Omelia per l’apertura dell’anno liturgico-pastorale 2022-2023

19-11-2022

Cattedrale di Sorrento

19 novembre 2022

Solennità di Gesù Cristo, Re dell’universo

          Cari amici,

quanta gente attorno a Gesù che muore in croce! L’evangelista Luca, al centro delle nostre assemblee domenicali in quest’anno liturgico che ora si conclude, ne fa un elenco attento e dettagliato. Ci invita dunque a cogliere nei vari personaggi descritti qualcosa che riguarda anche noi discepoli, chiamati a seguire oggi il Maestro sulla via della croce sempre portando nel cuore la speranza della risurrezione. Il cammino sinodale, oramai avviato in tutte le Chiese che sono in Italia, ci trova pronti e fiduciosi: siamo passati dall’incertezza all’entusiasmo perché abbiamo fatto esperienza dell’azione dello Spirito, che ci ha sorpresi e stupiti. È Lui infatti l’anima della Chiesa. Non solo ci ha dato forza per non soccombere lungo il percorso e per non cedere alla tentazione di fermarci dinanzi agli ostacoli. Ci ha invogliato ad ascoltarci gli uni gli altri, con sincerità e schiettezza. In tante nostre comunità l’avvio della prima tappa sinodale è stato vissuto con serietà ed entusiasmo, andando ben oltre i nostri schemi e aprendo prospettive nuove, quelle appunto indicate dallo Spirito. Ora ci viene chiesto di fare un passo in avanti. Siamo chiamati ad ascoltare quelli che normalmente non incontriamo e con i quali facciamo più fatica ad entrare in sintonia. Ce l’eravamo già prefisso con gli Orientamenti Pastorali degli anni scorsi: abitare i luoghi che la nostra gente più frequenta, imparando ad accogliere le persone senza riserve, a condividere il cammino con tutti e a partecipare alla costruzione del mondo nuovo che Dio dona ai suoi figli. L’incontro di Pietro in casa di Cornelio ci spinge a uscire dalle nostre paure, fidandoci dello Spirito che con insistenza ci ripete: “àlzati, scendi e va’ con loro”!

Torniamo pertanto alla scena evangelica e poniamo attenzione ai singoli protagonisti. Innanzitutto il popolo, presentato in un atteggiamento attendista: “stava a vedere”. Non si dice di più. Non è chiarita la posizione, che resta ambigua. Da che parte sta la folla numerosa che assiste al triste spettacolo? Gesù ha davanti a sé una rappresentanza qualificata di tutta quella gente che ha incontrato e amato, a cui ha donato gli insegnamenti più belli, con le parabole e i discorsi. Ha condiviso la condizione di miseria e di sofferenza di tanti, ha ridato forza e speranza ai deboli, ha perdonato i peccatori. Ora il popolo tace, mentre il Cristo si offre sulla croce per tutti. Ci sono situazioni in cui pare che non raccogliamo alcun frutto, nonostante l’impegno pastorale e le attenzioni profuse con generosità: nel silenzio possiamo continuare ad ascoltare, per cogliere ciò che nessuna parola può esprimere e che solo Dio conosce.

Ci sono poi i capi. Di essi si dice che “invece lo deridevano”. È un atteggiamento chiaro ed esplicito di rifiuto e di disprezzo. Fino alla sfida teologica nei confronti di Gesù: “Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto”. Ciò che più lascia perplessi è che si tratta dei capi religiosi, riconosciuti come gli interpreti autorevoli della volontà di Dio. Possiedono la verità e non si lasciano toccare dentro da nessun evento che vada in altra direzione. Sono chiusi alla novità e non riconoscono i segni che Dio sta loro offrendo nello scandalo della croce: il suo amore infinito e misericordioso sfugge loro irrimediabilmente. Gesù continua a tacere. Il suo silenzio ci inquieta. Avremmo preferito forse una parola chiara, per convincerli o umiliarli. Se stiamo dalla parte della ragione perché non manifestarla? A volte, con questo criterio causiamo tanto male alle persone, facendo pesare il nostro giudizio e la nostra presunzione di religiosità pura. Impariamo dall’Uomo della Croce il silenzio che non umilia e non esclude. Disponiamoci all’esercizio faticoso ma liberante dell’ascolto che affratella, riconoscendoci tutti bisognosi del perdono divino. Non scoraggiamoci se il cammino si fa lungo. Restiamo in attesa, come fa Dio con noi!

Il Vangelo ci presenta poi i soldati. Anch’essi si lasciano contagiare dal clima di disprezzo che circonda il condannato: “lo deridevano”. Pur non capendo le motivazioni religiose portate come capi d’accusa nei confronti del Nazareno, ripetono con cinismo: “Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso”. Lo stesso gesto di “porgergli dell’aceto”, avvicinandosi al patibolo, non scioglie i loro cuori ma li lascia indifferenti dinanzi al grido di dolore che dalla terra sale fino al cielo. Qui sembra che non ci sia alcuna possibilità di dialogo, né religiosa né umana. Quando prevale la ragione della forza e la violenza, fisica o verbale, tutte le porte si chiudono. Ci sentiamo sconfitti. E ci ritiriamo in difesa, assaliti dalla paura e smarriti dinanzi al male del mondo. Eppure anche in circostanze estreme come quella descritta da Luca possiamo apprendere da Gesù l’arte dell’ascolto. Egli nel silenzio ama. E prega per loro: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”. Una delicatezza sconvolgente, che ci indica la via per non spezzare il legame con chi sembra non disposto a ricostruire i rapporti. Forse in troppi casi assumiamo un atteggiamento mondano. E ci comportiamo come quelli che non nutrono alcuna speranza. Invece non ci sono mai situazioni totalmente perdute. Il silenzio dell’ascolto ancora una volta può gettare un ponte per farci incontrare come fratelli, liberando il cuore dall’odio e dall’indifferenza che uccide.

Ed eccoci ora ai due malfattori, presentati dall’evangelista con dovizia di particolari. Il Vangelo chiede qui a ogni lettore una sosta contemplativa, come facciamo ora noi in questa solenne celebrazione alla vigilia del nuovo anno liturgico-pastorale. L’insulto caratterizza “uno dei malfattori”. Con lo stesso ritornello che si ripete: “Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e anche noi”. L’aggiunta finale è da un lato ovvia: il condannato sta per morire e non ha altra via di scampo. Ma dall’altro è sorprendente: chiede salvezza, per sé e per il suo compagno di sventura, anche se nel modo sbagliato. Da Gesù non riceve alcuna risposta, ma dovrà accettare il rimprovero dall’altro malfattore. Questi lo rimanda sorprendentemente al “timore di Dio”, che è giusto e non dimentica nessuno dei suoi figli, mentre gli ricorda che essi stanno condividendo la sua stessa pena: “noi giustamente… egli invece non ha fatto nulla di male”. Siamo giunti al vertice di questo incontro drammatico, dove il silenzio intenso e accogliente del Crocifisso mostra tutta la sua potenza di vita. È la testimonianza che attrae. La condivisione che avvicina e affratella. L’apertura all’altro che fa venir fuori la verità di se stessi. Fino al desiderio nascosto nel profondo del cuore e ora finalmente reso esplicito, sotto forma di preghiera disarmante: “Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno”. Ora il silenzio può essere rotto. Il malfattore e l’innocente si sono ritrovati in un abbraccio spirituale commovente, da cui nasce una speranza inattesa, che anticipa il futuro: “oggi sarai con me nel paradiso”. Chi l’ha detto che la conversione è solo per pochi? Perché continuiamo a pensare che alla fine tutto rimarrà come prima? Fino a quando ci opporremo al rinnovamento pastorale, reso oramai improcrastinabile in questo cambiamento d’epoca che Papa Francesco ci ha richiamato in modo così esplicito e insistente?

       Carissimi fratelli e sorelle,

qui convocati a rappresentare tutto il Popolo di Dio pellegrino in Sorrento-Castellammare, apriamo con fiducia i cantieri di Betania, proposti per questo secondo anno della tappa narrativa del cammino sinodale delle Chiese che sono in Italia. Apriamo il cantiere della strada e del villaggio, dell’ospitalità e della casa, delle diaconie e della formazione. Apriamo inoltre con urgenza e passione il cantiere della Famiglia, con tutte le sfide che oggi essa lancia alla nostra azione pastorale. Diventi tutto un cantiere la nostra Chiesa diocesana, da anni impegnata a rimettersi in cammino per una autentica e decisa conversione pastorale, alla luce di scelte coraggiose e innovative che chiamano in causa la nostra responsabilità di credenti. Nessuno è autorizzato a fermarsi al lamento o a guardare dalla finestra: in quanto battezzati siamo tutti coinvolti in questa straordinaria avventura, che nasce dall’ascolto fecondo e fedele del Vangelo per farsi giorno dopo giorno ascolto attento di tutti, non escludendo mai nessuno. Così lo Spirito ancora oggi ci parla e ci indica la strada. Entriamo dunque con Gesù nella casa di Betania, per imparare la difficile ed esigente arte delle relazioni familiari e del servizio generoso, tutte fondate sull’ascolto prolungato e docile della sua Parola: essa è l’unico bene necessario su cui poggia la fede della Chiesa. Solo così potremo continuare il nostro cammino ed entrare nelle case del nostro tempo con la stessa fiducia con cui Pietro entrò in quella del centurione romano. Diventeremo anche noi costruttori di una Casa per tutti, da vivere e da abitare. Edificheremo la Casa comune, per crescere e per amare. Saremo solleciti a condividere con ogni persona

“la Gioia del Vangelo nella compagnia degli uomini”!

AMEN.

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