Dialogo tra il vescovo e i giovani sul Vangelo della II Domenica di Quaresima

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Al centro del Vangelo della II Domenica di Quaresima c’è la trasfigurazione di Gesù sul Monte Tabor.
 
La prima domanda è proprio su che cos’è la trasfigurazione. “Una domanda semplice, ma la risposta non lo è – evidenzia mons. Francesco Alfano, arcivescovo di Sorrento-Castellammare di Stabia, rispondendo al primo quesito -. Pensando alla nostra esperienza ci possiamo avvicinare alla risposta. Ci sono dei momenti nei quali non riusciamo a comunicare agli altri con le parole quello che abbiamo nel cuore, mentre altre volte siamo solari. La trasfigurazione è una manifestazione di quello che di Gesù non si vedeva, cioè del suo rapporto con il Padre, un rapporto così intimo e profondo che Gesù non si pensa mai senza il Padre. L’esperienza dei discepoli è unica: in essa hanno potuto fissare gli occhi della carne in questa umanità di Cristo che era in perfetta comunione con il Padre. Allora, nel Vangelo si usa per descrivere questa scena il linguaggio della bellezza, della solarità, della luminosità, dello splendore, della purezza. Sono linguaggi simbolici per dire che Gesù ha mostrato agli altri quanto portava nel cuore. Il Vangelo ci spiega che questo è stato un intervento di Dio. Noi non facciamo la stessa esperienza, ma Gesù è risorto e con i segni della risurrezione Egli si presenta a noi nella bellezza della vita, della Chiesa: noi lo esprimiamo soprattutto nella dignità dei segni liturgici, segni semplici come il Pane e il Vino che indicano questa presenza di Dio che viene e trasfigura tutte le cose”.
 
La seconda domanda riguarda l’atteggiamento dei discepoli che caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. I giovani come loro hanno paura della loro fede? “Di fronte a un segno prodigioso il timore lo capiamo – osserva mons. Alfano -. Certo, dinanzi a Dio ci sentiamo piccoli piccoli e lo siamo, ma la paura dei discepoli forse nasconde uno smarrimento della fede. È la paura di chi non riesce ancora a fidarsi totalmente di Dio. Pietro propone di costruire le tende perché non hanno ancora capito. Ma la fede è un cammino che ci fa crescere. Anche questi momenti di esitazione o di paura nel cammino di fede vanno presi in seria considerazione. È Gesù che ci aiuta a superarli. Chiamiamo per nome la paura di fidarci di Dio e di scegliere sempre la via della bellezza. In questo cammino sostenuti dal Vangelo e da Cristo andiamo avanti di passo in passo, di gloria in gloria. Scopriremo i segni della bellezza di Dio anche nella nostra vita”.
 
L’ultima domanda riguarda la nostra diocesi: a che punto è il nostro cammino, le nostre comunità sentono l’esigenza di uscire, andando incontro agli altri? “La Chiesa deve lasciarsi trasfigurare da Cristo mostrando il volto bello della comunione, del servizio, del coraggio della coerenza – afferma l’arcivescovo -. In questa Chiesa ci sono tante esperienze belle, forte e coraggiose di singoli, gruppi, comunità, giovani. È un cammino di discepoli che cercano di seguire il Signore. Tuttavia, questo cammino è ancora lungo, non solo per le difficoltà, le incoerenze e i ritardi, ma anche perché abbiamo bisogno di maggiore unità. Come ci dice Papa Francesco, la Chiesa ha bisogno di uscire dalle sue paure, recinti e chiusure per andare tutta insieme verso coloro che attendono di acqua fresca e di luce. Se siamo divisi, se ognuno cammina per conto suo, se non riusciamo sempre ad accoglierci e accettarci, se ci giudichiamo vicendevolmente, non va bene. L’unità della Chiesa, nel rispetto della diversità, è segno dell’azione dello Spirito. La vera trasfigurazione avviene nella misura in cui ci riconosciamo a vicenda come dono di Dio, membri di un’unica famiglia e così ci presentiamo al mondo a cui siamo mandati”.