«Testimoni della bellezza di Dio» è il titolo della lettera che il cardinale João Braz de Aviz e l’arcivescovo José Rodriguez Carballo — rispettivamente prefetto e segretario della Congregazione per gli istituti di vita consacrata e lo società di vita apostolica — hanno inviato «ai fratelli e sorelle consacrati» in occasione del venticinquesimo anniversario dell’esortazione apostolica post-sinodale di Giovanni Paolo II «Vita consecrata».
Ai fratelli e sorelle consacrati,
rendiamo grazie continuamente per voi, «a motivo della grazia di Dio che vi è stata data in Cristo Gesù, perché in Lui siete stati arricchiti di tutti i doni» e «chiamati alla comunione con il Figlio suo Gesù Cristo, Signore nostro» (1 Cor 1, 4). In questo drammatico momento ci sentiamo solidali con tutti e tutte «nella tribolazione e nella perseveranza» (cfr. Ap 1, 9), non solo a motivo dell’evento pandemico, ma soprattutto per le sue conseguenze che ci toccano da vicino nelle quotidiane vicende della comunità civile ed ecclesiale. I consacrati e le consacrate sono interpellati in prima persona a risvegliare in tutti il senso della speranza.
Non vorremo che passasse inosservato il 25° anniversario (25 marzo 1996) della pubblicazione dell’Esortazione apostolica di san Giovanni Paolo II Vita Consecrata, frutto della riflessione della IX Assemblea del Sinodo dei vescovi celebrata nel mese di ottobre 1994. In essa i vescovi hanno più volte confermato che «la vita consacrata si pone nel cuore stesso della Chiesa come elemento decisivo della sua missione […] Dono prezioso e necessario anche per il presente e per il futuro del Popolo di Dio» (Vita consecrata, 3).
In questa circostanza sentiamo nostra l’invocazione e il rendimento di grazie espressi mediante le parole di Papa Francesco: «Signore, la mia salvezza viene da Te, le mie mani non sono vuote, ma piene della tua grazia. Saper vedere la grazia è il punto di partenza» (Omelia, 1 febbraio 2019). Guardare indietro, rileggere la propria storia è vedervi il dono fedele di Dio, non solo con il nostro sguardo, ma con «lo sguardo dei fedeli» (Vita consecrata, 1), nella consapevolezza che il mistero del Regno di Dio già opera nella nostra storia e attende la sua piena attuazione nei cieli (ivi).
Davanti a Dio per il mondo
L’Esortazione apostolica Vita consecrata, viene pubblicata in tempi di grande incertezza, in una società liquida, dalle identità confuse e appartenenze deboli. Sorprende quindi la certezza con cui è definita l’identità della vita consacrata, «icona di Cristo trasfigurato» (Vita consecrata, 14) che rivela la gloria e il volto del Padre nello splendore luminoso dello Spirito. La vita consacrata come confessio Trinitatis! In realtà qui non c’è solo la preoccupazione di dare un fondamento solido all’identità del consacrato, quanto un modo originale di vedere tale identità, integrando divino e umano, intuendo quel legame misterioso e luminoso tra ascesa e discesa, fra altezza trascendente e immersione kenotica nelle periferie dell’umano, tra bellezza sublime da contemplare e povertà dolorose da servire.
Da questa feconda intuizione derivano preziose conseguenze.
La forza della relazione
Vita consecrata è tutta costruita attorno all’idea della relazione, relazione generata nel e dal Mistero di Dio comunione trinitaria. Una salvezza che passa attraverso la vita di chi si fa carico dell’altro. Una testimonianza non singolare, ma d’una fraternità che vive quel che annuncia e ne gode. Una santità che è comunitaria, non di solitari perfetti, ma di poveri peccatori che condividono e si regalano ogni giorno misericordia e comprensione. Una consacrazione che non s’oppone ai valori del mondo e alla sete universale di felicità, ma che al contrario racconta a tutti quanto l’esser poveri, casti, obbedienti abbia grande potere umanizzante, sia vera ecologia dell’umano, dia senso ed equilibrio alla vita, armonia e libertà nel rapporto con le cose, salvi da ogni abuso, crei fraternità, doni bellezza… Oggi la vita consacrata avverte di essere «più povera» rispetto a un tempo, ma vive — per grazia — molto più la relazione con la Chiesa e il mondo, con chi crede e chi non crede, con chi soffre ed è solo.
I sentimenti del Figlio
Un aspetto particolare della dimensione relazionale sembra giungere al suo punto più alto, quando il documento affronta il tema della formazione. Non una relazione qualsiasi, ma quella che porta ad avere in sé gli stessi sentimenti del Figlio obbediente, del Servo sofferente, dell’Agnello innocente.
Non è elemento essenzialmente nuovo, considerato che già nel passato si è ricorso ai registri relazionali della sequela, dell’identificazione, dell’imitazione di Cristo, ma qui si dice qualcosa di più e, per certi aspetti, d’inedito, per altro offerto dalla Parola (Fil 2, 5). Si tratta di una relazione che arrivi a un contatto così intenso e profondo da riscoprire in sé la sensibilità del Figlio, a sua volta immagine e incarnazione della sensibilità del Padre. Noi cristiani crediamo infatti in un Dio sensibile: ode il gemito degli oppressi e ascolta la supplica della vedova; soffre con l’uomo e per l’uomo. Vogliamo credere che la vita consacrata, coi suoi molteplici carismi, sia esattamente l’espressione di questa sensibilità. Si potrebbe dire che ogni istituto sottolinei col proprio carisma un particolare sentimento divino. Proprio per questo la formazione è presentata nell’Esortazione come processo che conduce in tale direzione: provare le stesse sensazioni, emozioni, sentimenti, affetti, desideri, gusti, criteri elettivi, sogni, attese, passioni… del Figlio-Servo-Agnello.
È un progetto esaltante, che mette mirabilmente e di nuovo insieme («integra») dimensione spirituale e antropologica. Progetto che davvero potrebbe trasformare l’idea della formazione nei contenuti, nelle modalità, nei tempi. Sarebbe finalmente una formazione integrale, costruita sulla roccia dell’amore eterno che rende liberi, forma persone integre che hanno imparato ad evangelizzare la loro sensibilità, per amare Dio con cuore d’uomo, e amare l’uomo con cuore divino! Sarà una formazione che continua nel tempo, per tutta la vita. Ed è altra grande intuizione, che resta in buona parte da capire e ancor più da attuare oggi.
L’incanto della bellezza
Se Dio è bello e il Signore Gesù «è il più bello tra i figli dell’uomo», allora esser a lui consacrati è bello. Il consacrato è chiamato a esser testimone di bellezza. In un mondo che rischia di scadere in un inquietante abbrutimento, la via pulchritudinis sembra l’unica via per giungere alla verità, o per renderla credibile e attraente. I consacrati e le consacrate devono risvegliare in se stessi, ma soprattutto negli uomini e nelle donne del nostro tempo, l’attrazione per ciò che è bello e vero.
Bella, allora, non solo coraggiosa e verace, dev’esser la testimonianza e la parola offerta, perché bello è il volto che annunciamo.
Bello dev’esser ciò che facciamo e come lo facciamo.
Bella la fraternità e il clima che vi si respira.
Bello il tempio e la liturgia, cui tutti sono invitati, perché è bello pregare e cantare le lodi dell’Altissimo e lasciarsi leggere dalla sua parola.
Bello stare insieme nel suo nome, lavorare insieme, anche se a volte faticoso.
Bello il nostro esser vergini per amare col suo cuore, il nostro esser poveri per dire che è lui l’unico tesoro, il nostro obbedire alla sua volontà di salvezza e pure tra di noi per cercare lui solo.
Bello è aver un cuore libero di accogliere il dolore di chi soffre per manifestargli la com-passione dell’Eterno…
Bello dovrà esser persino l’ambiente, nella semplicità e sobrietà creativa: la casa, la tavola apparecchiata…, che vi sia gusto e decoro negli ambienti, perché tutto nella dimora lasci trasparire la presenza e centralità di Dio.
Bellezza somma, sacramento della misteriosa bellezza dell’Eterno. Come esclamò Pietro sul Tabor dinanzi a quell’esplosione di luce e splendore.
Vita consecrata ha marcato certamente l’esperienza e la riflessione dei consacrati in questi anni. È nostra convinzione che debba continuare ad essere un punto di riferimento nei prossimi anni, insieme ai documenti del Magistero e della CIVCSVA che ne hanno approfondito i temi fondamentali. Siamo convinti infatti che l’Esortazione può ancora alimentare la fedeltà creativa dei consacrati, asse portante della vita consacrata del terzo millennio. Rispondere alle sfide che vengono dalla Chiesa e dalla società attuale comporta crescere nella significatività evangelica: «Non possiamo — esorta Papa Francesco — restare fermi nella nostalgia del passato o limitarci a ripetere le cose di sempre, né nelle lamentele di ogni giorno. Abbiamo bisogno della coraggiosa pazienza di camminare, di esplorare strade nuove, di cercare cosa lo Spirito Santo ci suggerisce. E questo si fa con umiltà, con semplicità, senza grande propaganda, senza grande pubblicità» (Omelia, 2 febbraio 2021).
A Maria rivolgiamo fiduciosi la nostra preghiera perché i consacrati e le consacrate possano «testimoniare un’esistenza trasfigurata, camminando gioiosamente, con tutti gli altri fratelli e sorelle, verso la patria celeste e la luce che non conosce tramonto» (Vita consecrata, 112) Approfittiamo dell’occasione per salutarvi e desiderarvi ogni bene nel Signore, il Tutto per noi consacrati.
Città del Vaticano
solennità dell’Annunciazione del Signore, 25 marzo 2021