Domenica 22 aprile ci presenta un passo del vangelo di Giovanni:
In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario che non è pastore e al quale le pecore non appartengono vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.
Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore.
Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».
Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore.
Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».
Su questo passo del Vangelo, ci offre una riflessione, il nostro arcivescovo, mons. Francesco Alfano:
Il buon pastore, così giunti a metà del cammino liturgico di Pasqua, in questo tempo straordinario di pienezza, di gioia, di vita, così ci presentiamo come testimoni e discepoli del buon pastore. Limmagine che Gesù usa parlando con la sua comunità e che affida a noi per comprendere il rapporto tra Lui e noi, tra il pastore e le pecore. Importante a accoglierla, approfondirla, custodirla questa icona che Gesù ci affida. Perché il nostro rapporto con Lui deve diventare un rapporto vitale. E il Risorto che è risorto in mezzo a noi come pastore vero, come pastore buono e autentico, forte, bello, che attira a se. Limmagine che Gesù usa, perché possa essere compresa nella sua concretezza, rimanda al suo opposto. Gesù dice che il pastore vero non è un mercenario. Il mercenario è un funzionario, fa il suo lavoro solo per ricevere una paga, non gli importa nulla del bene delle pecore, tanto che se arriva un ladro lui scappa. Pensa a se, non alle pecore. Il pastore vero è così legato alle pecore, le conosce, le ama, le cura che pensa a loro, provvede a loro. Ecco la presenza del Risorto, Lui che ha donato la vita per noi, si è legato per sempre a noi, ci riempie del suo amore, ci cura, ci segue, si preoccupa di noi in ogni situazione della nostra vita. Limmagine è forte. Non è solamente la descrizione di un sentimento, di un desiderio, di una richiesta, di un impegno. E lamore di Dio che ci unisce a Lui per sempre e non è un amore per alcuni, pochi privilegiati o altre pecore che non sono di questo ovile. Il cuore del pastore fa spazio a tutto il gregge, a tutti i suoi figli, allintera famiglia umana. Egli dà la vita per tutti e vuole raggiungerli singolarmente ed è in cammino. Ecco lazione del Risorto, attraverso la testimonianza e il servizio della Chiesa: per raggiungere gli uomini. Non per portarli a vivere unesperienza di gruppo, di comunità, nemmeno per portarli a far parte della Chiesa. Ma perché possano essere toccati dallamore di colui che dà la vita. Un solo ovile, un solo pastore, un solo gregge, una sola comunità. E così che il Risorto è presente oggi in mezzo a noi e spinge la Chiesa, con Lui, a donarsi pienamente.
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