Moltissimo, ovvero pochissimo: l’essenziale pellegrinaggio in Terra Santa e Giordania dal 2 all’11 agosto 2013

Eravamo un gruppo di 43 pellegrini, presieduti dall’Arcivescovo, mons. Franco Alfano  (vero “arcipellegrino”!), provenienti da varie zone dell’arcidiocesi e da altre diocesi, di età ed esperienze molto diversificate. Questa eterogeneità è stata un vero valore aggiunto all’esperienza del pellegrinaggio, in sé già ricchissima. Valida ed energica guida è stato mons. Lucio Sembrano, mai stanco di offrire spiegazioni bibliche e storiche, mentre l’accompagnatrice, efficace problem-solver, è stata Imma Cosenza; la parte del viaggio che si è svolta in Giordania è stata piacevolmente guidata da Issa Poladyan.
È impossibile raccontare il viaggio nei dettagli: questa pagina diventerebbe troppo lunga. Meglio, invece, annotare qualche punto di evidenza.
La notte del 2 agosto, dopo l’impatto con le misure di sicurezza, siamo arrivati storditi di stanchezza ed emozione ad Haifa, accolti presso il santuario della Madonna del Monte Carmelo. Appena il tempo di approdare alle camere e siamo partiti verso il santuario dell’Annunciazione a Nazaret, là dove tutto è cominciato con quell’“Eccomi, sono la serva del Signore, si compia in me ciò che hai detto” (Lc 1,38). Il santuario è moderno e bello, entrando nella grande aula si intravede subito la grotta che è il suo centro; a quella vista, un profondo silenzio gravido di stupore ci ha ammutoliti e si è fatto adorazione quando siamo passati in punta di piedi davanti alla grotta sul cui altare è scritto: “Verbum caro hic factum est”.
Una reazione simile si è ripetuta più volte nei giorni seguenti: meditando le Beatitudini sul Monte a Tabgha; al contatto con il monte Tabor e il suo mistico santuario di luce dorata e poi durante la traversata del lago di Galilea che è l’unico testimone ancora intatto della presenza di Gesù e dei suoi discepoli  (come ci ha fatto osservare, il vescovo don Franco). E anche quando, sulla riva del Giordano, abbiamo rinnovato le nostre promesse battesimali e nella notte silenziosa del Wadi Rum con le sue stelle “a portata di mano” che ci hanno fatto pensare all’onnipotenza del Creatore e anche ad Abramo  (come avrebbe potuto contare quella lucente immensità?)  e poi a Betlemme, pur compressi e spintonati fra la gente, venerando la piccola grotta che accolse il neonato Signore e incontrando la beata “piccola araba” Mariam di Gesù Crocifisso. E infine a Gerusalemme.
Lì, nella città dove “tutto si è compiuto” e dove i cristiani purtroppo non si mostrano comunità con “un cuor solo e un’anima sola”, si potevano sentire i nostri cuori battere forte mentre pregavamo il “Padre nostro” nella grotta sul monte degli Olivi dove Gesù l’ha insegnato ai suoi e, quel pomeriggio, a noi.
Che dire, poi, della visita al Cenacolo? È oggi un luogo spoglio e contrastato, ma proprio lì abbiamo respirato la stessa aria di quella notte del primo Giovedì santo, si è fatto fra noi un profondo silenzio e il Comandamento nuovo si è scritto nei nostri cuori, mentre cantavamo sottovoce: “Ubi caritas et amor, Deus ibi est”. Subito dopo, nella cripta della basilica della Dormitio Mariae, l’abbraccio a Maria ci ha condotti spontaneamente a una commossa preghiera senza parole.
Nella notte, la basilica dell’Agonia al Getsemani il contatto visivo e fisico con la pietra testimone della definitiva consegna di Gesù ci ha uniti a Lui in una intensa e raccolta emozione, coronata dal passaggio sotto gli ulivi secolari. Ci sembrava di non voler lasciare quel luogo.
Il momento di maggiore intensità è scoccato l’ultimo giorno quando, a coronamento del nostro itinerario, abbiamo celebrato la santa messa all’altare della Crocifissione, nella basilica del S. Sepolcro: il tempo di attesa della celebrazione è stato prezioso per tutti noi e, nel silenzio ancora inviolato, abbiamo venerato con amorevole calma e indicibile trepidazione il luogo dove Gesù è stato innalzato e dove anche noi siamo stati attirati a Lui dalla potenza del suo glorioso sacrificio.
Ben al di sopra di ogni altra considerazione, la visita nella Terra Santa è una sola cosa: rileggere proprio in quel luogo le pagine sacre, sentire il calore e il colore di quella terra, di quelle acque, di quelle strade, stare sotto quello stesso cielo azzurrissimo sapendo che tutto è avvenuto proprio lì. La Parola ascoltata si associa inevitabilmente con quelle immagini che, già si sa, non si potranno mai più cancellare e che nemmeno la migliore fotografia o ripresa video potrà riprodurre completamente.
Al rientro in patria quello che resta nella mente e nel cuore è, allo stesso tempo, moltissimo e pochissimo. Moltissimo, perché hai visto e sentito tante cose, hai toccato le pietre e le acque rese sacre dal contatto fisico con il Figlio di Dio e sua Madre e i suoi primi discepoli, con gli innumerevoli personaggi di secoli di storia biblica. Moltissimo, perché hai accumulato nella memoria immagini e suoni, hai sentito odori e sapori, hai percepito luci fortissime e tenui stelle, ti sei trovata addosso la polvere del deserto, hai affrontato insistenti venditori arabi e attenti sorveglianti ebrei, e incontrato gente “di ogni lingua, popolo e nazione”.
Se ci pensi un attimo, però, questa enormità di parole, immagini e sensazioni si può ridurre a pochissimo: quella Parola divina e quella storia sacra che tante volte hai ascoltato e tante altre volte ascolterai è avvenuta lì, è risuonata proprio in quei luoghi dove anche tu hai camminato. Lì, molto semplicemente, sei stata discepola: hai messo i tuoi piedi là dove il tuo Maestro Signore ha lasciato le proprie impronte indelebili; ora quel Suo passaggio in terra si è impresso dentro di te: hai iniziato un cammino che non si è certo concluso quando l’aereo è decollato da Tel Aviv il pomeriggio dell’11 agosto 2013.

Suor Maria Nerina de Simone cmstg