profeti tutti i membri del Popolo santo di Dio. Questa è la missione che dobbiamo vivere con consapevolezza e grande senso di responsabilità. Ognuno nel proprio ambito di vita: dalla famiglia al lavoro, dalla scuola alla politica, nel tempo libero e nell’impegno per la pace, la giustizia, la cura del creato. Nessuno può tirarsi indietro: in quanto discepoli di Gesù siamo tutti missionari. Un popolo di profeti sa riconoscere il dono di ciascuno e accoglierlo con gratitudine, aprendosi con rispetto anche a chi ha fatto scelte diverse dalle proprie. Dunque non comunità autocentrate, ma pronte a vivere la profezia nel servizio gratuito e disinteressato, nella ricerca del dialogo che non esclude nessuno, nel superamento di ogni pregiudizio ipocrita e antievangelico.

Cosa chiedere poi a voi, Consacrati e Consacrate, che condividete il nostro cammino con la fatica quotidiana e il peso della crisi vocazionale sempre più insistente? Lo dico con forza: non scoraggiatevi! Mostrate nella vostra debolezza la potenza della croce di Cristo. Lasciatevi condurre dallo Spirito su vie che nemmeno potevate immaginare quando avete risposto alla chiamata. Siate sempre profeti operosi e fedeli, diventate testimoni di speranza e di letizia evangelica. E voi, Sorelle Contemplative che siete il cuore della diocesi, apritevi a tutti quelli che cercano Dio spesso senza nemmeno sapere dove poterlo incontrare.

E i giovani? Ad essi appartiene la profezia in modo speciale, secondo la promessa del profeta Gioele: “diverranno profeti i vostri figli e le vostre figlie” (Gl 3, 1). Lo ribadiamo con umiltà: non è vero che i giovani si sono allontanati dalla Chiesa, siamo noi adulti che spesso per pigrizia o per incapacità non ci siamo più avvicinati a loro. Giovani di questa terra, non privateci dei vostri sogni! Fateceli conoscere, aiutateci a credere con voi che non sono mere illusioni, non arrendetevi dinanzi agli ostacoli che la società e a volte anche le nostre comunità cristiane vi pongono innanzi. Costruiamo insieme la casa comune dove tutti possono abitare con dignità e rispetto reciproco. Il vostro fermo “no” alla guerra e all’indifferenza verso i cambiamenti climatici, la vostra spiccata sensibilità ad accogliere ogni persona nella sua diversità, il bisogno di una spiritualità senza formalismi e gabbie istituzionali: ecco la profezia che ci consentirà di rinnovare la Chiesa perché, profondamente purificata in vista del prossimo Giubileo, sia pronta con gioia a “proclamare l’anno di grazia del Signore” (Lc 4, 19).

AMEN.