Custodire ogni vita: l’incontro in streaming con Appella e De Angelis

Il tema scelto quest’anno dai vescovi italiani per celebrare la 44ª giornata nazionale per la vita è tratto dal versetto di Genesi 2,15 “Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse”.

Se facciamo riferimento all’attuale momento di pandemia che stiamo vivendo, aldilà di ogni illusione di onnipotenza e autosufficienza, essa ha messo in luce le numerose fragilità dell’uomo: a livello personale, comunitario e sociale. I vescovi italiani però ci esortano con rinnovata consapevolezza a prendere sempre più coscienza di quello che la pandemia ha messo ancor più in evidenza, che la vita, in tutte le stagioni e in ogni situazione ha bisogno di essere custodita.

Compito dei nostri pastori, come riportano nel messaggio, è certamente quello di farsi vicini, in una maniera o nell’altra, al proprio gregge, consapevoli però che “ciascuno ha bisogno che qualcun altro si prenda cura di lui, che custodisca la sua vita dal male, dal bisogno, dalla solitudine, dalla disperazione”.

L’invito del papa e dei vescovi italiani è rivolto alla cura di ogni situazione in cui è messa in pericolo la vita in tutte le sfaccettature, financo quelle nuove paure influenzate dalla pandemia, per le quali la risposta cristiana silenziosamente sollecita è quella della custodia, e siccome il cristiano è colui che porta quella speranza che Cristo ci dona, bisogna sempre ricordare che come comunità cristiana, quando accogliamo, accompagniamo, sosteniamo, incoraggiamo una persona, ogni problema può essere superato o comunque fronteggiato con coraggio.

L’intervento di Don Vincenzo Appella – professore di Sacra Scrittura nella Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale a Napoli e nell’Istituto Teologico di Basilicata a Potenza – partendo dallo slogan dei vescovi per questa 44° giornata “Custodire la vita”, si aggancia subito a quella che lui descrive come una “piccola perla” che è il versetto di Gn 2,15. Il messaggio più importante è che l’uomo e la donna, per il Signore, hanno una posizione di primato, e nello stesso tempo ricevono una sorta di sovranità delegata sul Creato.

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Il Signore prese l’uomo e lo pose nel giardino dell’Eden da dove tutto ebbe inizio, un giardino custodito e riparato, molto diverso dal deserto che invece rappresenta il luogo della non vita, della non relazione. Dio crea l’uomo dalla terra, lo anima con il suo soffio rendendolo un essere vivente e lo pone nel luogo da lui preparato nell’alleanza (berith) che stabilisce con lui per custodirlo e renderlo capace in questo modo non solo di respirare come tutti gli altri esseri viventi, ma di mettersi in relazione, di amare.  Il messaggio dei vescovi vuole ricordarci come la cura del giardino dell’inizio riguarda anche noi oggi come chiesa e che una dose di tossicità di quel peccato dell’origine che è giunto fino a noi obbligandoci a tenerne conto per imparare a difenderci, cioè quello che oggi possiamo definire “illusione di onnipotenza”, autosufficienza, in cui vogliamo decidere di bastare a noi stessi e pretenderci per noi stessi.

Per i vescovi dunque è decisiva la presa di coscienza di questa situazione e nonostante le difficoltà, essi ci invitano ad attivarci affinché possiamo, una volta per tutte, tradurre questa consapevolezza in azioni concrete e questo a partire da sé stessi, in particolare in questo tempo  di pandemia.

In ciascuno di noi deve tornare a predominare la coerenza e la disciplina che, applicata alla vita concreta, si traduce in capacità di riconoscerla come un dono, un talento che ci è affidato.

Custodire la vita, sebbene ci pone dinanzi al particolare, alle relazioni e gli incontri del nostro vivere quotidiano, non può limitarsi alla nostra vita, alla nostra parrocchia, al nostro gruppo famiglia ecc., ma significa dilatarci a tutto il mondo, non limitarsi alla cura di una singola persona, di una singola famiglia, anche se essa è importante e vale, ma avere una visione olistica. Dunque tutti siamo collegati come dice papa Francesco, e se riflettiamo che  ‘Καθολικός’ (cattolico) significa proprio “secondo il tutto” e non secondo il particolare, o per dirla in altri termini: non secondo il mio piccolo orticello.  Ecco che non possiamo arroccarci nel nostro ‘particolare’, e a ragione, il santo padre ci ricorda giustamente che “siamo tutti sulla stessa barca, dove il male di uno va a danno di tutti. Ci siamo ricordati che nessuno si salva da solo che ci si può salvare unicamente insieme”.

Il posto speciale che l’uomo occupa nella creazione è dovuto proprio al soffio di Dio che egli riceve in dono e gli permette di assumere l’attività specifica di Dio: distinguere e nominare. L’agire di Dio è parola, dialogo e quindi anche il nostro agire, il nostro dialogare deve essere capace di dilatarsi non solo a ciascuno ma a tutti e al creato intero.

La seconda parte dell’incontro, affidata a don Carmine De Angelis – cappellano ospedaliero Santa Maria della Misericordia, Sorrento – è stata una breve narrazione esperienziale del suo impegno nella cura e sostegno ai malati e ai più fragili. Abbiamo potuto apprezzare il bene silenzioso che la presenza di un sacerdote e tanti volontari riescono a dare in quei luoghi dove ogni giorno ci si ritrova a fare i conti con il dolore e a volte anche con la solitudine.  Nell’impegno e assistenza non solo spirituale discreta e silenziosa abbiamo apprezzato quanto sia importante il conforto che il gruppo di volontari, medici e infermieri – alcuni anche ministri straordinari per l’eucarestia – sono riusciti a portare ai malati anche in questo tempo di pandemia.

L’impegno di don Carmine non si limita solo all’attività di cappellano ma anche di formazione, nella sensibilizzazione al tema del volontariato nelle scuole, ecc. ma ciò che ci ha più colpito terminando il suo intervento citando San Camillo, esperto di cura, che diceva: “Più cuore in queste mani. Un monito e un impegno per tutti.