Omelia per l’apertura dell’anno liturgico-pastorale 2021-2022

20-11-2021

Cattedrale di Sorrento

 20 novembre 2021

Solennità di Gesù Cristo, Re dell’universo

 Omelia per l’apertura dell’anno liturgico-pastorale 2021-2022

          Cari amici,

il nuovo anno liturgico-pastorale che stiamo per iniziare ci trova già in cammino. Siamo infatti ai primi passi della tappa diocesana del Sinodo dei Vescovi, inaugurata in tutte le Chiese particolari del mondo solo un mese fa. Il cammino sinodale poi proseguirà per le Chiese che sono in Italia nei prossimi anni fino al Giubileo del 2025. Dunque non siamo fermi. Il tempo duro e incerto della pandemia, che pure ha contrassegnato fortemente anche le nostre comunità, ci ha spinti ancor più a interrogarci. Stiamo imparando ad accettare le numerose sfide che ogni giorno richiedono uno sguardo nuovo e fiducioso, attento alle esigenze degli uomini e delle donne con cui condividiamo fatiche e speranze. Eppure non basterà camminare e neppure correre, se lo faremo da soli. Occorre camminare insieme, acquisendo uno stile umile e gioioso, paziente e collaborativo, mai rigido o autoreferenziale. Dobbiamo ritrovare il gusto del farci compagni di strada, sapendo accogliere ogni persona e stando attenti a non escludere nessuno. Diventa pertanto indispensabile metterci in ascolto di tutti, per riconoscere in ogni fratello e in ogni sorella la voce del Signore, che continuamente ci parla e ci indica nuove vie da percorrere.

Il drammatico interrogatorio condotto da Pilato, al centro di questa liturgia eucaristica che chiude un anno ancora segnato dalle conseguenze della pandemia, trova il suo apice in una sorprendente affermazione di Gesù: “Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce” (Gv 18, 37). Sappiamo quanto fosse importante per la fede di Israele l’ascolto. E come non bastasse ripeterne ogni giorno il comando. Era un esercizio di fede, che permetteva di leggere ogni evento alla luce del disegno divino di salvezza, sempre attuale. Ma ora Gesù chiede molto di più. Si tratta infatti di ascoltare lui. In lui e solo in lui è dato l’accesso all’incontro con la Verità, non un’idea o un concetto da conoscere ma una Persona da amare e con la quale riprendere il cammino sulla strada del futuro che neppure conosciamo. Ascoltare Gesù significherà dunque anche per noi disporci all’ascolto sincero e accogliente di chi ci sta accanto, del fratello e della sorella che condividono con noi l’esperienza della fede, del non praticante e di chi si è allontanato dalla comunità, di chi si mostra indifferente o addirittura ostile alla proposta cristiana. Dobbiamo confessarlo: ci spaventa un po’ questa richiesta, ci mette in imbarazzo, ci smuove dalle nostre stanche e ripetitive abitudini. Ma non c’è altra via per appartenere a Cristo! Solo così ascoltiamo la sua voce e diventiamo suoi discepoli.

Pilato interroga Gesù, ma non lo ascolta. È infastidito per quanto sta accadendo e vorrebbe risolvere il problema al più presto. Colui che ha davanti non gli interessa se non per trovare una soluzione rapida, senza lasciarsi toccare dentro. È questo il senso della prima domanda che pone all’imputato: “Sei tu il re dei Giudei?” (Gv 18, 33). Non si accosta all’altro con il desiderio di conoscere, di capire, di accogliere chi ha davanti a sé. E in questo modo si chiude all’ascolto. Gesù glielo fa notare con una controdomanda, secondo il suo stile: “Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?” (Gv 18, 34). Come si può presumere di afferrare il mistero che ogni persona porta con sé se non la si avvicina con rispetto, in piena libertà e senza schemi preconfezionati? Un rischio grande, che possiamo correre tutti ogni qualvolta entriamo in una relazione già con le nostre convinzioni. L’ascolto invece genera meraviglia e stupore, perché l’altro nella sua diversità è sempre un dono che mi arricchisce!

L’imbarazzo e l’incomprensione segnano la reazione di Pilato. Non si è coinvolto e non vuole farsi trascinare in un dialogo che chiami in causa la sua persona. È profondamente chiuso all’ascolto. Perciò, come spesso accade, sposta l’attenzione sugli altri e sui capi d’accusa: “Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?” (Gv 18, 35). Questa mossa apparentemente abile in realtà mostra tutta la sua debolezza. Colui che ha il potere e fa tremare è condizionato dalla paura, mantiene la distanza, non vuole prendere posizione. E Gesù, che continua a offrirgli la possibilità di un’apertura alla novità che ha sotto gli occhi, si spinge oltre nella comunicazione del mistero che rappresenta e che può essere compreso solo entrando in una logica differente dalla propria: “Il mio regno non è di questo mondo… il mio regno non è di quaggiù” (Gv 18, 36). Ascoltare l’altro comporta lo sforzo grande, per nulla scontato, di lasciare da parte il proprio angolo di visuale per entrare in una prospettiva nuova, il più delle volte molto diversa e persino impensabile, quasi inaccettabile. Ma si cresce solo se si cammina insieme verso la Verità!

Ora Pilato vuole chiudere in fretta l’interrogatorio. Essendosi preclusa la via dell’incontro, non gli resta che riportare tutto dentro la sua logica, quella del potere che annulla l’originalità delle persone ed è pronto a emanare un verdetto di morte, con l’esclusione dell’altro. “Dunque tu sei re?” (Gv 18, 37). Quando non ci si vuole far coinvolgere e si teme di restare compromessi in qualcosa che non sappiamo dove ci porterà, diventiamo sbrigativi, cerchiamo subito la conclusione, anche se a scapito dell’autenticità del rapporto. Gesù non ci sta. Continua a insistere nel tentativo di un dialogo aperto, sincero, libero. Addirittura riconosce nelle parole di Pilato, ben al di là delle sue intenzioni, un barlume di quella verità che lui è pronto a rivelare: “Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo, per dare testimonianza alla verità” (Gv 18, 37). Possiamo trovarci come Pilato davanti alla verità e ignorarla, addirittura escluderla e combatterla. Solo l’ascolto umile e fiducioso ci consente di uscire da noi stessi e di accostarci all’altro con il mistero che porta in sé. Attraverso l’esercizio dell’ascolto maturiamo insieme, ci apriamo a orizzonti nuovi, ci inoltriamo in quel cammino che ci rende tutti discepoli dell’unico Maestro: “Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce”!

Carissimi fratelli e sorelle,

il cammino sinodale muove i primi passi in questa forma nuova e coinvolgente fortemente voluta da Papa Francesco. Una vera e propria rivoluzione, che però non stravolge le fondamenta della Chiesa. Anzi consente a tutto il popolo dei battezzati di riscoprire la propria vocazione e di crescere nell’assunzione della responsabilità specifica di ciascuno. Siamo tutti radicati in Cristo e non possiamo delegare solo ad alcuni quanto invece riguarda tutta la comunità ecclesiale. Questo tempo di ascolto che abbiamo davanti ci mette decisamente in stato di missione. Nessuno si lavi le mani come Pilato. Nessuno pensi: ci sono i preti e i loro collaboratori più stretti, la cosa non mi tocca. Riusciremo a far sentire a ogni battezzato la chiamata altissima che viene da Dio e che richiede a ciascuno dei suoi figli di offrire il proprio contributo per l’edificazione della casa comune? Gesù Cristo “ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre” (Ap 1, 6): le parole dell’Apocalisse sono risuonate in questa assemblea liturgica come un forte incoraggiamento ad alzarci in piedi per seguire il Risorto, mettendoci tutti insieme in cammino sulle strade del mondo.

Eccoci dunque a vivere il passaggio da un anno liturgico all’altro con speranza. I problemi non mancano, è vero: le nostre comunità risentono ora più che mai del contesto sociale che ci appesantisce con le sue ambiguità e ci condiziona più di quanto ne siamo consapevoli. Come allora vincere la tentazione subdola della mediocrità, che può generare sfiducia, pessimismo, chiusura a ogni tentativo di novità? Mettiamoci tutti in ascolto, dal più grande al più piccolo. Lasciamoci guidare dallo Spirito, nella certezza che la sua voce ci giunge attraverso quella dei fratelli e delle sorelle che camminano con noi ogni giorno. Impariamo a prendere sul serio quanto hanno da dirci, con le loro parole e i loro silenzi, con i desideri manifesti e le ferite nascoste. È questo il primo indispensabile passo perché la sinodalità diventi lo stile della Chiesa!

Ascoltiamo in modo speciale i giovani, che sono diventati i nuovi poveri nella società e nella Chiesa. Privati del futuro e della speranza, spesso ignari della vocazione che li abilita a grandi cose. Forse, come è stato di recente notato, anche noi comunità cristiane e pastori abbiamo smarrito il loro indirizzo, non sappiamo più dove abitano, ignoriamo il loro linguaggio. Avviciniamoci pertanto al loro mondo e facciamoci aiutare da loro stessi per capirne le esigenze, le attese, i desideri, i sogni.

Giovani che vivete nei nostri territori, tante volte vi passiamo accanto senza nemmeno domandarci chi siete e cosa vi spinge a guardare altrove. Vorremmo metterci in ascolto di ognuno di voi, per essere aiutati da voi a guardare lontano con fiducia. Non abbiate paura di dirci quello che pensate, ciò che non vi piace e non vi convince. Se ci permetterete di entrare nel vostro mondo scopriremo con voi che anche lì lo Spirito ci ha preceduti. Come Pietro in casa di Cornelio, sperimenteremo insieme una nuova Pentecoste, se ubbidiremo alla sua voce che continua a ripeterci con insistenza:

“àlzati, scendi e va’ con loro”! (At 10, 20)

 AMEN!