Omelia nel decimo anniversario dell’ingresso in diocesi

CATTEDRALE di SORRENTO, 28 aprile 2022
28-04-2022

OMELIA
NEL DECIMO ANNIVERSARIO DELL’INGRESSO IN DIOCESI

CATTEDRALE di SORRENTO, 28 aprile 2022

       Cari amici,

       il libro degli Atti degli Apostoli accompagna il cammino ecclesiale nel tempo liturgico della Pasqua. È il Vangelo del regno, che continua nella storia dei discepoli del Risorto. Non un puro resoconto di quanto accaduto agli apostoli e alle prime comunità cristiane, ma la lettura pasquale delle vicende che hanno segnato i primi passi della corsa del Vangelo sotto la guida dello Spirito. A questo libro, unico nel suo genere in tutto il Nuovo Testamento, ricorre sempre la Chiesa per interpretare ciò che vive alla luce del misterioso disegno di salvezza rivelato in Cristo. Pagina dopo pagina siamo aiutati a rileggere la nostra storia per scorgervi i segni del passaggio del Signore e così poterlo seguire e testimoniare con coraggio ed entusiasmo.

Anche noi dunque, radunati questa sera nella chiesa cattedrale per fare memoria grata di dieci anni di cammino condiviso nell’amicizia donataci dal Signore Gesù, ci lasciamo aiutare dal brano degli Atti che la liturgia oggi ci fa ascoltare. Gli apostoli sono davanti al sinedrio, dopo essere stati arrestati e prodigiosamente liberati da un angelo del Signore, per mezzo del quale di nuovo risuona in cuor loro il mandato missionario ricevuto dal Risorto: “Andate e proclamate al popolo, nel tempio, tutte queste parole di vita” (At 5, 20). La Parola non può rimanere imprigionata. L’annuncio della Buona Notizia deve raggiungere tutti, a partire dal luogo più sacro in cui il Popolo si raduna per la preghiera e i sacrifici. Non c’è infatti incontro con Dio che non nasca dall’ascolto della sua Parola, che ora si è fatta carne in Gesù e che si è compiuta nella sua Pasqua di morte e risurrezione. Trovo qui la prima chiave di lettura della nostra esperienza di comunità ecclesiale in cammino: siamo stati mandati ad annunciare la Parola. Non semplicemente una dottrina, un pensiero organico e ben strutturato, pur sempre necessario per dare senso alla nostra fede. La vita impregnata, assimilata, trasformata dal Vangelo: ecco cosa abbiamo proclamato, vescovo e popolo, con la testimonianza del nostro vissuto, senza nascondere fragilità e incertezze, ma dando ragione della speranza che è in noi. Possiamo tutti insieme ripetere con S. Paolo: “Non ho certo raggiunto la meta, non sono arrivato alla perfezione; ma mi sforzo di correre per conquistarla, perché anch’io sono stato conquistato da Cristo Gesù”! (Fil 3, 12).

Torniamo al libro degli Atti e ascoltiamo l’accusa mossa dal sommo sacerdote: “avete riempito Gerusalemme del vostro insegnamento e volete far ricadere su di noi il sangue di quest’uomo” (At 5, 28). Gli apostoli non solo non hanno taciuto, come era stato loro ordinato. Addirittura hanno raggiunto il cuore di tutti gli abitanti della città, che ora è piena del loro insegnamento, la “didaché” che permette di tradurre l’annuncio in scelte concrete di vita, a livello personale e comunitario. È una vera e propria trasformazione dei credenti e della società, con conseguenze visibili e imbarazzanti. Ciascuno infatti è richiamato alle sue responsabilità, senza nascondere affatto quelle più gravi come il sangue versato ingiustamente. Siamo dinanzi ai primi germi della Chiesa di Cristo, inviata nel mondo per aprirlo alla novità del Regno e sostenere tutti quegli aneliti di liberazione, di giustizia, di fraternità che trovano nel Crocifisso risorto pieno compimento. Ecco la seconda chiave di lettura che la Parola di Dio offre alla nostra Chiesa diocesana in festa: stiamo imparando a condividere la gioia del Vangelo nella compagnia degli uomini e delle donne che abitano questa terra, nota nel mondo per le sue straordinarie bellezze naturali. Non è per nulla facile, ma non possiamo venir meno al mandato ricevuto. La tentazione di rinchiudersi all’interno delle nostre comunità l’avvertiamo tutti, pastori e fedeli laici: è più facile infatti sentirsi al sicuro e protetti, compresi, accolti da chi la pensa come noi e non si oppone al nostro sentire. Ma stiamo provando a “uscire” e dobbiamo continuare lo sforzo, con determinazione e insistenza. Al comodo criterio del “si è fatto sempre così” proviamo a sostituire quello della crescita nella maturità umana e sociale, nell’apprezzamento di ogni espressione artistica e culturale, nell’assunzione di responsabilità per il bene comune, nella cura del creato e nella lotta contro ogni forma di povertà. Ci sta a cuore (“I care”!) la vita delle città e dei paesi, anche i più piccoli, che popolano il nostro territorio e lo rendono quasi un’unica grande comunità, che amiamo fino a consumare per essa tutte le nostre energie. Quanti esempi di dedizione intelligente e appassionata spingono ogni giorno anche me a superare le mie debolezze e a donarmi per quanto ne sono capace, fino al desiderio di offrire tutto me stesso per il bene di questo Popolo che ora è anche mio! Risuonano forti le parole del Risorto che hanno segnato una tappa assai importante del nostro cammino ecclesiale e che attendono di essere ancora completate da nuove e più radicali scelte: “ma voi restate in città”! (Lc 24, 49).

La risposta degli apostoli interrogati dal tribunale ebraico viene data da Pietro che, come altre volte, parla non a nome personale ma di tutto il gruppo. Ora che egli ha fatto l’esperienza del perdono gratuito può affrontare la prova con coraggio e forza: “Bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini” (At 5, 29). Nessuno più è escluso dalla salvezza, dal momento che il Padre ha risuscitato il suo Figlio Gesù: “E di questi fatti siamo testimoni noi e lo Spirito Santo, che Dio ha dato a quelli che gli obbediscono” (At 5, 32).  Si cammina insieme, tutti uniti, sotto la guida dell’unico Spirito. Non viene annullata la diversità, che potrà continuare a generare tensioni, incomprensioni, persino divisioni. Ma se il principio sarà quello affermato dall’apostolo prevarrà sempre l’obbedienza a Dio su tutti i pareri umani. La testimonianza del Vangelo è data dalla Chiesa unita nella carità, partecipe della comunione trinitaria, attenta a tutto ciò che lo Spirito suggerisce tramite ognuno dei suoi membri, anche i più piccoli. Sono scalzate tutte le gerarchie, annullate le differenze legate al potere, abbattute le distanze che generano sofferenza e umiliazione. Possiamo riconoscere qui la terza chiave di lettura, che Papa Francesco ci ha offerto nel cammino della Chiesa universale e che anche la Chiesa pellegrina in Sorrento-Castellammare di Stabia sta sperimentando: il cammino sinodale. Siamo ai primi passi e già intuiamo le potenzialità racchiuse in questo percorso: uno stile nuovo, anche se così antico da risalire alle origini, tale da favorire la partecipazione di tutti, perché ogni decisione sia frutto dell’ascolto di ogni membro del Popolo di Dio. Stiamo imparando cosa vuol dire fare discernimento: nei Consigli Pastorali parrocchiali e diocesano, nelle Unità pastorali, negli Uffici di Curia, nel Consiglio Presbiterale e in tutti gli organismi che aiutano il vescovo nella guida della diocesi. Nella misura in cui ci mettiamo con pazienza e umiltà in ascolto di ogni fratello e sorella, anche di quelli che manifestano istanze lontane dalle nostre, ci apriremo alla voce dello Spirito e tutti cresceremo nell’unità. La cura delle relazioni rappresenta la via privilegiata per testimoniare il Vangelo: pregate perché io per primo ogni giorno mi impegni a farne esperienza, a partire dai primi e diretti collaboratori che il Signore mi ha donato, i presbiteri e i diaconi, con i quali sono chiamato ad essere segno di Cristo servo, capo e sposo.

Carissimi fratelli e sorelle, nella seconda lettura abbiamo ascoltato un passo della seconda lettera ai Corinzi che scelsi ben quaranta anni fa per la liturgia della mia ordinazione presbiterale. Paolo confida alla comunità, che tanto gli sta a cuore nonostante le sofferenze che gli ha procurato, il suo stato d’animo fermo e libero da ogni compromesso. Ha fatto esperienza della misericordia di Dio e ora può annunciare la verità a tutti, con delicatezza e senza tirarsi indietro. Vi esorto a fare vostre le parole che scelsi allora per l’immaginetta-ricordo e che possono ora racchiudere tutto il nostro programma di vita, fino a quando Dio vorrà:

Noi non annunciamo noi stessi, ma Cristo Gesù Signore;
quanto a noi, siamo i vostri servitori a causa di Gesù” (2 Cor 4, 5).

AMEN!