Aula del Sinodo
Lunedì, 19 maggio 2014
A me sempre ha colpito come finisce questo dialogo fra Gesù e Pietro: Seguimi! (Gv 21,19). Lultima parola. Pietro era passato per tanti stati danimo, in quel momento: la vergogna, perché si ricordava delle tre volte che aveva rinnegato Gesù, e poi un po di imbarazzo, non sapeva come rispondere, e poi la pace, è stato tranquillo, con quel Seguimi!. Ma poi, è venuto il tentatore unaltra volta, la tentazione della curiosità: Dimmi, Signore, e di questo [lapostolo Giovanni] che puoi dirmi? Cosa succederà a questo?. A te non importa. Tu, seguimi. Io vorrei andarmene con questo messaggio, soltanto
Lho sentito mentre ascoltavo questo: A te non importa. Tu, seguimi. Quel seguire Gesù: questo è importante! E più importante da parte nostra. A me sempre, sempre ha colpito questo
Vi ringrazio di questo invito, ringrazio il Presidente delle sue parole. Ringrazio i membri della Presidenza
Un giornale diceva, dei membri della Presidenza, che questo è uomo del Papa, questo non è uomo del Papa, questo è uomo del Papa
. Ma la presidenza, di cinque-sei, sono tutti uomini del Papa!, per parlare con questo linguaggio politico
Ma noi dobbiamo usare il linguaggio della comunione. Ma la stampa a volte inventa tante cose, no?
Nel preparami a questo appuntamento di grazia, sono tornato più volte sulle parole dellApostolo, che esprimono quanto ho quanto abbiamo tutti nel cuore: Desidero ardentemente vedervi per comunicarvi qualche dono spirituale, perché ne siate fortificati, o meglio, per essere in mezzo a voi confortato mediante la fede che abbiamo in comune, voi ed io (Rm 1, 11-12).
Ho vissuto questanno cercando di pormi sul passo di ciascuno di voi: negli incontri personali, nelle udienze come nelle visite sul territorio, ho ascoltato e condiviso il racconto di speranze, stanchezze e preoccupazioni pastorali; partecipi della stessa mensa, ci siamo rinfrancati ritrovando nel pane spezzato il profumo di un incontro, ragione ultima del nostro andare verso la città degli uomini, con il volto lieto e la disponibilità a essere presenza e vangelo di vita.
In questo momento, unite alla riconoscenza per il vostro generoso servizio, vorrei offrirvi alcune riflessioni con cui rivisitare il ministero, perché si conformi sempre più alla volontà di Colui che ci ha posto alla guida della sua Chiesa.
A noi guarda il popolo fedele. Il popolo ci guarda! Io ricordo un film: I bambini ci guardano, era bello. Il popolo ci guarda. Ci guarda per essere aiutato a cogliere la singolarità del proprio quotidiano nel contesto del disegno provvidenziale di Dio. E missione impegnativa la nostra: domanda di conoscere il Signore, fino a dimorare in Lui; e, nel contempo, di prendere dimora nella vita delle nostre Chiese particolari, fino a conoscerne i volti, i bisogni e le potenzialità. Se la sintesi di questa duplice esigenza è affidata alla responsabilità di ciascuno, alcuni tratti sono comunque comuni; e oggi vorrei indicarne tre, che contribuiscono a delineare il nostro profilo di Pastori di una Chiesa che è, innanzitutto, comunità del Risorto, quindi suo corpo e, infine, anticipo e promessa del Regno.
In questo modo intendo anche venire incontro almeno indirettamente a quanti si domandano quali siano le attese del Vescovo di Roma sullEpiscopato italiano.
1. Pastori di una Chiesa che è comunità del Risorto.
Chiediamoci, dunque: Chi è per me Gesù Cristo? Come ha segnato la verità della mia storia? Che dice di Lui la mia vita?
La fede, fratelli, è memoria viva di un incontro, alimentato al fuoco della Parola che plasma il ministero e unge tutto il nostro popolo; la fede è sigillo posto sul cuore: senza questa custodia, senza la preghiera assidua, il Pastore è esposto al pericolo di vergognarsi del Vangelo, finendo per stemperare lo scandalo della croce nella sapienza mondana.
Le tentazioni, che cercano di oscurare il primato di Dio e del suo Cristo, sono legione nella vita del Pastore: vanno dalla tiepidezza, che scade nella mediocrità, alla ricerca di un quieto vivere, che schiva rinunce e sacrificio. E tentazione la fretta pastorale, al pari della sua sorellastra, quellaccidia che porta allinsofferenza, quasi tutto fosse soltanto un peso. Tentazione è la presunzione di chi si illude di poter far conto solamente sulle proprie forze, sullabbondanza di risorse e di strutture, sulle strategie organizzative che sa mettere in campo. Tentazione è accomodarsi nella tristezza, che mentre spegne ogni attesa e creatività, lascia insoddisfatti e quindi incapaci di entrare nel vissuto della nostra gente e di comprenderlo alla luce del mattino di Pasqua.
Fratelli, se ci allontaniamo di Gesù Cristo, se lincontro con Lui perde la sua freschezza, finiamo per toccare con mano soltanto la sterilità delle nostre parole e delle nostre iniziative. Perché i piani pastorali servono, ma la nostra fiducia è riposta altrove: nello Spirito del Signore, che nella misura della nostra docilità ci spalanca continuamente gli orizzonti della missione.
Per evitare di arenarci sugli scogli, la nostra vita spirituale non può ridursi ad alcuni momenti religiosi. Nel succedersi dei giorni e delle stagioni, nellavvicendarsi delle età e degli eventi, alleniamoci a considerare noi stessi guardando a Colui che non passa: spiritualità è ritorno allessenziale, a quel bene che nessuno può toglierci, la sola cosa veramente necessaria. Anche nei momenti di aridità, quando le situazioni pastorali si fanno difficili e si ha limpressione di essere lasciati soli, essa è manto di consolazione più grande di ogni amarezza; è metro di libertà dal giudizio del cosiddetto senso comune; è fonte di gioia, che ci fa accogliere tutto dalla mano di Dio, fino a contemplarne la presenza in tutto e in tutti.
Non stanchiamoci, dunque, di cercare il Signore di lasciarci cercare da Lui , di curare nel silenzio e nellascolto orante la nostra relazione con Lui. Teniamo fisso lo sguardo su di Lui, centro del tempo e della storia; facciamo spazio alla sua presenza in noi: è Lui il principio e il fondamento che avvolge di misericordia le nostre debolezze e tutto trasfigura e rinnova; è Lui ciò che di più prezioso siamo chiamati a offrire alla nostra gente, pena il lasciarla in balìa di una società dellindifferenza, se non della disperazione. Di Lui anche se lo ignorasse vive ogni uomo. In Lui, Uomo delle Beatitudini pagina evangelica che torna quotidianamente nella mia meditazione passa la misura alta della santità: se intendiamo seguirlo, non ci è data altra strada. Percorrendola con Lui, ci scopriamo popolo, fino a riconoscere con stupore e gratitudine che tutto è grazia, perfino le fatiche e le contraddizioni del vivere umano, se queste vengono vissute con cuore aperto al Signore, con la pazienza dellartigiano e con il cuore del peccatore pentito.
La memoria della fede è così compagnia, appartenenza ecclesiale: ecco il secondo tratto del nostro profilo.
2. Pastori di una Chiesa che è corpo del Signore
Proviamo, ancora, a domandarci: che immagine ho della Chiesa, della mia comunità ecclesiale? Me ne sento figlio, oltre che Pastore? So ringraziare Dio, o ne colgo soprattutto i ritardi, i difetti e le mancanze? Quanto sono disposto a soffrire per essa?
Fratelli, la Chiesa nel tesoro della sua vivente Tradizione, che da ultimo riluce nella testimonianza santa di Giovanni XXIII e di Giovanni Paolo II è laltra grazia di cui sentirci profondamente debitori. Del resto, se siamo entrati nel Mistero del Crocifisso, se abbiamo incontrato il Risorto, è in virtù del suo corpo, che in quanto tale non può che essere uno. E dono e responsabilità, lunità: lesserne sacramento configura la nostra missione. Richiede un cuore spogliato di ogni interesse mondano, lontano dalla vanità e dalla discordia; un cuore accogliente, capace di sentire con gli altri e anche di considerarli più degni di se stessi. Così ci consiglia lapostolo.
In questa prospettiva suonano quanto mai attuali le parole con cui, esattamente cinquantanni fa, il Venerabile Papa Paolo VI che avremo la gioia di proclamare beato il prossimo 19 ottobre, a conclusione del Sinodo Straordinario dei Vescovi sulla famiglia si rivolgeva proprio ai membri della Conferenza Episcopale Italiana e poneva come questione vitale per la Chiesa il servizio allunità: E venuto il momento (e dovremmo noi dolerci di ciò?) di dare a noi stessi e di imprimere alla vita ecclesiastica italiana un forte e rinnovato spirito di unità. Vi sarà dato oggi questo discorso. E un gioiello. E come se fosse stato pronunciato ieri, è così.
Ne siamo convinti: la mancanza o comunque la povertà di comunione costituisce lo scandalo più grande, leresia che deturpa il volto del Signore e dilania la sua Chiesa. Nulla giustifica la divisione: medio cedere, meglio rinunciare disposti a volte anche a portare su di sé la prova di un ingiustizia piuttosto che lacerare la tunica e scandalizzare il popolo santo di Dio.
Per questo, come Pastori, dobbiamo rifuggire da tentazioni che diversamente ci sfigurano: la gestione personalistica del tempo, quasi potesse esserci un benessere a prescindere da quello delle nostre comunità; le chiacchiere, le mezze verità che diventano bugie, la litania delle lamentele che tradisce intime delusioni; la durezza di chi giudica senza coinvolgersi e il lassismo di quanti accondiscendono senza farsi carico dellaltro. Ancora: il rodersi della gelosia, laccecamento indotto dallinvidia, lambizione che genera correnti, consorterie, settarismo: quantè vuoto il cielo di chi è ossessionato da se stesso
E, poi, il ripiegamento che va a cercare nelle forme del passato le sicurezze perdute; e la pretesa di quanti vorrebbero difendere lunità negando le diversità, umiliando così i doni con cui Dio continua a rendere giovane e bella la sua Chiesa
Rispetto a queste tentazioni, proprio lesperienza ecclesiale costituisce lantidoto più efficace. Promana dallunica Eucaristia, la cui forza di coesione genera fraternità, possibilità di accogliersi, perdonarsi e camminare insieme; Eucaristia, da cui nasce la capacità di far proprio un atteggiamento di sincera gratitudine e di conservare la pace anche nei momenti più difficili: quella pace che consente di non lasciarsi sopraffare dai conflitti che poi, a volte, si rivelano crogiolo che purifica come anche di non cullarsi nel sogno di ricominciare sempre altrove.
Una spiritualità eucaristica chiama a partecipazione e collegialità, per un discernimento pastorale che si alimenta nel dialogo, nella ricerca e nella fatica del pensare insieme: non per nulla Paolo VI, nel discorso citato dopo aver definito il Concilio una grazia, unoccasione unica e felice, un incomparabile momento, vertice di carità gerarchica e fraterna, voce di spiritualità, di bontà e di pace al mondo intero ne addita, quale nota dominante, la libera e ampia possibilità dindagine, di discussione e di espressione. E questo è importante, in unassemblea. Ognuno dice quello che sente, in faccia, ai fratelli; e questo edifica la Chiesa, aiuta. Senza vergogna, dirlo, così
E questo il modo, per la Conferenza episcopale, di essere spazio vitale di comunione a servizio delunità, nella valorizzazione delle diocesi, anche delle più piccole. A partire dalle Conferenze regionali, dunque, non stancatevi di intessere tra voi rapporti allinsegna dellapertura e della stima reciproca: la forza di una rete sta in relazioni di qualità, che abbattono le distanze a avvicinano i territori con il confronto, lo scambio di esperienze, la tensione alla collaborazione.
I nostri sacerdoti, voi lo sapete bene, sono spesso provati dalle esigenze del ministero e, a volte, anche scoraggiato dallimpressione dellesiguità dei risultati: educhiamoli a non fermarsi a calcolare entrate e uscite, a verificare se quanto si crede di aver dato corrisponde poi al raccolto: il nostro più che di bilanci è il tempo di quella pazienza che è il nome dellamore maturo, la verità del nostro umile, gratuito e fiducioso donarsi alla Chiesa. Puntate ad assicurare loro vicinanza e comprensione, fate che nel vostro cuore possano sentirsi sempre a casa; curatene la formazione umana, culturale, affettiva e spirituale; lAssemblea straordinaria del prossimo novembre, dedicata proprio alla vita dei presbiteri, costituisce unopportunità da preparare con particolare attenzione.
Promuovete la vita religiosa: ieri la sua identità era legata soprattutto alle opere, oggi costituisce una preziosa riserva di futuro, a condizione che sappia porsi come segno visibile, sollecitazione per tutti a vivere secondo il Vangelo. Chiedete ai consacrati, ai religiosi e alle religiose di essere testimoni gioiosi: non si può narrare Gesù in maniera lagnosa; tanto più che, quando si perde lallegria, si finisce per leggere la realtà, la storia e la stessa propria vita sotto una luce distorta.
Amate con generosa e totale dedizione le persone e le comunità: sono le vostre membra! Ascoltate il gregge. Affidatevi al suo senso di fede e di Chiesa, che si manifesta anche in tante forme di pietà popolare. Abbiate fiducia che il popolo santo di Dio ha il polso per individuare le strade giuste. Accompagnate con larghezza la crescita di una corresponsabilità laicale; riconoscete spazi di pensiero, di progettazione e di azione alle donne e ai giovani: con le loro intuizioni e il loro aiuto riuscirete a non attardarvi ancora su una pastorale di conservazione di fatto generica, dispersiva, frammentata e poco influente per assumere, invece, una pastorale che faccia perno sullessenziale. Come sintetizza, con la profondità dei semplici, Santa Teresa di Gesù Bambino: Amarlo e farlo amare. Sia il nocciolo anche degli Orientamenti per lannuncio e la catechesi che affronterete in queste giornate.
Fratelli, nel nostro contesto spesso confuso e disgregato, la prima missione ecclesiale rimane quella di essere lievito di unità, che fermenta nel farsi prossimo e nelle diverse forme di riconciliazione: solo insieme riusciremo e questo è il tratto conclusivo del profilo del Pastore a essere profezia del Regno.
3. Pastori di una Chiesa anticipo e promessa del Regno
A questo proposito, chiediamoci: Ho lo sguardo di Dio sulle persone e sugli eventi? Ho avuto fame
, ho avuto sete
, ero straniero
, nudo
, malato
, ero in carcere (Mt 25,31-46): temo il giudizio di Dio? Di conseguenza, mi spendo per spargere con ampiezza di cuore il seme del buon grano nel campo del mondo?
Anche qui, si affacciano tentazioni che, assommate a quelle su cui già ci siamo soffermati, ostacolano la crescita del Regno, il progetto di Dio sulla famiglia umana. Si esprimono sulla distinzione che a volte accettiamo di fare tra i nostri e gli altri; nelle chiusure di chi è convinto di averne abbastanza dei propri problemi, senza doversi curare pure dellingiustizia che è causa di quelli altrui; nellattesa sterile di chi non esce dal proprio recinto e non attraversa la piazza, ma rimane a sedere ai piedi del campanile, lasciando che il mondo vada per la sua strada.
Ben altro è il respiro che anima la Chiesa. Essa è continuamente convertita dal Regno che annuncia e di cui è anticipo e promessa: Regno che è e che viene, senza che alcuno possa presumere di definirlo in modo esauriente; Regno che rimane oltre, più grande dei nostri schemi e ragionamenti, o che forse più semplicemente è tanto piccolo, umile e nascosto nella pasta dellumanità, perché dispiega la sua forza secondo i criteri di Dio, rivelati nella croce del Figlio.
Servire il Regno comporta di vivere decentrati rispetto a se stessi, protesi allincontro che è poi la strada per ritrovare veramente ciò che siamo: annunciatori della verità di Cristo e della sua misericordia. Verità e misericordia: non disgiungiamole. Mai! La carità nella verità ci ha ricordato Papa Benedetto XVI è la principale forza propulsiva per il vero sviluppo di ogni persona e dellumanità intera (Enc. Caritas in veritate, 1). Senza la verità, lamore di risolve in una scatola vuota, che ciascuno riempie a propria discrezione: e un cristianesimo di carità senza verità può venire facilmente scambiato per una riserva di buoni sentimenti, utili per la convivenza sociale, ma marginali, che in quanto tali non incidono sui progetti e sui processi di costruzione dello sviluppo umano (ibid., 4).
Con questa chiarezza, fratelli, il vostro annuncio sia poi cadenzato sulleloquenza dei gesti. Mi raccomando: leloquenza dei gesti.
Come Pastori, siate semplici nello stile di vita, distaccati, poveri e misericordiosi, per camminare spediti e non frapporre nulla tra voi e gli altri.
Siate interiormente liberi, per poter essere vicini alla gente, attenti a impararne la lingua, ad accostare ognuno con carità, affiancando le persone lungo le notti delle loro solitudini, delle loro inquietudini e dei loro fallimenti: accompagnatele, fino a riscaldare loro il cuore e provocarle così a intraprendere un cammino di senso che restituisca dignità, speranza e fecondità alla vita.
Tra i luoghi in cui la vostra presenza mi sembra maggiormente necessaria e significativa e rispetto ai quali un eccesso di prudenza condannerebbe allirrilevanza cè innanzitutto la famiglia. Oggi la comunità domestica è fortemente penalizzata da una cultura che privilegia i diritti individuali e trasmette una logica del provvisorio. Fatevi voce convinta di quella che è la prima cellula di ogni società. Testimoniatene la centralità e la bellezza. Promuovete la vita del concepito come quella dellanziano. Sostenete i genitori nel difficile ed entusiasmante cammino educativo. E non trascurate di chinarvi con la compassione del samaritano su chi è ferito negli affetti e vede compromesso il proprio progetto di vita.
Un altro spazio che oggi non è dato di disertare è la sala dattesa affollata di disoccupati: disoccupati, cassintegrati, precari, dove il dramma di chi non sa come portare a casa il pane si incontra con quello di chi non sa come mandare avanti lazienda. E unemergenza storica, che interpella la responsabilità sociale di tutti: come Chiesa, aiutiamo a non cedere al catastrofismo e alla rassegnazione, sostenendo con ogni forma di solidarietà creativa la fatica di quanti con il lavoro si sentono privati persino della dignità.
Infine, la scialuppa che si deve calare è labbraccio accogliente ai migranti: fuggono dallintolleranza, dalla persecuzione, dalla mancanza di futuro. Nessuno volga lo sguardo altrove. La carità, che ci è testimoniata dalla generosità di tanta gente, è il nostro modo vivere e di interpretare la vita: in forza di questo dinamismo, il Vangelo continuerà a diffondersi per attrazione.
Più in generale, le difficili situazioni vissute da tanti nostri contemporanei, vi trovino attenti e partecipi, pronto a ridiscutere un modello di sviluppo che sfrutta il creato, sacrifica le persone sullaltare del profitto e crea nuove forma di emarginazione e di esclusione. Il bisogno di un nuovo umanesimo è gridato da una società priva di speranza, scossa in tante sue certezze fondamentali, impoverita da una crisi che, più che economica, è culturale, morale e spirituale.
Considerando questo scenario, il discernimento comunitario sia lanima del percorso di preparazione al Convegno ecclesiale nazionale di Firenze nel prossimo anno: aiuti, per favore, a non fermarsi sul piano pur nobile delle idee, ma inforchi occhiali capaci di cogliere e comprendere la realtà e, quindi, strade per governarla, mirando a rendere più giusta e fraterna la comunità degli uomini.
Andate incontro a chiunque chieda ragione della speranza che è in voi: accoglietene la cultura, porgetegli con rispetto la memoria della fede e la compagnia della Chiesa, quindi i segni della fraternità, della gratitudine e della solidarietà, che anticipano nei giorni delluomo i riflessi della Domenica senza tramonto.
Cari fratelli, è grazia il nostro convenire di questa sera e, più in generale, di questa vostra assemblea; è esperienza di condivisione e di sinodalità; è motivo di rinnovata fiducia nello Spirito Santo: a noi cogliere il soffio della sua voce per assecondarlo con lofferta della nostra libertà.
Vi accompagno con la mia preghiera e la mia vicinanza. E voi pregate per me, soprattutto alla vigilia di questo viaggio che mi vede pellegrino ad Amman, Betlemme e Gerusalemme a 50 anni dallo storico incontro tra Papa Paolo VI e il Patriarca Atenagora: porto con ma la vostra vicinanza partecipe e solidale alla Chiesa Madre e alle popolazioni che abitano la terra benedetta in cui Nostro Signore è vissuto, morto e risorto. Grazie.