Osando Sperare… Nonostante!

Riflessioni sull’incontro per la vita consacrata del 1.2.2018 Basilica S. Maria del Lauro - Meta

Il 1 febbraio u.s., in occasione della giornata annuale per la vita consacrata, si è tenuto un pomeriggio di condivisione-ritiro per tutti i religiosi/e della nostra Diocesi presso la Basilica di S. Maria del Lauro in Meta.
 
Alla presenza del nostro Vescovo, del Vicario Generale e di un folto numero di religiose/i, abbiamo ascoltato la meravigliosa meditazione sul tema “La vita consacrata oggi” offerta dal P. Abate dell’Abazia di Cava dei Tirreni, don Michele Petruzzelli O.S.B.     – delegato regionale per la Vita Consacrata –
 
Sin da subito, il P. Abate ci ha sorpreso con un’introduzione provocatoria circa l’attuale stato della vita religiosa che risente del calo degli ingressi di nuove vocazioni e dell’inevitabile innalzamento dell’età dei consacrati nelle comunità locali.
Questa presentazione, che ha lascialo molti impietriti, non è stata altro che un espediente, a mio avviso efficace, per lanciare il suo messaggio teologicamente e pastoralmente impeccabile, nonché ricco di sana e costruttiva ironia, cosa che ha reso ancora più adeguato/risolutivo/incisivo il suo difficile compito.
 
Di seguito cercherò di portare alla vostra attenzione alcuni dei passaggi della sua riflessione:
  • Può il limitato numero di religiosi e la loro età essere un limite alla grazia di Dio?
  • Può la stanchezza e la fatica di ogni giorno impedire la nostra testimonianza profetica?
  • Può il nostro smarrimento di fronte alle richieste del mondo contemporaneo essere un muro invalicabile alla nostra risposta vocazionale?
Certamente NO!
 
Partendo dalla costatazione della nostra fragilità e del nostro limite, bisogna riscoprire il dono che ci è stato fatto il giorno del nostro battesimo e successivamente (per chi è religioso/a) nella nostra consacrazione religiosa. Facendo memoria delle meraviglie del Signore che opera in tutti e in tutti i tempi, è necessario accogliere le nostre fragilità con gratitudine e senso di fede per lasciarci nuovamente interrogare su come poter, ancora una volta, essere utili alla chiesa di Dio.
 
Bisogna vincere quella atavica tentazione, che ci vede chiusi nelle nostre mura conventuali, del “si è sempre fatto così” e interrogarci sul come potercene liberare per evangelizzare le “periferie” così come richiesto dal Santo Padre.
In primo luogo, occorre far sì che rifiorisca la nostra vita di preghiera.
Occorre riscoprire la comune identità di contemplativi che ci vede ai piedi del Signore come luogo privilegiato della nostra vocazione religiosa (cfr. Lc 10, 38-42).
 
Ai piedi di Gesù daremo nuovo senso al nostro essere consacrati: non più “vecchi e stanchi”, ma “maturi e saggi”, pieni della “sapienza che risiede nell’alto”, dono dello Spirito.
Questa sapienza ci farà comprendere che è giunto il tempo di rivisitare le nostre attività (le “opere” delle nostre case religiose); capiremo che è giunto il momento di collaborare e/o chiedere aiuto a chi può darcelo per dare un senso nuovo alla nostra presenza sul territorio in questa particolare porzione della chiesa di Dio. Solo così facendo l’eredità storica dei nostri istituti non sarà più una zavorra difficile da portare, ma un bagaglio di esperienze che ci aiuteranno a veicolare lo stesso messaggio (il Vangelo) con modalità nuove. Non più comunità autoreferenziali che lavorano autonomamente e in modo disarmonico, ma membra di un unico corpo (con le proprie specificità) che collaborano e non possono fare a meno le une delle altre (cfr. 1Cor 12).
Questa è la sfida che la società ci pone: metterci, ancora una volta, in ascolto dello Spirito per comprendere come adoperarci per il bene comune, uscendo così da una visione miope della vita consacrata, della storia, di “un futuro senza futuro”.
 
Un tempo ci si sentiva forti dei grandi numeri e delle grandi “maestose” iniziative, oggi dobbiamo riscoprire le piccole cose, i piccoli gesti (a partire da quelli in comunità), carichi di senso e di umanità. Oggi ci viene chiesto di essere più testimoni che maestri, insegnare con l’esempio più che con le parole: sull’esempio di Paolo “facciamoci suoi imitatori” (cfr. 1Cor 11, 1).
 
A questo proposito, nelle nostre comunità, bisogna riscoprire il senso autentico della “carità come vincolo di perfezione” nella donazione agli altri. Prendersi cura gli uni degli altri, gareggiare nello stimarci a vicenda (Rom 12, 10); far sì che le nostre comunità siano piccole famiglie dove, al centro, c’è l’amore di Dio che tutto unisce, che tutto perdona, che tutto dimentica. Ogni giorno è un giorno nuovo da consacrare al servizio di Dio e dei fratelli (sorelle) prima ad intra poi, ad extra.
Questa ri-scoperta della bellezza della vita fraterna ci renderà inevitabilmente “attraenti”, farà sì che molti si interrogheranno sul perché di tanto amore (in un tempo contrassegnato da egoismo ed individualismo) e ci chiederanno di farne esperienza. Questa è la vera testimonianza vocazionale: non più strategie vocazionali, ma testimonianze concrete di vita vissuta da chi, a dispetto della propria età, di ferite e cicatrici, crede e testimonia il “comandamento” fondamentale dell’amore verso Dio e verso il prossimo … chiunque esso sia! chiunque Dio ci ponga dinnanzi (o al fianco)!
 
A don Michele bisogna riconoscere anche la capacità di suscitare un’autentica riflessione critica in tutti i presenti. A dimostrazione di ciò, è stata la bella condivisione del post relazione grazie alla testimonianza di alcune religiose che hanno portato il loro contributo in merito agli spunti dati dal P. Abate.
 
La celebrazione eucaristica, infine, è stata la conclusione del nostro pomeriggio. Tutti abbiamo posto ai piedi del Signore quanto lo Spirito aveva seminato nei nostri cuori, affinché nulla andasse perduto: credere nel mandato che ci è stato dato di annunciare a tutte le genti, in povertà e semplicità, le grandi opere che il Signore compie nella storia.
 
Come ringraziamento per quest’esperienza di grande arricchimento, il vicario generale, don Mario Cafiero, ha manifestato la sua gratitudine a Dio e al relatore per questo momento di grazia. “Siamo stati graziati”: graziati perché toccati dal messaggio dell’ Abate; graziati dal dono dello Spirito che ha parlato ai nostri cuori; graziati perché la nostra Diocesi è impegnata in un cammino di conoscenza e approfondimento della vocazione comunitaria nella testimonianza-missione dell’oikūménē

 

P. Paolo De Giacomo, o.f.m. eremita diocesano